Gesù ci amò fino
alla fine.
Prima della festa di pasqua,
sapendo Gesù che
era venuta la sua ora per
passare da questo mondo
al Padre, avendo amato i
suoi che erano nel mondo,
li amò fino alla fine, (GV 13,1).
Così Giovanni, in maniera
sorprendente e asciutta,
inizia il racconto della
cena.
Di cui non parla.
Giovanni va oltre i fatti,
raggiunge la sostanza;
la cena pasquale è, per
Gesù,
il modo di amare i suoi fino
alla fine.
Giovanni osa di più;
l’intera passione e il modo che
Gesù ha di amare i suoi fino
alla fine, fino a
consumarsi, fino a
scomparire.
L’ora è giunta; ciò che
poteva fare lo ha fatto,
ha testimoniato e annunciato
l’amore del Padre,
ha svelato la sua
Misericordia e la sua tenerezza,
ha fondato e formato la
comunità che dovrà
continuare ad annunciare il
Regno.
Ma le cose non si sono messe
come avrebbe sperato,
e l’ostilità è cresciuta
accanto a Lui.
Non resta che un ultimo
gesto, forte e simbolico.
È l’ora di compiere il
passaggio;
pasqua, non significa forse,
“passaggio”?
Per Israele, passaggio dalla
schiavitù alla libertà.
Per Gesù, passaggio da
questo mondo al Padre.
Per noi, passaggio dalla
morte alla vita,
dalle tenebre alla luce.
Gesù li ama fino alla fine.
Ma potremmo tradurre, fino
al compimento, fino
alla pienezza, fino alla
perfezione, fino al termine.
La croce, se correttamente
intesa, è perfetta manifestazione
della misura dell’Amore di
Dio per noi.
Perché non c’è amore più
grande che dare la vita per i propri amici.
E per i nostri nemici, (Romani 5,8; GV 4,10).
Giovanni non parla della
cena, ma racconta un particolare
che gli altri evangelisti
trascurano; quello della lavanda dei piedi.
È un gesto intenso,
sconcertante, che, ancora oggi, provoca
turbamento in chi legge,
figuriamoci in chi lo ha vissuto!
Gesù, il Maestro, compie il
gesto dei servi,
per farci capire il modo di
vivere di un cristiano.
L’abbiamo capito?
Da quello che
vedo, credo di no! Vero Pietro?
Beh, siamo in buona
compagnia allora,
se non l’aveva capito
nemmeno lui!
Perché Giovanni non parla
della cena?
Probabilmente, essendo il
Vangelo di Giovanni scritto
alcuni decenni dopo gli
altri, l’evangelista trascura i
particolari conosciuti,
riprendendo, invece,
discorsi e azioni tralasciate
dagli altri.
Il suo, ricordiamocelo
sempre, non è un Vangelo in senso
stretto; è quasi una
riflessione sul Vangelo, una meditazione
destinata ai discepoli più
progrediti nella vita spirituale.
A me è venuto in mente
un’altra ragione,
meno teologica, perché mi
piace interpretare.
La lavanda dei piedi è un
fortissimo richiamo al servizio,
alla concretezza, alla
quotidianità.
Forse Giovanni ha avuto il
tempo di vedere delle
comunità di discepoli
crescere nella vita interiore,
diventare dei grandi mistici,
celebrare delle solenni liturgie.
Dimenticandosi
però del fratello.
È un rischio continuo, già
segnalato, nella primitiva
comunità cristiana, da San
Paolo e San Giacomo.
Come ancora accade a molte
nostre comunità parrocchiali;
le persone si ritrovano di
Domenica, pregano devotamente,
e, appena conclusa la messa,
vivono in totale
disarmonia con ciò che hanno
celebrato.
Giovanni parlando della
lavanda dei piedi, vuole forse
dirci che non possiamo
celebrare con verità la cena
del Signore, se non ci
laviamo i piedi gli uni gli altri.
Se non ci mettiamo al
servizio gli uni degli altri.
E ARRIVIAMO ALLA
TENTAZIONE.
Giovanni, che è molto duro
con Giuda,
ha un’annotazione che fa
rabbrividire.
Durante la cena,
quando il diavolo aveva già posto
in animo a Giuda
di Simone Iscariota di tradirlo,
sapendo che il
Padre aveva messo tutto nelle sue
mani e che da Dio
era uscito e a Dio ritornava, si alzò da tavola,
depose il mantello
e, preso un panno, se ne cinse, (GV 13,2-3).
È il diavolo a mettere in
animo a Giuda di tradire il Maestro.
Ma è Giuda che sceglie di
assecondare questa tentazione,
perciò attenzione, non diamo
sempre la colpa al diavolo
di quello che combiniamo
noi, prendiamoci le nostre
responsabilità una buona
volta.
L’uomo è splendidamente e
drammaticamente libero
e la sua dignità si esprime
proprio nel dover scegliere e,
di conseguenza, nel poter
sbagliare.
Esiste una dignità del
peccatore,
quella di ammettere di avere
commesso uno sbaglio.
E di portarne le conseguenze.
Il nostro mondo, ipocrita,
nega la possibilità del peccato,
o lo ammette solo per eventi
macroscopici,
ignorando palesemente le
tante piccole tentazioni
a cui soccombiamo
quotidianamente.
Il peccato non esiste più,
meno male,
era solo un’invenzione dei
preti!
Solo se siete dei
narcotrafficanti o degli stupratori,
peccate, tutto il resto sono
piccolezze.
Evadere le tasse, inquinare,
mentire, assecondare
la libidine, spettegolare (oggi si dice gossip, fa
meno
provinciale), parlare sboccatamente,
vivere
nell’egoismo, usare toni
maleducati e violenti,
sono tutti peccatucci
insignificanti.
E intanto la civiltà
occidentale muore nei propri vizi.
Giuda ci ricorda la
grandezza dell’uomo;
il diavolo suggerisce, ma
l’uomo acconsente.
È sempre l’uomo, alla fine,
che decide se assecondare o
meno la tentazione.
Giuda, come noi, è attore,
non autore del male,
può scegliere di non
viverlo.
Dentro ciascuno di noi c’è
un mentitore,
un adultero, un assassino,
un ladro.
Ma lo possiamo fermare,
limitare, bloccare.
E convertire.
Giuda ha in mano il suo
destino e, lo getta alle ortiche.
Anche Gesù, dice Giovanni,
ha tutto nelle sue mani.
E lo mette a disposizione
dei discepoli,
ne fa dono, si fa dono.
Gesù depone il mantello
della sua regalità,
la divinità, la sua
superiorità.
Se ne libera, se ne spoglia,
per testimoniare
quanto amore ha per i
discepoli.
Lui che è Dio, si
fa uomo, perché l’uomo possa farsi Dio.
Depone le sue vesti, resta
nudo, come sulla Croce.
Indossa un telo, che gli fa
da grembiule e da asciugatoio;
è la sua veste definitiva,
quella del servo.
Lavarsi i piedi, come
dicevamo più sopra, è un gesto
necessario per chi rientra a
casa dopo aver camminato
con i sandali sulle
polverose strade della Giudea.
Se si era invitati in casa
altrui, era buona educazione, per
il padrone di casa, dare la
possibilità all’ospite di rinfrescarsi.
Le famiglie più ricche
facevano compiere questo gesto
da un servo o da uno
schiavo.
Un servo o uno schiavo non
giudeo.
Ma era anche il gesto intimo
dello sposo verso la sposa,
o della madre verso il
figlio.
Per ben otto volte, in pochi
versetti, Giovanni
ricorda questo gesto, perché
è il cuore della passione.
La chiave interpretativa
della cena.
Gesù vuole fare questo gesto
spiegandone il significato;
Lui che è Maestro, si fa
servo dei discepoli così che,
anche i discepoli si
facciano servi gli uni degli altri.
Solo Pietro, al solito, non
capisce niente e
rischia di rovinare la
poesia del momento,
lui è così, arriva a capire
sempre dopo la spiegazione,
perché è troppo irruento nei
suoi interventi.
Versò quindi dell’acqua nel
catino e incominciò a lavare i piedi
dei discepoli e ad
asciugarli con il panno del quale si era cinto.
Arriva dunque da Simon
Pietro.
Gli disse: “Signore, Tu mi lavi i piedi?”.
Gli rispose Gesù: “Ciò che io faccio, tu ora non lo sai;
lo comprenderai in
seguito”.
Gli disse Pietro: “Non mi laverai i piedi. No mai!”.
Gli rispose Gesù: “Se Io non ti lavo, non avrai parte con me”.
Gli disse Simon Pietro: “Signore, non solo i piedi,
ma anche le mani
e il capo”.
Gesù soggiunse: “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se
non i piedi, ed è
integralmente puro; e voi siete puri, ma non tutti”.
Sapeva infatti chi stava per
tradirlo;
per questo disse: “Non tutti siete puri”, (GV
13,4-7).
Mi correggo; non è vero che
Pietro non capisce nulla del gesto.
Lo capisce benissimo, perciò
non vuole farsi lavare i piedi dal Maestro.
Per non dover
fare altrettanto.
Il gesto di umiltà di Pietro,
che non si ritiene degno di farsi
lavare i piedi dal Rabbì,
nasconde, invece, una grande arroganza.
Pietro vuole insegnare a
Gesù cosa è conveniente fare,
vuole insegnare a Dio come
si fa a fare Dio.
Povero Pietro! Lo
capisco!
Dio è talmente diverso,
sempre altrove, sempre a stupirci,
che viene voglia di
correggerlo ogni tanto.
A chi verrebbe in mente di
immaginarsi, un Dio servo?
Un Dio umile? Un
Dio timido?
Un Dio pronto a
dare la sua vita per i nemici?
Gesù ammonisce Pietro; per
poter avere parte con Lui,
per poter—davvero—essere
configurati a Cristo,
dobbiamo seguirlo, anche
nell’umiltà di chi si rende servo.
Capite? Sì, Signore, capiamo benissimo quello che hai fatto.
E ci spaventa.
Leggete se volete
il brano di Giovanni 13,4-7
Ci spaventa perché ci svela
la sua grandezza,
e la nostra piccolezza.
Tu, Signore, sei il Dio che
ha creato l’Universo,
e che dici di essere al
servizio della nostra felicità.
Non sei un Dio arrogante, e
potente, sommo egoista
bastante a te stesso, ma un
Dio che ama totalmente
i suoi figli, da mettersi al
loro servizio.
Non però a servizio dei loro
capricci e delle loro
ambizioni, ma della loro
felicità più autentica.
No Signore, se vogliamo
essere tuoi discepoli,
siamo chiamati a imitare il tuo
gesto di servizio,
mettendoci gli uni al
servizio della felicità degli altri.
Senza cadere in una sindrome
depressiva,
senza giocare a fare i
cattolici striscianti e umilissimi,
senza diventare lo zerbino
dei piedi dei colleghi di lavoro,
ma con dignità e
consapevolezza, senza cedere ai
ricatti di chi coltiva i
nostri sensi di colpa per manipolarci.
Io discepolo, scelgo di far
diventare la mia vita un servizio,
nello stile con cui lavoro,
mettendo a disposizione le
mie qualità per
l’edificazione del Regno, usando i miei
talenti di ascolto, di
mediazione, di tolleranza, nella
comunità, facendo il
possibile, in famiglia, per aiutare, da
adulto, me e le persone che
amo a ricercare
la felicità tutta intera.
Il discepolo, non devo aver
paura,
o vergogna di parlare
apertamente della mia fede.
Servi della felicità per
scelta. Per imitare il Maestro.
È l’unica volta, nel Vangelo
di Giovanni,
in cui ricorre il sostantivo
“Apostolo” ed è
usato per indicare di nuovo
il gesto del servizio;
il vero Apostolo si
riconosce dal fatto che è servo.
Gesù poi, manifesta ancora
una volta la
sua preoccupazione per
Giuda.
Lui conosce chi ha scelto;
Giuda è e resta un
discepolo, agli occhi di Gesù.
Gesù, in cuor suo,
sa di non aver sbagliato
nello scegliere Giuda.
Gesù anticipa il senso del
suo patire,
che ancora i discepoli
ignorano;
quando vedranno ciò che sta
per accadere,
la misura
dell’Amore di Dio che si fa dono
senza misura,
capiranno, capiremo, che Gesù
è Io sono, il nome
stesso di Dio?
No! Fuggiremo
pieni di paura!
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