VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

Il nostro intento e' quello di condividere l'amore del Signore e la maternità di Maria che hanno per tutti noi anche attraverso l'organizzazione di pellegrinaggi al santuario dell'Amore Misericordioso e da alcuni anni anche a Medjugorje.



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venerdì 18 aprile 2014

IL PROCESSO A GESÙ.

E Continuiamo con la storia.
Ora cerchiamo di conoscere Pilato, l’opportunista.
La sorte di Gesù è segnata, il Sinedrio ha ufficializzato
ciò che aveva già deliberato da tempo.
Gesù va ucciso, per salvare il popolo.
Ci si è radunati in tutta fretta, in forma inusuale,
per trovare un’accusa che possa spingere il
procuratore romano a far crocifiggere Gesù.
Non serve un’accusa legata alla religione,
che ai romani non importa, ma una che possa mettere
il Nazareno con le spalle al muro.
E, stupore!
Gesù stesso si è accusato, proclamato Messia e Figlio di Dio.
Messia, cioè successore di Davide, re d’Israele,
quindi re dei giudei; un’accusa di lesa maestà.
Figlio di Dio, facendosi uguale a Dio, una bestemmia
punibile con la morte, per i giudei. Perfetto!
Si tratta solo, ora, di fare in fretta.
Sono le prime luci dell’alba, la città è in fermento per 
i preparativi della pasqua; nel tempio si stanno preparando
gli agnelli per la cena, uccisi a migliaia, uno per famiglia.
Presto, bisogna fare presto, occorre che Gesù sia ucciso
prima del tramonto, così la gente sarà occupata a celebrare
la pasqua e del Nazareno nessuno parlerà per lungo tempo.
Il piccolo corteo attraversa la città per
dirigersi verso la fortezza Antonia.
Non si può entrare, per non contaminarsi in casa di un
pagano e vanificare la purificazione in preparazione alla festa,
bisogna far uscire Ponzio Pilato nel cortile.
Caifa o Anna, prudentemente, hanno già inviato qualcuno a
spiegargli la situazione delicata per facilitare la procedura,
altrimenti complessa.
Sanno bene che Pilato è un osso duro,
lo ha già dimostrato in altre occasioni.
Non sanno che Pilato giocherà con loro,
come fa il gatto con il topo.
PILATO E GESÙ.
Pilato sa bene che Caifa gli ha condotto Gesù perché sia
crocifisso, sa anche che l’accusa è quella di lesa maestà,
un crimine che Roma punisce con la morte.
Lo interroga, come da procedura, gli pone la domanda diretta,
gli chiede se pretende di essere re.
(Brano di Matteo 27,15-16).
Tu lo dici.
Come con Caifa, Gesù si rifiuta di rispondere,
chiede, chi interroga, di interrogarsi.
Dio non è mai evidente; riconoscere che Gesù è il Cristo,
il Figlio di Dio, è un gesto di fede, non una prova matematica.
La fede resta sempre, necessariamente,
nell’ambito della fiducia, dell’affidarsi.
Gesù è accusato, ma si rifiuta di rispondere.
Pilato è stupito; tutti gli accusati che incontra
fanno di tutto per scagionarsi. Gesù no.
Sa che la sua sorte è segnata, che il diritto e la giustizia,
qui, non importano a nessuno.
Il Maestro non si occupa dei giochi di potere; si è 
affidato al Padre, sa che, malgrado tanta menzogna,
quando sarà elevato, attirerà tutti a sé.
Ma Pilato ha ben altro in mente, che non la giustizia.
Caifa gli chiede di uccidere il prigioniero;
dipende da Roma, questo potere.
Pilato non vuole certo concederglielo con facilità.
(Brano di Luca 23,13-16).
Li tiene sulla corda, sa che il tempo gioca in suo vantaggio.
Intanto la folla inizia a radunarsi nel cortile.
I discepoli di Gesù che hanno saputo dell’arresto,
i suoi simpatizzanti del Sinedrio, ma anche i sadducei e 
i farisei ostili al Nazareno si sono passati la voce; 
il Rabbì Gesù è in giudizio da Pilato.
Il clima si scalda.
Pilato vuole tenere sulla corda Caifa e il Sinedrio,
ha in mano una cosa che essi desiderano;
la sorte del Nazareno.
Sa che può ottenere molto, li ha in pugno,
deve giocare abilmente, il tempo è dalla sua parte;
più la notizia si diffonde, più il progetto di
eliminare Gesù di nascosto fallirà.
Ma nello stesso tempo, non deve esagerare;
se si spezza il tenue legame con il potere giudaico,
la sua carriera è finita.
Pilato, come Caifa, come noi, perde di vista l’essenziale,
non cerca la verità.
I suoi giudizi sono inquinati dall’amor proprio,
dalle emozioni, dalla ripicca e dalla vendetta.
Spesso, troppo spesso, i nostri rapporti sono influenzati
dalle sensazioni, non dalla verità dei fatti.
Marco è preciso, ci racconta di Barabba.
(Brano di Marco 15,6-8).
Barabba non è un ladro comune, ma,
molto probabilmente, uno zelota.
Anche noi siamo come Barabba; ci ritroviamo improvvisamente
liberi, un altro ha preso la nostra colpa, si è sostituito a noi.
E non lo fa, come con Lazzaro, per un amico, una bella persona.
Lo fa per un delinquente, un violento, un omicida.
Lo stupore della croce è proprio qui;
un giusto muore per gli ingiusti. Perché li ama.
CHE NE FARÀ DI GESÙ.
Pilato ha sbagliato tattica; i sadducei e i capi riescono a indirizzare
la folla, la tensione cresce, Caifa è insofferente, vuole concludere
subito, costringere il procuratore a cedere.
(Brano di Matteo 27,17-24).
Pilato ora, è in balia della folla.
La folla è indirizzata, condotta, esaltata.
Partecipa a un omicidio, le è dato il potere di vita e di morte
su una persona, è inebriata e non sa, o non le importa,
di essere totalmente manipolata.
I discepoli di Gesù presenti sono in minoranza,
non riescono a farsi sentire, sono intimoriti, hanno paura.
È sempre così, anche nella storia umana.
I potenti alzano la voce, aizzano le folle, la Chiesa, quando e se
interviene, è una voce nel deserto, una profezia inascoltata.
L’orribile ventesimo secolo è stato il secolo dell’ideologia
della Patria e della razza; decine di milioni di europei
si sono scannati pensando di rendere onore alla Patria.
Che onore ha un paese che vede una generazione
intera morire nelle trincee.
Vegliamo e vigiliamo su noi e sulle nostre coscienze,
illuminiamo la nostra vita alla luce del Vangelo,
non cediamo ai deliri collettivi che percorrono la storia!
Pilato fa ciò che vuole la folla, non si chiede se ciò
che la folla vuole sia giusto.
Scivola nella demagogia; è giusto ciò che la maggioranza pensa?
Come oggi, quando si prendono le decisioni guardando
ai sondaggi, non alla verità.
Il prefetto è succube del potere,
e sa che il potere può sfuggirgli da mano.
Che ne farò di Gesù, chiede.
Crocifiggilo! Noi urliamo.
Lui pensa solo a consolidare la sua posizione, e accetta.
Pilato non sa che fare, memore dei fatti precedenti,
decide che il gioco è finito.
Ma, prima, secondo Luca, gioca un’ultima carta,
tanto per esasperare gli animi e avere un tornaconto.
Non corre buon sangue fra Roma e i figli di Erode il grande.
Il re ha avuto in sorte dei figli decisamente meno capaci
di lui e Roma, dopo qualche anno, ha deciso di riprendere in mano
il controllo diretto della situazione, con grande disappunto dei figli,
che si sono visti assegnare delle piccole province, sempre
sotto il controllo diretto del legato di Siria.
Proprio il legato di Siria, Vitellio, cade in depressione quando
viene a sapere che Erode Antipa, che governa la Galilea a malincuore,
lo ha preceduto e ha informato Roma del successo
delle trattative con i Parti.
Probabilmente Erode Antipa fa lo stesso gioco sporco
con Pilato, comunicando a Roma i suoi eccessi.
Anche allora c’era l’abitudine di fregarsi le scarpe, niente di nuovo.
È a Gerusalemme per la pasqua,
è sceso dalla sua Galilea per la festa.
(Brano di Luca 23,6-12).
Pilato non è tenuto a coinvolgere Erode; se lo fa è per mostrare 
al Sinedrio che non conta nulla, e per convincere Erode che 
conta qualcosa, agli occhi di Roma.
Così, un innocuo gesto di cortesia.
Erode è contento di vedere Gesù; è una piccola vittoria su Pilato,
che finalmente lo considera alla pari, e inoltre ha sentito
molte cose sul profeta e si aspetta di vedere un miracolo.
Ma non accade nulla, Gesù non apre bocca,
nuovamente, davanti all’idiozia, Dio tace.
Suo padre Erode il grande sapeva che la fede può essere
un forte collante, e aveva fatto costruire il tempio.
Sentendosi in pericolo; aveva sterminato i bambini
di Betlemme per timore di un Messia che lo scalzasse.
Erode Antipa no, per lui la fede è un gioco.
Molti erodi, purtroppo, abitano ancora le nostre città,
cercano prodigi, inseguono apparizioni, vogliono sempre 
dei miracoli; per loro la fede è un qualcosa di paranormale,
una parentesi nella loro vita.
Come le soubrette quasi nude che svelano sui rotocalchi
la devozione a Padre Pio; il quale, se le vedesse,
le scaccerebbe in malo modo, statene certi!
O i fior di delinquenti che vogliono apparire nella processione
del santo patrono del paese, manifestando platealmente la
loro presunta fede, salvo poi vendere droga ai ragazzi o
uccidere per incutere terrore a chi si rifiuta di pagare il pizzo.
La loro è una schizofrenia della fede per interesse,
la religiosità da una parte, la vita dall’altra.
Erode vuole dei prodigi, urla, sbraita, ricatta Dio.
Resta deluso; Dio tace.
Se la nostra preghiera resta inascoltata,
è perché la nostra fede cerca prodigi, non conversioni.
Povero cristianesimo che non sa gioire della ricchezza
delle parole del Vangelo e corre a cercare altre parole
dirette, eclatanti, miracolistiche!
Un risultato, però, Erode lo ottiene; diventa amico di Pilato.
Gesù compie quest’unico miracolo.
MANI PULITE.
La situazione sfugge di mano a Pilato,
il gioco gli si ritorce contro.
Se ne lava le mani, non è affar suo.
Quel lavarsene le mani, resterà scolpito per
sempre nella memoria dei credenti.
Non basta l’acqua per togliere il sangue
innocente dalla propria coscienza.
Dopo tutti questi giochi bisogna decidere cosa fare,
e questa decisione tocca a Pilato.
Pilato non ha nessuna voglia di uccidere Gesù, e cerca 
in tutti i modi di salvarlo, ma non vuole compromettersi ne 
con i sacerdoti ne con Roma e cerca di fare un gioco sporco.
Il racconto di Giovanni inizia con una tensione;
la domanda che pone Pilato indica chiaramente
che vuole giocare con Caifa; qualcuno gli ha già parlato 
del Nazareno, sa benissimo che lo deve far crocifiggere.
La reazione dei sacerdoti è stizzita;
fidati di noi, sai benissimo che va ucciso,
se veniamo fino da te per chiederti ciò che non
possiamo fare noi, ci sarà una ragione.
Pilato ha il potere di far uccidere Gesù, ma non vuole.
I sacerdoti vogliono far uccidere Gesù, ma non possono.
Gesù diventerà l’oggetto di scambio fra due potenti,
quello politico e quello religioso.
Ci sono vite che dipendono dal ricatto, rapporti costruiti 
sulla debolezza e sull’inganno, persone che non riescono 
a concepire delle relazioni basate sull’accoglienza e sulla condivisione.
Disse loro Pilato: “Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge”.
Gli dissero i giudei: “A noi non è permesso di mettere a morte nessuno”.
Doveva così adempiersi la parola che Gesù aveva pronunciato,
indicando di quale morte doveva morire (Giovanni 18,31-32).
Almeno le cose sono chiare, senza ipocrisia;
la legge non centra nulla, ne il processo.
La finalità è la morte di Gesù, non la verità o la giustizia.
La giustizia è piegata al male, manipolata,
usata per uccidere un innocente.
Eppure, annota l’evangelista, Pilato e Caifa stanno realizzando
una profezia; Gesù aveva predetto quel tipo di morte.
Quella morte, la più ignominiosa, la morte riservata agli schiavi,
la morte più temuta.
Sappiamo che il Sinedrio aveva già tentato di lapidare Gesù.
Pur essendo vietata la pena di morte, i romani chiudevano
un occhio sulle lapidazioni, eventi improvvisi
(ricordate l’adultera?),
legati alla ribollente religiosità giudaica.
Ma il Sinedrio vuole che Gesù sia crocifisso; la sua 
dev’essere una morte esemplare, meditata, che 
segnali a tutti inequivocabilmente, che Gesù è contro 
il tempio, contro la legge, un blasfemo, un pubblico peccatore.
La gramigna dev’essere strappata alla radice.
Allora Pilato entrò di nuovo nel pretorio,
chiamò Gesù e gli disse: “Tu sei il re dei giudei?”.
Gesù rispose:
“Dici questo da te stesso o altri te l’hanno detto di me?”.
Rispose Pilato: “Sono io forse un giudeo? La tua nazione e i
sacerdoti-capi ti hanno consegnato a me.
Che cosa hai fatto?” (Giovanni 18,33-35).
Pilato rientra e pone a Gesù la domanda diretta,
sa dell’accusa di lesa maestà.
La risposta di Gesù richiama Pilato alla sua responsabilità,
ma, nel contempo, capisce che il processo è già segnato
e che Caifa ha ben informato il prefetto.
Pilato prende le distanze, nega sin d’ora la propria responsabilità;
lui è estraneo ai fatti, Gesù è consegnato dai suoi concittadini,
dai suoi capi religiosi; deve avere combinato qualcosa
di grosso per essere in quello stato!
Il potere prende le distanze dal popolo, quando gli conviene,
si sente migliore, pone dei distinguo.
Gesù, invece, si sporcherà le mani, non prenderà le distanze,
chiederà perdono per la sua gente,
sarà solidale con il popolo al punto da morire per esso.
Rispose Gesù: “Il mio Regno non è di questo mondo.
Se di questo mondo fosse il mio Regno, le mie guardie 
avrebbero combattuto perché non fossi consegnato 
ai giudici. Ora, il mio Regno non è qui” (Giovanni 18,36).
Gesù tranquillizza Pilato, e noi; non vuole essere re 
come lo sono i re di questo mondo, non ha un esercito, 
nessuno lo ha difeso.
L’accusa del Sinedrio è falsa, assurda, il Regno di Gesù 
non ha nulla a che vedere con l’impero o con Israele, 
è un Regno interiore, spirituale.
Nella storia degli uomini, alcuni cristiani hanno creduto di
poter esercitare un potere temporale basato sulla loro ideologia,
Gesù nega questa possibilità, non esiste, e quando è esistita,
ha avuto più ombre che luci.
Ai discepoli è chiesto di stare nella città degli uomini
dando a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio.
Ispirandosi al Vangelo, i discepoli sono chiamati a confrontarsi con il
mondo per decidere come costruire una società più umana e giusta.
Gesù nega la sua pretesa di voler essere re,
smascherando il perverso intrigo messo in piedi da Caifa.
Gli disse allora Pilato: “Dunque sei tu re?”.
Rispose Gesù: “Tu dici che io sono re.
Io sono nato per questo e per questo sono venuto al mondo;
per rendere testimonianza alla verità.
Chiunque è della verità, ascolta la mia voce” (Giovanni 18,37).
Gesù ha ammesso di essere re in maniera diversa.
Pilato non capisce; per lui l’orizzonte è sempre e solo politico,
è incapace di vita interiore, di spiritualità.
Vi è mai successo di parlare con persone del genere?
A me sì, ed è veramente sconfortante!
Gesù cerca ugualmente di convertirlo, di parlargli di Dio.
La regalità consiste nel rendere omaggio alla verità,
nel renderle testimonianza, nel ricercarla e servirla.
Se si cerca le verità, se si ha il desiderio di senso,
se non ci si accontenta, ci si avvicina a Cristo, inesorabilmente.
Non importa se si è devoti o particolarmente spirituali;
è sufficiente avere desiderio di verità, di senso, di pienezza.
Forse anche Pilato, nonostante tutta la crosta che soffoca il suo 
cuore, ha sentito questo vuoto da colmare? Non lo so!
Gli dice Pilato: “Che cos’è la verità” (Giovanni 18,38).
No purtroppo.
Pilato non ha mai ascoltato nulla, dentro di se.
Sente solo il suo ego, è pieno di rumore il suo cuore,
proprio come accade ai nostri chiassosi e rissosi tempi.
Tempi tristi, i nostri, in cui se sei appari ad ogni costo,
e sbraiti e urli e ti imponi.
Tempi burrascosi, in cui la moderazione, la gentilezza,
l’onestà, sono visti come debolezza.
Tempi sciocchi, in cui si coltiva il nulla,
non ci si volge dentro o indietro,
per imparare dai giganti che ci hanno preceduto.
Gioca, Pilato, da buon attore,
da uomo del suo tempo, da scettico.
Verità? Cos’è la verità?
Chi può dire di conoscere la verità?
O di possederla?
Sembra di sentire i discorsi dei giorni nostri,
di cui si pensa che il relativismo delle idee sia segno
di modernità, di intelligenza, di superiorità.
Negare che esista una verità significa condannarsi alla barbarie.
Esce, Pilato, non sa di avere innanzi a sé la verità,
non vuole ascoltarla, non vuole vederla.
Per noi discepoli, la verità non è un concetto,
un insieme di dogmi, ma una persona.
Gesù è la nostra verità, che ci rivela chi è
veramente Dio, e chi siamo noi.
Detto questo, uscì di nuovo dai giudei e disse loro:
“Io non trovo in lui alcun capo d’accusa.
Ma voi avete l’usanza che io vi liberi qualcuno a pasqua.
Volete dunque che vi liberi il re dei giudei?”.
Si misero allora a gridare: “Non lui, ma Barabba!”.
Barabba era un bandito (Giovanni 18,39-40).
Pilato esce di nuovo; è perplesso.
Gesù non è un pazzo esaltato, non un rivoluzionario,
non vuole sovvertire un bel niente.
Può essere un simpatico idealista, questo sì,
un profeta, ma niente di più.
È innocuo, non ha di che preoccuparsi, Pilato.
Ma mentre esce, comincia a delinearsi un piano;
forse questo svampito può diventargli prezioso.
Si rivolge alla folla.
Caifa freme, la situazione gli sfugge di mano.
Pilato afferma che non trova nessun capo d’accusa,
sa bene dove vuole andare a parare.
Allora Pilato prese Gesù e lo fece flagellare.
Poi i soldati intrecciarono una corona di spine,
gliela posero sul capo e lo rivestirono di un manto di porpora;
e si avvicinavano a lui e dicevano: “Salve, o re dei giudei!”.
E lo prendevano a schiaffi (Giovanni 19,1-2).
Gesù viene fatto flagellare, visto che è innocente! Perché?
Gli storici sostengono che la flagellazione poteva
precedere o sostituire la pena di morte.
Probabilmente Pilato la usa per ricattare Caifa, facendogli 
credere che la punizione del Nazareno si fermerà lì.
Terribile, semplicemente terribile;
Gesù è un oggetto, un pupazzo.
Quante volte il potere usa Dio in questo modo!
La scena tragica dello scherno dei soldati, tutti siro 
palestinesi e samaritani, acerrimi nemici dei giudei,
è probabile che tutto questo lo abbiano fatto
per far passare il tempo, per divertirsi.
Sappiamo bene quanto la violenza e la guerra possano
scatenare la belva che c’è in noi; tristissimi episodi 
recenti, ci dimostrano che anche il più onorevole e 
civilizzato cittadino si può trasformare in aguzzino,
come se la storia non avesse insegnato l’inutilità
della tortura anche mediatica.
Dopo la flagellazione, che riduce un uomo ad
un groviglio di carne sanguinolenta, Gesù è deriso, 
sbeffeggiato, sul capo una corona, una specie di casco, 
fatto con un rovo dagli aculei lunghi e taglienti e un 
manto, forse un mantello dei soldati, per deriderlo.
Ogni confine di rispetto e di pietà, viene infranto,
Dio conosce la tenebrosa follia degli uomini.
Intanto Pilato uscì di nuovo fuori e disse loro:
“Ecco che ve lo conduco fuori, affinchè sappiate
che non trovo in lui nessun capo di accusa”.
Uscì dunque Gesù fuori, portando la corona
di spine e il manto di porpora.
E disse loro: “Ecco l’uomo!” (Giovanni 19,4-5).
Pilato fa condurre fuori Gesù.
Per lui il procedimento è finito e la sentenza eseguita.
Ma, quando esce, Pilato stesso resta colpito dalla scena.
Mostra Gesù alla folla, lo indica.
Ecco l’Uomo. Ecco l’Uomo, Lui vi spaventa?
Guardatelo, ora, è innocuo, sfigurato, sconvolto,
questo sarebbe un re? Costui vi fa paura?
Si, Pilato ci fa paura, con le sue verità!
Solo qualche giorno prima lo abbiamo osannato, ora,
che il vento ha cambiato direzione, abbiamo paura 
e lo vogliamo eliminare, ci sentiamo forti solo quando 
siamo nella massa, quando ci troviamo da soli, 
a faccia, a faccia con Lui, abbiamo paura delle nostre 
responsabilità, per questo lo vogliamo eliminare e,
rifiutiamo il suo amore.
Guardiamolo bene quell’Uomo,
osserviamo bene quel viso sfigurato.
Giovanni pone questa affermazione al centro esatto del suo racconto.
Ecco l’Uomo; davvero Gesù è l’umanità compiuta, redenta.
Anche se sfigurato, anche se massacrato, Gesù realizza
pienamente l’umanità; davvero Egli è il nuovo Adamo.
Seguendo Cristo diventiamo più uomini,
seguendo il Signore impariamo chi siamo in profondità.
Dio non è avversario e ostacolo dell’uomo,
ma suo Creatore e modello.
In quell’Uomo sfigurato, che si dona per amore,
che porta avanti la sua idea di Dio fino a morirne,
che non cede alla violenza, che affronta un giudizio-farsa
con immensa dignità, noi vediamo il vero volto dell’Uomo.
(Brano di Giovanni 19,6-8).
Il braccio di ferro, ora, è evidente; la tresca è smascherata.
Nessun reato di lesa maestà, ma figuriamoci.
Caifa scopre le carte;
quell’Uomo è pericoloso perche si prende per Dio.
Adesso capiamo perche Caifa vuole uccidere Gesù?
Semplicemente per la paura di perdere i suoi favori!
Pilato impallidisce; che storia è mai questa?
No, non si converte, Pilato,
forse è turbato dalla forza di quel prigioniero.
 Dalla sua tenacia.
O forse, come qualcuno traduce, Pilato non ha paura,
ma freme di rabbia perche si sente preso in giro dal Sinedrio.
(Brano di Giovanni 19,9-11).
Pilato è incuriosito, pone domande, ma Gesù tace.
Non è il desiderio di chi vuole diventare discepolo, il dove abiti?
di Giovanni e Andrea, quello di Pilato è solo curiosità.
 È la curiosità suscitata dal fenomeno nuovo, dall’animale raro.
Gesù tace giustamente.
Pilato si irrita, pensa di spaventarlo, gli fa capire di averlo in pugno.
Gesù risponde; non sei nulla, Pilato,
e stai assecondando uno sporchissimo affare.
Usi il tuo potere come se fosse un gioco, uno strumento,
non un servizio della verità. Sei debole.
Pilato ora è turbato davvero.
L’ultima frase lo sta incrinando;
questo popolano del nord la sa lunga, è saggio.
No, Pilato vuole interrompere il gioco perverso
in cui lo hanno trascinato. Ma.
Da quel momento Pilato cercava di liberarlo.
Ma i giudei continuavano a gridare:
“Se tu liberi costui, non sei amico di Cesare.
Chiunque si fa re, si oppone a Cesare” (Giovanni 19,12).
Ecco l’arma segreta, tenuta nascosta fino a ora.
I giudei sanno che Pilato teme il giudizio di Roma.
Pilato è colto in fallo, il suo lato debole.
Anche noi, troppo spesso, agiamo per paura del giudizio
degli altri e, così facendo, perdiamo noi stessi.
Ci comportiamo secondo quello che gli altri vorrebbero,
per elemosinare amore, o per paura.
Non siamo liberi.
Pilato vacilla. Ma può ancora alzare la posta, vedremo chi vince.
(Brano di Giovanni 19,13-16).
Giocano, Pilato e Caifa. Ma anche Giovanni non scherza.
Rileggete bene il brano che vi è stato riportato.
È così, in origine, ambiguo, sgrammaticato.
Pilato conduce fuori Gesù e siede sul tribunale.
Chi siede? Pilato o Gesù?
Vedete, sembra che, in tutta questa storia,
Gesù sia una figura marginale.
Siamo alla battaglia finale, Pilato alza il tiro.
Caifa è furioso; il suo tentativo di risolvere la
questione in poco tempo è fallita, si è radunata molta folla,
Pilato ha scoperto il gioco e lo tormenta,
peggio non potrebbe andare, ormai è tardi, hanno 
perso l’intera mattinata, la questione va risolta ora.
Urla la folla; crocifiggilo, via, basta!
Quanto l’ha studiata, Pilato? O gli è venuta d’istinto?
È un genio. Provoca. Crocifiggerò il vostro re?
Su andiamo, non è il re d’Israele, non è il Messia,
non lui, non questo poveraccio!
La frase che ne esce è orribile.
Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare.
Come dire, non abbiamo altro Dio all’infuori di Yhwh (Gesù).
I rappresentanti del popolo, hanno appena bestemmiato
e hanno riconosciuto il potere dell’odiatissimo romano.
È incredibile! Pilato è soddisfatto.
Quel Nazareno gli è stato utile.
A Pilato interessava arrivare solo a questo.
E a Caifa uccidere Gesù, per preservare il suo potere
religioso, costi quello che costi.
Onore al potere, riesce persino a manipolare le coscienze e,

noi non ce ne accorgiamo.   

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