VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

Il nostro intento e' quello di condividere l'amore del Signore e la maternità di Maria che hanno per tutti noi anche attraverso l'organizzazione di pellegrinaggi al santuario dell'Amore Misericordioso e da alcuni anni anche a Medjugorje.



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domenica 20 aprile 2014

E qui finisce la storia; anzi, direi che oggi è l’inizio
della nostra storia attuale, il nostro ritorno alla vita,
attraverso Gesù Cristo Risorto.
LA RESURREZIONE.
Ora cercheremo di capire con l’aiuto degli Evangelisti,
cosa è accaduto dopo il famoso sabato, in cui Gesù è
rimasto rinchiuso nel sepolcro, i racconti si differenziano
tra di loro, per questo ve li propongo tutti e quattro,
commentandoli in modo da capire il loro stato d’animo,
e magari anche il nostro.
IL DOLORE DA SUPERARE.
(Leggete se volete il brano di Luca 24,1-12).
Perché cercate tra i morti il vivente?
Vero, troppe persone pensano a Dio come a un cadavere,
troppi cristiano si avvicinano alla fede come si entra in un cimitero;
con gran rispetto e in silenzio, lo sguardo raccolto e meditabondo,
ma col desiderio di uscirne il più in fretta possibile.
L’angelo è visibilmente irritato da quell’atteggiamento,
come vedremo anche in Matteo.
Gesù è vivo, inutile cercarlo nella tomba;
Gesù ormai ha superato ogni dolore, Egli è altrove, presente.
La sua morte dolorosa e violenta è alle spalle,
non solo superata, ma dimenticata.
Perché Gesù è morto?
Conosco molte persone devote a Gesù in croce;
la meditazione della passione, nei secoli,
ha suscitato grandi conversioni, profonde riflessioni;
nella croce troviamo la rivelazione definitiva e
inequivocabile del vero volto di Dio.
Il cuore della riflessione è; perché mai Gesù è morto?
Qual’è la ragione ultima della morte di Gesù?
I nostri peccati? Una congiura politica?
Una tragica incomprensione?
Intorno a questa domanda ruota tutta la nostra fede.
Gesù viene a svelare il vero volto di Dio, il volto del Padre.
Questo evento è l’ultimo tassello di un’entusiasmante e
originale storia d’amore fra Dio e il suo popolo, storia
vissuta in prima persona da Israele, tra alti e bassi.
Un Dio che si racconta, che entra in relazione, che ama,
che sostituisce quell’immagine innata e oscura
della divinità che portiamo nell’inconscio.
Questa relazione vive momenti esaltanti (da Abramo,
attraverso Mosè e Davide, fino ai profeti), e momenti
deprimenti, caratterizzati dalla fatica dell’uomo a restare
fedele all’immagine che Dio svela di sé attraverso i profeti.
Stanco di questo, Dio diventa uomo.
Gesù è il vero volto di Dio, il raccontatore del Padre.
Lo racconta con la sua vita, la sua serena parola,
le sue vibranti provocazioni.
Gesù sceglie, all’inizio della sua missione, nel deserto di Giuda,
quale messia diventare.
Il demonio, con arguto buon senso, lo invita a usare la forza,
lo stupore, il miracolo, l’alleanza col potere,
per essere efficace (Matteo 4,1).
Ha ragione, in fondo; se Gesù avesse galleggiato nel vuoto sorretto
da angeli, non sarebbe forse stato riconosciuto come Messia?
Invece no, Gesù sceglie di essere un Messia di basso profilo,
un Dio sottotono, mediocre.
Non userà la forza, né compirà prodigi eclatanti, non userà
le armi della seduzione, rifiuterà i trucchi del politico.
Perché Dio vuole essere amato per ciò che è,
perché “è”, e non per ciò che dà.
Gesù difende il Padre contro la visione gretta
e approssimativa che ne abbiamo.
Ma non bastano i miracoli (ambigui), né la tenerezza (fragile),
né la predicazione (controversa) degli anni di vita pubblica.
Gesù arriva alla fine dei suoi intensi tre anni con un pugno
di mosce in mano, l’umanità non ha capito.
I suoi discepoli, preziosi e amati, sono fermi alla
contraddizione del potere e della gloria e,
inchiodati al proprio (evidente) limite;
i capi religiosi ne avvertono la forza destabilizzante;
la folla segue il vento della moda.
Gesù non ha alcuna possibilità di farcela,
la sua scommessa è persa.
Non è servito, non è bastato,
non è sufficiente tutto l’amore che ha donato.
Forse aveva ragione l’avversario, là nel deserto;
troppo ingenuo questo modo di operare.
Davvero Dio pensava di trattare gli uomini alla pari?
Di aprire il loro cuore col sorriso?
Di presentarsi vulnerabile?
La scelta da fare, ormai, è una sola;
andarsene, rinunciare, gettare la spugna.
Occuparsi—chissà—di un altro mondo.  Oppure…..!
Oppure lasciarsi travolgere, sparire, morire.
Lasciare che le tenebre vincano,
lasciare che le cose prendano la loro piega, osare.
Osare fino a morire appeso a una croce, fino all’eccesso.
Altro è dire: “Dio vi ama!” altro è morire.
Altro dire: “Il Padre vi perdona!”, altro pendere,
nudo, da un palo.
Una cosa parlare, un’altra morire.  Urlando.
Una cosa predicare, un’altra vivere fino
in fondo ciò che si è predicato.
Capiranno gli uomini?
O Dio sarà uno dei tanti sconfitti della storia, dimenticati?
La posta in gioco è immensa; l’esistenza stessa di Dio.
Quanti crocifissi sono morti nella storia antica?  Tantissimi!
Di quanti di loro ricordiamo il nome e la vita?  Di nessuno.
Il rischio che Dio corre in quell’ultimo gesto,
è quello di scomparire per sempre.
L’uomo avrebbe continuato a immaginarsi Dio con un
volto identico ai propri desideri e alle proprie paure.
Gesù accetta, rischia, si dona.
Forse sarà tutto inutile, come insinua
l’avversario nell’orto degli ulivi.  Forse.
L’agonia di Gesù, nell’orto degli ulivi, l’agonia che
lo fa sudare sangue, è tutta lì, in quella scelta.
Non nel dolore che Gesù deve affrontare,
non nel senso di abbandono da parte dei suoi, no.
Francamente, conosco persone che hanno
sofferto molto più a lungo di Gesù.
Io credo che il dolore, inaudito, che Gesù prova,
nasca dal dubbio dell’inutilità della sua scelta definitiva.
L’avversario, che torna adesso che è giunta l’ora,
cerca di scoraggiarlo: “Tutto inutile”.
Inutile; non vedi che ti stanno venendo
a prendere per arrestarti?
Inutile; i tuoi stanno dormendo,
non hanno capito la gravità della situazione.
Inutile; l’uomo non cambierà mai.
Gesù accetta, corre il rischio, si dona. Morirà.
Lì, appeso alla croce, Dio è evidente,
inequivocabile, non vi è alcuna possibilità di ambiguità.
Il cuore della passione di Cristo è l’amore,
non la violenza.
Gesù muore affidando al Padre il proprio cuore,
e donando a noi il suo Spirito.
Dio è evidente; osteso, mostrato, nudo.
Dio è così, amici; arreso.
A noi, ora, la prossima mossa.
Ma Gesù, è ancora morto?
Risorto, Gesù è vivo, le donne sprecano il loro
tempo nel cercare Gesù per imbalsamarlo.
Meditare la passione può davvero suscitare la fede.
La meditazione sull’amore che ne emerge,
sul volto di un Dio che muore per amore,
ha convertito più di un cuore.
Ma, ahimè, non è questa la sola ragione
della nostra devozione al crocifisso.
Amiamo il crocifisso, ne siamo coinvolti, turbati,
perché tutti abbiamo una ragione per essere tristi,
tutti abbiamo una sofferenza da condividere.
Ma condividere la gioia è un altro paio di maniche!
Quando incontro qualcuno per strada e mi chiede:
“Come va?”, se dico: “Non molto bene, ho avuto una
brutta influenza, sono stato dieci giorni a letto”,
abitualmente la risposta è: “Anche a me è successo! Sapessi!”.
Se invece rispondo: “Benissimo, è un periodo fantastico”,
ricevo come risposta un affrettato sorriso.
È più difficile gioire per la gioia di un altro,
che soffrire per la sua sofferenza.
Perciò, molte volte, la nostra devozione al Crocifisso è, in
realtà, una devozione alla nostra sofferenza proiettata su Dio.
Non ce lo con gli ammalati, ci mancherebbe, rispetto il loro dolore.
Parlo per tutti noi, di tutti gli altri, di tutti coloro che
si ostinano a cercare un crocifisso, non il Risorto!
Se cerchiamo Gesù morto, amici,
sbagliamo indirizzo clamorosamente.
Mi chiedo se l’assenza di Dio, che troppe volte lamentiamo,
non sia legata al fatto che cerchiamo un Dio morto e non un vivente.
Ci rivolgiamo a Dio, nella stragrande maggioranza delle volte,
in caso di necessità dolorose.
Quasi mai ascolto come preghiera un: “Senti Dio, ho
capito che la vita è un tuo dono, mi sono innamorato
di Te, vedo tutto rosa, oggi mi sento finalmente bene,
vuoi gioire con me?”.
Troppo spesso il Gesù in cui crediamo è morto, e noi pensiamo
di fargli un piacere portandogli degli unguenti per imbalsamarlo!
Gesù è morto quando lo teniamo fuori dalla nostra vita,
morto se resta chiuso nei tabernacoli delle chiese senza
uscire in strada con noi, morto se la sua Parola non spacca
il mare di ghiaccio che soffoca il nostro cuore.
Morto e sepolto quando la nostra diventa una religione senza
fede, un quieto appartenere alla cultura cristiana senza che
il fuoco della sua presenza contagi la nostra e l’altrui vita;
morto se la fede non cambia la economia, la nostra politica;
morto quando ci arrocchiamo nelle nostre posizioni
di “cattolici” scordando il nostro essere uomini.
Morto, amici, morto.
No, Gesù non è morto.  È vivo.
Non “rianimato”, non “vivo nel nostro pensiero”,
no, veramente risuscitato e presente,
che ci crediamo o no, che ce ne accorgiamo o no.
Da questa consapevolezza nasce la gioia cristiana.
La conversione alla gioia.
La conversione al Risorto è difficile, difficilissima.
Occorre allontanarsi dal proprio dolore.
Condividere la gioia cristiana significa
superare il dolore che ci rende tristi.
Non c’è che un modo per superare il dolore;
non amarlo, non affezionarvisi.
La gioia cristiana è una tristezza superata.
Ma, resistenze, dubbi, mancanza di fede pesano
sul nostro cuore.
Un’esperienza dolorosa nell’infanzia,
una serie di eventi che ci hanno deluso, possono
davvero impedirci di entrare nella gioia cristiana,
che non è un’emozione, ma una scelta consapevole.
Le donne, tornate dagli apostoli, non sono credute,
e le loro parole “parvero ad essi come una allucinazione”!
Siamo in buona compagnia, allora, se anche gli
apostoli hanno dovuto convertirsi alla gioia!
Commenteremo, nei prossimi capitoli, la fatica
immensa fatta dai Dodici, per staccarsi definitivamente
dal loro dolore e dalla tragica esperienza
della croce e del loro fallimento….!
E pensare che, per loro, Gesù si farà
vedere e li incoraggerà continuamente!
Se hanno tribolato loro, così avvantaggiati……!
Animo, cercatori di Dio, la più difficile conversione
(dopo quella dal Dio che abbiamo nella testa al Dio di Gesù)
è proprio quella da una visione crocefissa della fede a una risorta!
Gli apostoli dubitano; solo Pietro va a verificare; guarda, stupito,
e torna a casa meravigliato, ma non convinto.
Il verbo usato nella lingua originale,
indica insieme stupore e domanda.
È già qualcosa, ma non è ancora fede; non bastano,
un sepolcro vuoto e le bende per suscitare la fede.
Occorre un’esperienza personale del Risorto.
E Pietro ne sa qualcosa…!
La pietra che ci impedisce di gioire.
(Leggete se volete il brano di Matteo 28,1-8).
Il protagonista della scena di Matteo, l’unico
Evangelista che si mette a descrivere (maldestramente)
l’indescrivibile con tanto di terremoto-e l’angelo.
Adoro quest’angelo, è troppo forte!
Come ve lo immaginate quest’angelo?
Scende, ribalta la pietra che chiude il sepolcro,
si stende a prendere il sole sulla pietra,
esegue la sua commissione, poi, con fare da
prendere per il sedere, dice: “io ve l’ho detto”; come
a dire: “Non venite a lamentarvi con me, questo
dovevo dirvi e questo vi ho detto, ora sono affari vostri!”.
Sperando di non far vacillare la fede di nessuno,
se vi dico che m’immagino questo angelo diverso
dalle rappresentazioni della storia dell’arte.
Ma me lo vedo in jeans e giubbotto di pelle,
con un paio di occhiali da sole.
L’angelo con gli occhiali da sole.
Questa trovata è uscita da una bambina,
che si stava preparando alla prima comunione,
una Domenica al Santuario dell’Amore Misericordioso,
erano bambini di una parrocchia vicino a Roma
con il loro parroco, io dovevo spiegargli il perché
Gesù è sulla croce, secondo Madre Speranza.
Poi andiamo a visitare il presepe, e davanti alla
Crocifissione, sepoltura e Resurrezione di Gesù,
chiedo che qualcuno mi dia un’idea,
di quello che stavamo osservando.
Questa bimba mi spiega, vedo una grande
luce che emana Gesù dalla Croce,
non lo vedo disperato e moribondo, ma vivo.
Ma una grande luce esce anche dal sepolcro vuoto;
è il segno che Gesù non è più li dentro,
perché la pietra era stata ribaltata, altrimenti
come faceva ad uscire da solo Gesù, con tutte
quelle bende che gli avevano messo addosso.
E sulla pietra c’è un angelo, 
lo vedo con i  jeans e gli occhiali da sole.
Poi mi dice: “Qui hanno sbagliato qualcosa, perché
l’angelo per forza doveva avere gli occhiali da sole”.
Sono rimasto perplesso; e lei fattasi seria mi dice:
“Comunque è vero, gli occhiali da sole servivano.
C’era un sacco di luce!
Insomma, un angelo scanzonato.
Lo so, siamo abituati a vedere gli angeli dei nostri
grandi artisti, ma ci sono anche gli angeli rapper,
per capirci, quelli che vanno in discoteca; (credo
lo sappiate che ognuno di noi ha il suo angelo,
compresi i nostri ragazzi, e allora quando loro vanno
in discoteca gli angeli se ne stanno fuori al freddo?
No, entrano anche loro per seguirli da vicino.
Osservate bene la scena.
Gli altri evangelisti ci raccontano che la ragione dell’ansia
delle donne è la grossa pietra posta a sigillo del sepolcro.
Come spostarla?
Una pietra grande, posta proprio per evitare che Gesù uscisse.
Molti di noi abbiamo una pietra che impedisce a Gesù di
risuscitare, una pietra che non riusciamo proprio a spostare,
un ostacolo insormontabile, una considerazione che ci
impedisce di gioire, di convertirci alla gioia.
Qual è la tua pietra, qual è la vostra pietra?
Quale il vostro dolore nascosto?
Forse un trauma subito da piccoli,
forse due genitori che non ti hanno amato abbastanza,
o troppo, forse lo scontro con il tuo limite,
una delusione amorosa, un difetto insormontabile….!
Insomma, quella cosa in cui passate il tempo a dire:
“Se fosse diverso, allora sarei felice”,
e che vi vela di tristezza anche la gioia più autentica.
Guardatela bene la vostra pietra, misuratene il peso,
ammettete che rimuoverla è al di sopra delle vostre forze.
Insomma, non facciamo come questo mondo idiota in
cui viviamo, che ci fa credere che la pietra non esiste,
o ce la fa colorare o decorare coi fiocchi; praticamente
te la nasconde, o ti vende la soluzione del problema.
Non cercate, come viene istintivo, di nascondervi agli altri,
di mettervi davanti qualche ficus benjamin per coprirvi.
No, amici, dobbiamo avere il coraggio di chiamare per nome
e cognome l’origine della nostra insoddisfazione.
Nella fede occorre sempre partire dal reale, dal concreto,
anche quando è difficile da accogliere e da accettare.
La pietra, dunque, è quella situazione che ti sta sullo stomaco,
quella fatica che ti impedisce di gioire, quell’ostacolo (reale),
che reputi insormontabile.
Bene; l’angelo la ribalta e ci si stende sopra a prendere il sole.
Non è fantastico?  No, per niente!
Scanzonato di un angelo!
Arrivo lì, con faccia da venerdì santo di circostanza,
consapevole del mio limite, triste da far paura…
e lui si abbronza disteso proprio sulla mia pietra.
E mi dice: “Scusa, qual’era il problema che t’impediva di gioire?
Quella roba che ti bloccava e ti faceva disperare?
Quella cosa che ti aveva per sempre rovinato la vita?
Questa qui sotto? Sto sasso? Ma dai!”.
Così è amici, che vi devo dire?
Ho visto fratelli e sorelle portarsi nel cuore delle ferite insanabili,
dei crateri; ho visto fantasmi orribili girovagare nel loro inconscio;
ho visto fratelli e sorelle incapaci di guarire e di gioire,
persi nel delirio dell’eroina o della violenza;
e poi li ho visti ribaltati, loro e le loro pietre. E rinascere.
Non è facile; per rinascere bisogna muoversi, salire
al sepolcro delle proprie paure e del proprio passato,
senza illusioni, sapendo che, comunque,
le cicatrici della paura resteranno appiccicate all’anima.
Ma rinascere è possibile.
È possibile perche la potenza della resurrezione
può davvero contagiare e guarire una vita.
La tua, la mia, la vostra.  Se volete. Io ve l’ho detto!
Il messaggio dell’angelo è analogo agli altri evangelisti:
“Gesù è vivo, piantatela di piangere,
riferite agli altri di darsi una sveglia”.
Poi la conclusione: “Io ve l’ho detto”.
Probabilmente, Dio Padre ha mandato per quest’annuncio
uno degli angeli più esperti del mestiere;
perciò l’angelo è così pessimista!
Frequentare gli umani provoca, negli angeli, una
reazione nervosa, suscitata dalla risposta ottusa
e dal dubbio di noi uomini, atteggiamenti
che fanno fatica a capire.
Solo per restare nell’ambito del Vangelo, pensate
al povero Zaccaria, papà di Giovanni Battista,
che a causa di un leggerissimo ritardo nella risposta
(andatevi a leggere Luca 1,5-25),
si è ritrovato muto per nove mesi.
Quindi, se vi capitasse di incrociare un angelo nella vita,
imparate da Maria (Luca 1,26-38), per non correre
il rischio di fare brutte figure, e per non suscitare
una rispostaccia da parte dell’angelo.
Dicevamo; l’angelo è abbastanza abituato ad avere
a che fare con noi umani, conosce i nostri limiti, la
mancanza di fede, il dubbio e le lentezze nella risposta.
Perciò, dopo avere fatto la sua bella commissione, l’angelo declina
ogni responsabilità riguardo all’atteggiamento delle donne.
Questo spesso accade, nella vita!
Dio ci indica la strada, condivide i suoi sogni,
ci mette a parte dei suoi progetti e noi niente,
nulla, encefalo piatto, incredulità a mille!
Insomma; anche Dio fa quel che può.
Avendo avuto la geniale e discutibile idea di crearci liberi,
Egli si trova il più delle volte, di fronte ad una
risposta contorta e dubbiosa.
Che sia questo malfunzionamento della comunicazione
all’origine di tante incomprensioni con Dio?
Se le donne fossero state zitte (poco probabile) o i
destinatari del messaggio, emeriti maschilisti
(come dice due volte Luca), non avessero dato loro
retta, che cosa avrebbe potuto fare di più, Dio?
Scoop giornalistico!
(Leggete se volete il brano di Matteo 28,9-15).
Ovvio, scontato, dovuto.
Figuriamoci se non dovevano intorbidire le acque già così torbide.
Gesù vivo?   Ma siete scemi?
Andiamo, uomini del luminoso ventunesimo secolo,
che andate massicciamente dai cartomanti e leggete l’oroscopo,
ma considerate pie leggende tutto ciò che riguarda Dio!
Gesù non è risorto. Nooo?
Rianimato (il freddo della roccia pare), rubato dagli
apostoli (può essere; se li beccano li ammazzano,
sono tutti dei conigli, li vedete combattere
coi soldati per riprendersi un cadavere?...,
io sinceramente no, ripresosi e andato in giro in
India a fare il guru, visto l’aria che tira in Palestina,
vivo, sì, ma nei nostri ricordi e nelle nostre nostalgie.
Insomma; se volete smontare il cristianesimo,
negate la resurrezione.
Potete farlo, lo fanno in molti,
lo hanno fatto un quarto d’ora dopo la resurrezione.
Matteo, che scrive questa pagina forse trent’anni dopo
gli eventi, dice che quella diceria si era diffusa fino a quei tempi.
Tenerissimo, Matteo!
La diceria si è diffusa fino ad oggi, e lo resterà nei secoli!
Perché la resurrezione è questione di fede, non è evidente,
mettiamocelo in testa.
Se credete, credete alla testimonianza degli apostoli, delle donne,
di chi c’era e ha trovato una tomba vuota, nulla di più.
Gesù è davvero risorto, che ce ne accorgiamo o no,
che lo vogliamo o no, che lo crediamo o no.
Il problema non è Lui. Siamo noi, e la nostra poca fede.
È un percorso, certo, e invito tutti a farlo.
Convertiti dall’evidenza?
D’altronde è l’evidenza che converte, non la prova, non il miracolo.
Gesù ha sempre usato con parsimonia il miracolo,
conoscendone l’implicita ambiguità, e quando lo ha usato
era sempre come sigillo di una Parola detta, come una conferma
autorevole di una buona notizia o buona novella.
Ricordate la resurrezione di Lazzaro (Giovanni 11,1-44)?
Davanti all’evento strepitoso della resurrezione di un
uomo palesemente morto e un po’ decomposto,
davanti al miracolo dei miracoli, testimoniato da
centinaia di testimoni esterrefatti, alcuni si pigliano
la briga di farsi quattro chilometri di strada da
Betania a Gerusalemme, per andare a denunciare Gesù.
No, non è vero che necessitiamo di prove, di evidenza.
La vita è solo in parte evidenza. La vita è mistero.
Mistero l’amore, il dolore, la noia, la rabbia,
mistero la gioia, l’amicizia, lo stupore.
Esiste sempre una dimensione che ci sfugge, pur
possedendola.
Come se ci trovassimo a nuotare in un oceano;
vi siamo immersi, ne siamo attorniati, eppure
ci sfugge nella sua immensità, nella sua pienezza!
È la fede, la porta di questa dimensione.
Perciò, a parte il tentativo maldestro di Matteo,
i discepoli si guardano bene dal descrivere
l’evento della resurrezione.
C’è il dopo, fatto di segni, che coinvolgono
l’intelligenza, che interrogano, che suscitano
la fede, ma che non sono evidenti.
Non è di prove che abbiamo bisogno, ma di fede,
e di testimoni credibili, che vivono quel Risorto,
che—dicono—ha loro incendiato il cuore.
Siamo sinceri; il nostro approccio alla fede
è nell’ordine dell’emotività, se va bene,
e il più delle volte del pregiudizio.
Occorre ribadirlo; la fede cristiana non è frutto della
ragione, è e resta esperienza misteriosa e personale.
Ma, è ragionevole.
Abituati alle soluzioni spicce, a prendere il riassunto
dell’editorialista di turno, non abbiamo più il coraggio
della ricerca, la fatica dello scrutare, non abbiamo
più tempo per riflettere, indagare, leggere, ascoltare.
Dobbiamo produrre e consumare.
E così perdiamo la tenerezza di Dio.
Dio è accessibile, evidente, incontrabile.
Ma non è banale, non scontato, non infantile.
Incontrare Dio richiede intelligenza, fatica,
disponibilità, ragionevolezza.
Ci vuole un cuore trasparente per poterlo vedere,
un desiderio limpido per poterne assaporare l’immensità.
Animo amici! Coraggio, cercatori di Dio.
Oggi essere discepolo richiede la fatica della ricerca,
l’ardire della conoscenza.
Non accontentiamoci del “sentito dire”, non andiamo
dietro alla massa beota dei  pregiudizi, informiamoci,
chiediamo, leggiamo, dedichiamo tempo ad approfondire
l’aspetto storico e ragionevole della nostra fede;
studiamoli questi Vangeli, non con la curiosità del turista,
ma con la passione dell’esploratore.
Il nostro mondo ha bisogno di cristiani motivati, preparati,
uomini di fede e di cultura che vadano al sepolcro di persona,
senza dar retta ai soldati di ventura, o ai profeti di sventura.
Andiamo perciò, ad esplorare il sepolcro vuoto, per renderci
consapevoli che Gesù Cristo è Risorto e ci aspetta in Galilea.
Santa Pasqua.  


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