SONO
IO NON TEMETE.
(Matteo
14,22-33).
LETTERA
ALL’AMICO PIETRO.
Dopo una notte
insonne a causa dei
nostri
problemi e di certe persone che
sembra si
divertano a crearti dei problemi,
verso mattina
mi sono incontrato con un mio
compagno di
sventura, (mi spiego; dopo aver
ricevuto una
telefonata, ne ho già parlato nel
mio sfogo di
alcuni giorni fa dopo il ritorno
da Medjugorje,
non riuscendo a dormire a causa
di quella
telefonata, mi rileggo le meditazioni
che ho fatto
durante il viaggio e ne trovo una
che sembra
fatta apposta per me in quel momento
di crisi); un mio
compagno di sventura, dicevo,
un certo
Pietro, discepolo della prima ora, ci siamo
messi a chiacchierare
della sua avventura
di quella
notte, ed allora gli ho
scritto questa
lettera, poi vinto
dalla
stanchezza sono crollato.
Santa
fifa ora pro nobis,
quando tutto
va bene siamo dei leoni,
quando va male
e la nostra fragile barchetta
è sballottata
dalle onde della vita, ecco i
piagnistei,
mai diamo piena fiducia
al Maestro e
Pietro ne sa qualcosa!
Caro amico
Pietro, possiamo darci la mano,
succede anche
a me amico, di trovarmi carico
e riuscire e
fare i primi passi sulle onde del mare
della vita, mi
sento forte, poi ecco la tempesta e,
come hai fatto
tu, anch’io sprofondo nel mare
della vita, ma
abbiamo una fortuna in comune;
è Gesù, che ci
prende per mano e ci
riaccompagna
sulla barca.
Questa meditazione
è il frutto del brano del
Vangelo di
qualche domenica precedente,
riproposto per
il nostro viaggio a Medjugorje
che diventava
per noi l’attraversamento del lago
delle nostre
miserie umane, le nostre paure,
le cadute e
Gesù ci ha preso per mano e ci
ha riportato
sulla barca.
Pietro? Già;
oggi la Parola ci presenta
questo modello
di discepolato con cui
confrontarci
nella concretezza
della nostra
vita di fede.
Gesù fugge il
delirio della folla che lo vuole
fare re, dopo
la moltiplicazione dei pani e
dei pesci, e
si rifugia nella preghiera, da solo
sulla montagna,
Gesù non vuole una fede—che
spesso, ahimè,
è la nostra—basata sui miracoli.
Pietro e gli
altri devono nuovamente
attraversare
il lago di Tiberiade e lì, sul far
del mattino,
sono investiti dalla tempesta,
quello che
succede spesso anche a noi, in
particolare a
me, sempre sul far del mattino.
Questo
racconto è un’icona della Chiesa;
aspettando il
ritorno del Maestro, anche
noi dobbiamo
attraversare la Storia su
una fragile
barca sballottata dai venti.
Me lo sono
letto in una notte insonne,
è quasi
mattino, amici, l’ora peggiore,
per chi si
trova in difficoltà.
Questi duemila
interminabili anni di
Cristianesimo
hanno rappresentato
una dura prova
di fede per i cristiani;
spesso
dimenticando il Vangelo, spesso
travolti dalle
persecuzioni (che continuano!),
i discepoli
hanno assaporato e assaporano la
fatica della
fede vivendo tra le persecuzioni
del mondo e le
consolazioni di Dio.
Come succede a
ciascuno di noi, d’altronde;
appena la
Parola gettata dal seminatore
attecchisce,
pur convivendo con la zizzania
che tende a
soffocarla, ci mettiamo alla ricerca
della perla
preziosa nel segno della condivisione
e—statene
certi—arriva qualche
prova nella
fede, urca se arriva, puntuale.
Una
sofferenza, una stanchezza, una depressione;
il vento
gelido del dubbio, l’assenza del Maestro
(sì, esiste,
ho incontrato il suo sguardo
di
compassione, ma ora è assente) ci
allontanano
dalla fede, ci restituiscono al vortice
dell’inesorabile
quotidianità, ci rendono pagani.
Così Pietro e
gli altri, turbati dal vento contrario,
stanchi di
remare, così noi, fragili discepoli chiamati
a sopravvivere
dentro una modernità che anestetizza
la nostra
interiorità e ci allontana dal se e dal vero.
Ma proprio
quando l’onda è alta su di noi,
proprio quando
ci sembra di essere
sconfitti,
qualcosa accade.
Gesù cammina
sulle acque tempestose e ci
ripete: “Coraggio,
sono, io, non abbiate paura!”.
Pietro si
tuffa, furbo lui, anche lui vuole
camminare
sulle acque e sulle difficoltà;
si fida, muove
i primi passi e poi miseramente
sprofonda nel
lago agitato.
Gesù,
garbatamente, lo prende per mano.
Grande Gesù,
non lo prende per i fondelli come
facciamo noi,
no, lo prende delicatamente per mano.
Davanti ai
dubbi di fede, davanti alle tempeste
della vita, il
discepolo è chiamato, ad ascoltare
nel suo cuore
il silenzioso mormorio di Dio,
recuperando
quella dimensione assoluta
che è il
silenzio, la preghiera, l’ascolto meditato
del grande e
quieto oceano della presenza di Dio.
Troppo pagano
è diventato il nostro cristianesimo,
troppo
efficientista, troppo rumoroso.
Urge
riscoprire un modo nuovo di pregare e meditare,
un modo che
attinge all’immensa tradizione cristiana
usando parole
nuove, adatte alla sfida attuale.
Come Pietro,
il discepolo è chiamato a gettarsi
nelle braccia
di Dio, ma sul serio.
La fede è
fidarsi, la fede è slanciarsi nel
vuoto, la fede
è un concreto abbandono.
Troppe volte,
però, la nostra è fede
condizionata,
tentennante, dubitativa;
lasciamo
aperta una via di fuga,
convinti ma
non troppo.
E allora
beviamo.
Quando la
smetteremo di tenere in mano il timone
della nostra
barca invece di affidarlo a Dio?
Fidiamoci,
affidiamoci, confidiamo, diffidiamo
delle nostre
(piccole e fragili) sicurezze.
Anche gli
Apostoli hanno dubitato,
ma poi hanno
creduto.
E come loro
cerchiamo di vivere della
fiducia nel
Dio dell’alleanza.
Animo, dunque,
altri hanno già vissuto ciò che
viviamo, altri
hanno già attraversato il mare
in tempesta,
facciamoci coraggio, prendiamo
in mano il
Vangelo, la nostra ancora di salvezza.
Ed ecco questo
viaggio, partiremo, ed un
lungo viaggio
ci porterà in un paese lontano,
Medjugorje,
dove per nostra fortuna,
lontani dal
nostro benessere, il nostro correre
quotidiano, ci
troveremo nella quiete,
nella serenità
e nella gioia,
accompagnati
dalla Mamma Celeste,
riusciremo a
ritrovare Dio per affidargli
la nostra
fragile barchetta, ma
soprattutto ad
imparare ad affidarci a Lui
gran
navigatore (non come Schettino),
per superare
le tempeste della nostra vita.
Animo allora mi
sono detto quella notte,
senza paura
devo riattraversare quel lago in
tempesta,
forse è il destino che il Signore mi
ha preparato,
sempre continuamente provato
per capire se
mi affido veramente al suo Amore.
Magnifico Dio,
perché non ti lascia mai solo,
e ti mette
accanto tante persone che ti sorreggono
nel momento
del bisogno, anche solo con una parola,
che è: “Io ci
sono, navighiamo insieme?”.
Certo amico
con piacere, in due si rema meglio.
Grazie a tutti
quelli che mi sono stati vicini.
Buona giornata
navigatori e compagni di viaggio, Fausto.
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