VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

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lunedì 4 agosto 2014

Lettera all'amico Pietro

SONO IO NON TEMETE.
(Matteo 14,22-33).

Dopo una notte insonne a causa dei nostri problemi,
verso mattina mi sono incontrato con un mio
compagno di sventura; un certo Pietro, discepolo
della prima ora, ci siamo messi a chiacchierare
della sua avventura di quella notte, ed allora
gli ho scritto questa lettera, poi vinto
dalla stanchezza sono crollato.
Santa fifa ora pro nobis,
quando tutto va bene siamo dei leoni,
quando va male e la nostra fragile barchetta
è sballottata dalle onde della vita, ecco i
piagnistei, mai diamo piena fiducia al Maestro
e Pietro ne sa qualcosa!
Caro amico Pietro, possiamo darci la mano,
succede anche a me amico, di trovarmi carico
e riuscire e fare i primi passi sulle onde del mare
della vita, mi sento forte, poi ecco la tempesta e,
come hai fatto tu, anch’io sprofondo nel mare
della vita, ma abbiamo una fortuna in comune;
è Gesù, che ci prende per mano e ci
riaccompagna sulla barca.
Pietro, già, oggi la Parola ci presenta
questo modello di discepolato con cui
confrontarci nella concretezza
della nostra vita di fede.
Gesù fugge il delirio della folla che lo vuole
fare re, dopo la moltiplicazione dei pani e
dei pesci, e si rifugia nella preghiera, da solo,
sulla montagna Gesù non vuole una fede—che
spesso, ahimè, è la nostra—basata sui miracoli.
Pietro e gli altri devono nuovamente
attraversare il lago di Tiberiade e lì, sul far
del mattino, sono investiti dalla tempesta.
Questo racconto è un’icona della Chiesa;
aspettando il ritorno del Maestro,
anche noi dobbiamo attraversare la Storia su
una fragile barca sballottata dai venti.
Ma è quasi mattino, amici, l’ora peggiore,
per chi si trova in difficoltà.
Questi duemila interminabili anni di cristianesimo
hanno rappresentato una dura prova di fede per
i cristiani; spesso dimenticando il Vangelo, spesso
travolti dalle persecuzioni (che continuano!),
i discepoli hanno assaporato e assaporano la
fatica della fede vivendo tra le persecuzioni
del mondo e le consolazioni di Dio.
Come succede a ciascuno di noi, d’altronde;
appena la Parola gettata dal seminatore
attecchisce, pur convivendo con la zizzania
che tende a soffocarla, ci mettiamo alla ricerca
della perla preziosa nel segno della condivisione
e—statene certi—arriva qualche
prova nella fede.
Una sofferenza, una stanchezza, una depressione;
il vento gelido del dubbio, l’assenza del Maestro
(sì, esiste, ho incontrato il suo sguardo
di compassione, ma ora è assente) ci
allontanano dalla fede, ci restituiscono al vortice
dell’inesorabile quotidianità, ci rendono pagani.
Così Pietro e gli altri, turbati dal vento contrario,
stanchi di remare, così noi, fragili discepoli chiamati
a sopravvivere dentro una modernità che anestetizza
la nostra interiorità e ci allontana dal sé e dal vero.
Ma proprio quando l’onda è alta su di noi,
proprio quando ci sembra di essere
sconfitti, qualcosa accade.
Gesù cammina sulle acque tempestose e ci
ripete: “Coraggio, sono, io, non abbiate paura!”.
Pietro si tuffa, anche lui vuole camminare
sulle acque e sulle difficoltà; si fida, muove
i primi passi e poi miseramente sprofonda
nel lago agitato.
Gesù, garbatamente, lo prende per mano.
Davanti ai dubbi di fede, davanti alle tempeste
della vita, il discepolo è chiamato, come Elia,
ad ascoltare nel suo cuore il silenzioso mormorio
di Dio, recuperando quella dimensione assoluta
che è il silenzio, la preghiera, l’ascolto meditato
del grande e quieto oceano della presenza di Dio.
Troppo pagano è diventato il nostro cristianesimo,
troppo efficientista, troppo rumoroso.
Urge riscoprire un modo nuovo di pregare e meditare,
un modo che attinge all’immensa tradizione cristiana
usando parole nuove, adatte alla sfida attuale.
Come Pietro, il discepolo è chiamato a gettarsi
nelle braccia di Dio, sul serio.
La fede è fidarsi, la fede è slanciarsi nel vuoto,
la fede è concreto abbandono.
Troppe volte, però, la nostra è fede condizionata,
tentennante, dubitativa; lasciamo aperta
una via di fuga, convinti ma non troppo.
E allora beviamo.
Quando la smetteremo di tenere in mano il timone
della nostra barca invece di affidarlo a Dio?
Fidati, affidati, confida, diffida delle tue
(piccole e fragili) sicurezze.
prendiamo la fedeltà d’Israele come modello;
una fedeltà da imitare, una custodia della
Parola che ammiriamo, fedeltà conservata con
tenacia nella continua tempesta che Israele ha
attraversato (e noi cristiani pure a bucargli la barca!).
E come loro cerchiamo di vivere della
fiducia nel Dio dell’alleanza.
Animo, dunque, altri hanno già vissuto ciò che
viviamo, altri hanno già attraversato il mare
in tempesta, facciamoci coraggio, prendiamo
in mano il Vangelo, la nostra ancora di salvezza.
Ed ecco perché fra poche domeniche partiremo,
ed un lungo viaggio ci porterà in un paese
lontano, Medjugorje, dove per nostra fortuna,
lontani dal nostro benessere,
il nostro correre quotidiano, e ci troveremo nella
quiete, nella serenità e nella gioia,
accompagnati dalla Mamma Celeste, riusciremo
a ritrovare Dio per affidargli la nostra fragile barchetta,
ma soprattutto ad imparare ad affidarci a Lui gran
navigatore (non come Schettino), per superare le
tempeste della nostra vita.
Animo allora senza paura prepariamoci a partire.
Buona giornata, navigatori Fausto.       



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