VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

Il nostro intento e' quello di condividere l'amore del Signore e la maternità di Maria che hanno per tutti noi anche attraverso l'organizzazione di pellegrinaggi al santuario dell'Amore Misericordioso e da alcuni anni anche a Medjugorje.



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mercoledì 16 aprile 2014

Proseguiamo con la storia

Gesù ci amò fino alla fine.
Prima della festa di pasqua, sapendo Gesù che
era venuta la sua ora per passare da questo mondo
al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo,
li amò fino alla fine, (GV 13,1).
Così Giovanni, in maniera sorprendente e asciutta,
inizia il racconto della cena.
Di cui non parla.
Giovanni va oltre i fatti, raggiunge la sostanza;
la cena pasquale è, per Gesù,
il modo di amare i suoi fino alla fine.
Giovanni osa di più; l’intera passione e il modo che
Gesù ha di amare i suoi fino alla fine, fino a
consumarsi, fino a scomparire.
L’ora è giunta; ciò che poteva fare lo ha fatto,
ha testimoniato e annunciato l’amore del Padre,
ha svelato la sua Misericordia e la sua tenerezza,
ha fondato e formato la comunità che dovrà
continuare ad annunciare il Regno.
Ma le cose non si sono messe come avrebbe sperato,
e l’ostilità è cresciuta accanto a Lui.
Non resta che un ultimo gesto, forte e simbolico.
È l’ora di compiere il passaggio;
pasqua, non significa forse, “passaggio”?
Per Israele, passaggio dalla schiavitù alla libertà.
Per Gesù, passaggio da questo mondo al Padre.
Per noi, passaggio dalla morte alla vita,
dalle tenebre alla luce.
Gesù li ama fino alla fine.
Ma potremmo tradurre, fino al compimento, fino
alla pienezza, fino alla perfezione, fino al termine.
La croce, se correttamente intesa, è perfetta manifestazione
della misura dell’Amore di Dio per noi.
Perché non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici.
E per i nostri nemici, (Romani 5,8; GV 4,10).
Giovanni non parla della cena, ma racconta un particolare
che gli altri evangelisti trascurano; quello della lavanda dei piedi.
È un gesto intenso, sconcertante, che, ancora oggi, provoca
turbamento in chi legge, figuriamoci in chi lo ha vissuto!
Gesù, il Maestro, compie il gesto dei servi,
per farci capire il modo di vivere di un cristiano.
L’abbiamo capito?
Da quello che vedo, credo di no! Vero Pietro?
Beh, siamo in buona compagnia allora,
se non l’aveva capito nemmeno lui!
Perché Giovanni non parla della cena?
Probabilmente, essendo il Vangelo di Giovanni scritto
alcuni decenni dopo gli altri, l’evangelista trascura i
particolari conosciuti, riprendendo, invece,
discorsi e azioni tralasciate dagli altri.
Il suo, ricordiamocelo sempre, non è un Vangelo in senso
stretto; è quasi una riflessione sul Vangelo, una meditazione
destinata ai discepoli più progrediti nella vita spirituale.
A me è venuto in mente un’altra ragione,
meno teologica, perché mi piace interpretare.
La lavanda dei piedi è un fortissimo richiamo al servizio,
alla concretezza, alla quotidianità.
Forse Giovanni ha avuto il tempo di vedere delle
comunità di discepoli crescere nella vita interiore,
diventare dei grandi mistici, celebrare delle solenni liturgie.
Dimenticandosi però del fratello.
È un rischio continuo, già segnalato, nella primitiva
comunità cristiana, da San Paolo e San Giacomo.
Come ancora accade a molte nostre comunità parrocchiali;
le persone si ritrovano di Domenica, pregano devotamente,
e, appena conclusa la messa, vivono in totale
disarmonia con ciò che hanno celebrato.
Giovanni parlando della lavanda dei piedi, vuole forse
dirci che non possiamo celebrare con verità la cena
del Signore, se non ci laviamo i piedi gli uni gli altri.
Se non ci mettiamo al servizio gli uni degli altri.
E ARRIVIAMO ALLA TENTAZIONE.
Giovanni, che è molto duro con Giuda,
ha un’annotazione che fa rabbrividire.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già posto
in animo a Giuda di Simone Iscariota di tradirlo,
sapendo che il Padre aveva messo tutto nelle sue
mani e che da Dio era uscito e a Dio ritornava, si alzò da tavola,
depose il mantello e, preso un panno, se ne cinse, (GV 13,2-3).
È il diavolo a mettere in animo a Giuda di tradire il Maestro.
Ma è Giuda che sceglie di assecondare questa tentazione,
perciò attenzione, non diamo sempre la colpa al diavolo
di quello che combiniamo noi, prendiamoci le nostre
responsabilità una buona volta.
L’uomo è splendidamente e drammaticamente libero
e la sua dignità si esprime proprio nel dover scegliere e,
di conseguenza, nel poter sbagliare.
Esiste una dignità del peccatore,
quella di ammettere di avere commesso uno sbaglio.
E di portarne le conseguenze.
Il nostro mondo, ipocrita, nega la possibilità del peccato,
o lo ammette solo per eventi macroscopici,
ignorando palesemente le tante piccole tentazioni
a cui soccombiamo quotidianamente.
Il peccato non esiste più, meno male,
era solo un’invenzione dei preti!
Solo se siete dei narcotrafficanti o degli stupratori,
peccate, tutto il resto sono piccolezze.
Evadere le tasse, inquinare, mentire, assecondare
la libidine, spettegolare (oggi si dice gossip, fa
meno provinciale), parlare sboccatamente, vivere
nell’egoismo, usare toni maleducati e violenti,
sono tutti peccatucci insignificanti.
E intanto la civiltà occidentale muore nei propri vizi.
Giuda ci ricorda la grandezza dell’uomo;
il diavolo suggerisce, ma l’uomo acconsente.
È sempre l’uomo, alla fine,
che decide se assecondare o meno la tentazione.
Giuda, come noi, è attore, non autore del male,
può scegliere di non viverlo.
Dentro ciascuno di noi c’è un mentitore,
un adultero, un assassino, un ladro.
Ma lo possiamo fermare, limitare, bloccare.
E convertire.
Giuda ha in mano il suo destino e, lo getta alle ortiche.
Anche Gesù, dice Giovanni, ha tutto nelle sue mani.
E lo mette a disposizione dei discepoli,
ne fa dono, si fa dono.
Gesù depone il mantello della sua regalità,
la divinità, la sua superiorità.
Se ne libera, se ne spoglia, per testimoniare
quanto amore ha per i discepoli.
Lui che è Dio, si fa uomo, perché l’uomo possa farsi Dio.
Depone le sue vesti, resta nudo, come sulla Croce.
Indossa un telo, che gli fa da grembiule e da asciugatoio;
è la sua veste definitiva, quella del servo.
Lavarsi i piedi, come dicevamo più sopra, è un gesto
necessario per chi rientra a casa dopo aver camminato
con i sandali sulle polverose strade della Giudea.
Se si era invitati in casa altrui, era buona educazione, per
il padrone di casa, dare la possibilità all’ospite di rinfrescarsi.
Le famiglie più ricche facevano compiere questo gesto
da un servo o da uno schiavo.
Un servo o uno schiavo non giudeo.
Ma era anche il gesto intimo dello sposo verso la sposa,
o della madre verso il figlio.
Per ben otto volte, in pochi versetti, Giovanni
ricorda questo gesto, perché è il cuore della passione.
La chiave interpretativa della cena.
Gesù vuole fare questo gesto spiegandone il significato;
Lui che è Maestro, si fa servo dei discepoli così che,
anche i discepoli si facciano servi gli uni degli altri.
Solo Pietro, al solito, non capisce niente e
rischia di rovinare la poesia del momento,
lui è così, arriva a capire sempre dopo la spiegazione,
perché è troppo irruento nei suoi interventi.
Versò quindi dell’acqua nel catino e incominciò a lavare i piedi
dei discepoli e ad asciugarli con il panno del quale si era cinto.
Arriva dunque da Simon Pietro.
Gli disse: “Signore, Tu mi lavi i piedi?”.
Gli rispose Gesù: “Ciò che io faccio, tu ora non lo sai;
lo comprenderai in seguito”.
Gli disse Pietro: “Non mi laverai i piedi. No mai!”.
Gli rispose Gesù: “Se Io non ti lavo, non avrai parte con me”.
Gli disse Simon Pietro: “Signore, non solo i piedi,
ma anche le mani e il capo”.
Gesù soggiunse: “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se
non i piedi, ed è integralmente puro; e voi siete puri, ma non tutti”.
Sapeva infatti chi stava per tradirlo;
per questo disse: “Non tutti siete puri”, (GV 13,4-7).
Mi correggo; non è vero che Pietro non capisce nulla del gesto.
Lo capisce benissimo, perciò non vuole farsi lavare i piedi dal Maestro.
Per non dover fare altrettanto.
Il gesto di umiltà di Pietro, che non si ritiene degno di farsi
lavare i piedi dal Rabbì, nasconde, invece, una grande arroganza.
Pietro vuole insegnare a Gesù cosa è conveniente fare,
vuole insegnare a Dio come si fa a fare Dio.
Povero Pietro! Lo capisco!
Dio è talmente diverso, sempre altrove, sempre a stupirci,
che viene voglia di correggerlo ogni tanto.
A chi verrebbe in mente di immaginarsi, un Dio servo?
Un Dio umile? Un Dio timido?
Un Dio pronto a dare la sua vita per i nemici?
Gesù ammonisce Pietro; per poter avere parte con Lui,
per poter—davvero—essere configurati a Cristo,
dobbiamo seguirlo, anche nell’umiltà di chi si rende servo.
Capite? Sì, Signore, capiamo benissimo quello che hai fatto.
E ci spaventa.
Leggete se volete il brano di Giovanni 13,4-7
Ci spaventa perché ci svela la sua grandezza,
e la nostra piccolezza.
Tu, Signore, sei il Dio che ha creato l’Universo,
e che dici di essere al servizio della nostra felicità.
Non sei un Dio arrogante, e potente, sommo egoista
bastante a te stesso, ma un Dio che ama totalmente
i suoi figli, da mettersi al loro servizio.
Non però a servizio dei loro capricci e delle loro
ambizioni, ma della loro felicità più autentica.
No Signore, se vogliamo essere tuoi discepoli,
siamo chiamati a imitare il tuo gesto di servizio,
mettendoci gli uni al servizio della felicità degli altri.
Senza cadere in una sindrome depressiva,
senza giocare a fare i cattolici striscianti e umilissimi,
senza diventare lo zerbino dei piedi dei colleghi di lavoro,
ma con dignità e consapevolezza, senza cedere ai
ricatti di chi coltiva i nostri sensi di colpa per manipolarci.
Io discepolo, scelgo di far diventare la mia vita un servizio,
nello stile con cui lavoro, mettendo a disposizione le
mie qualità per l’edificazione del Regno, usando i miei
talenti di ascolto, di mediazione, di tolleranza, nella
comunità, facendo il possibile, in famiglia, per aiutare, da
adulto, me e le persone che amo a ricercare
la felicità tutta intera.
Il discepolo, non devo aver paura,
o vergogna di parlare apertamente della mia fede.
Servi della felicità per scelta. Per imitare il Maestro.
È l’unica volta, nel Vangelo di Giovanni,
in cui ricorre il sostantivo “Apostolo” ed è
usato per indicare di nuovo il gesto del servizio;
il vero Apostolo si riconosce dal fatto che è servo.
Gesù poi, manifesta ancora una volta la
sua preoccupazione per Giuda.
Lui conosce chi ha scelto;
Giuda è e resta un discepolo, agli occhi di Gesù.
Gesù, in cuor suo,
sa di non aver sbagliato nello scegliere Giuda.
Gesù anticipa il senso del suo patire,
che ancora i discepoli ignorano;
quando vedranno ciò che sta per accadere,
la misura dell’Amore di Dio che si fa dono
senza misura, capiranno, capiremo, che Gesù
è Io sono, il nome stesso di Dio?

No! Fuggiremo pieni di paura!    

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