VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

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mercoledì 27 agosto 2014

All'Amico Pietro

SONO IO NON TEMETE.
(Matteo 14,22-33).

LETTERA ALL’AMICO PIETRO.

Dopo una notte insonne a causa dei
nostri problemi e di certe persone che
sembra si divertano a crearti dei problemi,
verso mattina mi sono incontrato con un mio
compagno di sventura, (mi spiego; dopo aver
ricevuto una telefonata, ne ho già parlato nel
mio sfogo di alcuni giorni fa dopo il ritorno
da Medjugorje, non riuscendo a dormire a causa
di quella telefonata, mi rileggo le meditazioni
che ho fatto durante il viaggio e ne trovo una
che sembra fatta apposta per me in quel momento
di crisi); un mio compagno di sventura, dicevo,
un certo Pietro, discepolo della prima ora, ci siamo
messi a chiacchierare della sua avventura
di quella notte, ed allora gli ho
scritto questa lettera, poi vinto
dalla stanchezza sono crollato.
Santa fifa ora pro nobis,
quando tutto va bene siamo dei leoni,
quando va male e la nostra fragile barchetta
è sballottata dalle onde della vita, ecco i
piagnistei, mai diamo piena fiducia
al Maestro e Pietro ne sa qualcosa!
Caro amico Pietro, possiamo darci la mano,
succede anche a me amico, di trovarmi carico
e riuscire e fare i primi passi sulle onde del mare
della vita, mi sento forte, poi ecco la tempesta e,
come hai fatto tu, anch’io sprofondo nel mare
della vita, ma abbiamo una fortuna in comune;
è Gesù, che ci prende per mano e ci
riaccompagna sulla barca.
Questa meditazione è il frutto del brano del
Vangelo di qualche domenica precedente,
riproposto per il nostro viaggio a Medjugorje
che diventava per noi l’attraversamento del lago
delle nostre miserie umane, le nostre paure,
le cadute e Gesù ci ha preso per mano e ci
ha riportato sulla barca.
Pietro? Già; oggi la Parola ci presenta
questo modello di discepolato con cui
confrontarci nella concretezza
della nostra vita di fede.
Gesù fugge il delirio della folla che lo vuole
fare re, dopo la moltiplicazione dei pani e
dei pesci, e si rifugia nella preghiera, da solo
sulla montagna, Gesù non vuole una fede—che
spesso, ahimè, è la nostra—basata sui miracoli.
Pietro e gli altri devono nuovamente
attraversare il lago di Tiberiade e lì, sul far
del mattino, sono investiti dalla tempesta,
quello che succede spesso anche a noi, in
particolare a me, sempre sul far del mattino.
Questo racconto è un’icona della Chiesa;
aspettando il ritorno del Maestro, anche
noi dobbiamo attraversare la Storia su
una fragile barca sballottata dai venti.
Me lo sono letto in una notte insonne,
è quasi mattino, amici, l’ora peggiore,
per chi si trova in difficoltà.
Questi duemila interminabili anni di
Cristianesimo hanno rappresentato
una dura prova di fede per i cristiani;
spesso dimenticando il Vangelo, spesso
travolti dalle persecuzioni (che continuano!),
i discepoli hanno assaporato e assaporano la
fatica della fede vivendo tra le persecuzioni
del mondo e le consolazioni di Dio.
Come succede a ciascuno di noi, d’altronde;
appena la Parola gettata dal seminatore
attecchisce, pur convivendo con la zizzania
che tende a soffocarla, ci mettiamo alla ricerca
della perla preziosa nel segno della condivisione
e—statene certi—arriva qualche
prova nella fede, urca se arriva, puntuale.
Una sofferenza, una stanchezza, una depressione;
il vento gelido del dubbio, l’assenza del Maestro
(sì, esiste, ho incontrato il suo sguardo
di compassione, ma ora è assente) ci
allontanano dalla fede, ci restituiscono al vortice
dell’inesorabile quotidianità, ci rendono pagani.
Così Pietro e gli altri, turbati dal vento contrario,
stanchi di remare, così noi, fragili discepoli chiamati
a sopravvivere dentro una modernità che anestetizza
la nostra interiorità e ci allontana dal se e dal vero.
Ma proprio quando l’onda è alta su di noi,
proprio quando ci sembra di essere
sconfitti, qualcosa accade.
Gesù cammina sulle acque tempestose e ci
ripete: “Coraggio, sono, io, non abbiate paura!”.
Pietro si tuffa, furbo lui, anche lui vuole
camminare sulle acque e sulle difficoltà;
si fida, muove i primi passi e poi miseramente
sprofonda nel lago agitato.
Gesù, garbatamente, lo prende per mano.
Grande Gesù, non lo prende per i fondelli come
facciamo noi, no, lo prende delicatamente per mano.
Davanti ai dubbi di fede, davanti alle tempeste
della vita, il discepolo è chiamato, ad ascoltare
nel suo cuore il silenzioso mormorio di Dio,
recuperando quella dimensione assoluta
che è il silenzio, la preghiera, l’ascolto meditato
del grande e quieto oceano della presenza di Dio.
Troppo pagano è diventato il nostro cristianesimo,
troppo efficientista, troppo rumoroso.
Urge riscoprire un modo nuovo di pregare e meditare,
un modo che attinge all’immensa tradizione cristiana
usando parole nuove, adatte alla sfida attuale.
Come Pietro, il discepolo è chiamato a gettarsi
nelle braccia di Dio, ma sul serio.
La fede è fidarsi, la fede è slanciarsi nel
vuoto, la fede è un concreto abbandono.
Troppe volte, però, la nostra è fede
condizionata, tentennante, dubitativa;
lasciamo aperta una via di fuga,
convinti ma non troppo.
E allora beviamo.
Quando la smetteremo di tenere in mano il timone
della nostra barca invece di affidarlo a Dio?
Fidiamoci, affidiamoci, confidiamo, diffidiamo
delle nostre (piccole e fragili) sicurezze.
Anche gli Apostoli hanno dubitato,
ma poi hanno creduto.
E come loro cerchiamo di vivere della
fiducia nel Dio dell’alleanza.
Animo, dunque, altri hanno già vissuto ciò che
viviamo, altri hanno già attraversato il mare
in tempesta, facciamoci coraggio, prendiamo
in mano il Vangelo, la nostra ancora di salvezza.
Ed ecco questo viaggio, partiremo, ed un
lungo viaggio ci porterà in un paese lontano,
Medjugorje, dove per nostra fortuna,
lontani dal nostro benessere, il nostro correre
quotidiano, ci troveremo nella quiete,
nella serenità e nella gioia,
accompagnati dalla Mamma Celeste,
riusciremo a ritrovare Dio per affidargli
la nostra fragile barchetta, ma
soprattutto ad imparare ad affidarci a Lui
gran navigatore (non come Schettino),
per superare le tempeste della nostra vita.
Animo allora mi sono detto quella notte,
senza paura devo riattraversare quel lago in
tempesta, forse è il destino che il Signore mi
ha preparato, sempre continuamente provato
per capire se mi affido veramente al suo Amore.
Magnifico Dio, perché non ti lascia mai solo,
e ti mette accanto tante persone che ti sorreggono
nel momento del bisogno, anche solo con una parola,
che è: “Io ci sono, navighiamo insieme?”.
Certo amico con piacere, in due si rema meglio.
Grazie a tutti quelli che mi sono stati vicini.  

Buona giornata navigatori e compagni di viaggio, Fausto.

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