VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

Il nostro intento e' quello di condividere l'amore del Signore e la maternità di Maria che hanno per tutti noi anche attraverso l'organizzazione di pellegrinaggi al santuario dell'Amore Misericordioso e da alcuni anni anche a Medjugorje.



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domenica 21 settembre 2014

Il Dio giusto

Padrone buono, operai cattivi.
Amare fino a donarsi, amare fino morirne.
L’inquietante festa dell’esaltazione della croce di Gesù,
esaltazione dell’amore, non del dolore,
ci sprona a guardare con maggiore attenzione al
volto di questo Dio che è disposto a morire per
indicare agli uomini la strada della piena realizzazione:
il dono di sé.
Gesù usa ogni strumento, prima dell’ultimo,
definitivo segno dell’ostensione, per convertire il
cuore intorpidito e stordito di noi uomini.
Ama, in particolare, l’uso delle parabole.
Le parabole sono racconti ancorati alla vivida
realtà quotidiana delle persone che Gesù aveva dinnanzi.
Oggi la liturgia ci propone la parabola di quel
padrone che esce a prendere degli operai a giornata per
la sua vigna, scena ancora molto diffusa nei
grandi paesi del Sud Italia.
L’immagine della precarietà più assoluta, della speranza
riposta nell’umore di un padrone che deve scegliere
(in base a cosa? Mah…) chi far lavorare e chi no.
Ma il padrone della parabola di Gesù,
evidentemente, è un tipo strano.
Ha decisamente poco senso degli affari (suoi).
(Molto quello degli altri).
Lo sprecone
Il nostro Dio è un Dio sprecone, che soffre nel vedere
i lavoratori disoccupati alle cinque di sera,
che accetta di prenderli anche quando
sono ormai inutili nel lavoro,
quando la stanchezza e il caldo si fanno
sentire e il ritmo diminuisce,
vedendo la conclusione della giornata avvicinarsi.
Lo fa per dar loro dignità, per offrire loro l’occasione
di avere uno straccio di stipendio e mantenere la famiglia.
Cosa c’è di più umiliante e doloroso, per un padre, per
una madre, di tornare a casa senza pane per i figli?
Lo sa bene il padrone sprecone.
Non fa elemosina, non fa calare dall’alto la sua generosità.
Trova un artificio: fa lavorare per un’ora soltanto anche
gli ultimi operai, una pietosa scusa per farli tornare a
casa con un denaro in tasca.
Dio si occupa di noi, soffre nel vederci spaesati,
perduti come pecore senza pastore.
Dio ci ama, sul serio, ci rispetta nel chiamarci a lavorare
nella sua vigna, non fa pesare la sua posizione.
Questo è il Dio di Gesù: non un concorrente,
non un tiranno, non un lunatico. Ma.
Questione di giustizia
Bella storia, bella parabola, siamo tutti contenti. O quasi.
L’accordo stabilito con gli operai della prima ora è
quello di avere un denaro in cambio del loro lavoro.
Patti chiari, amicizia lunga.
Poi, arriva il momento della paga, e il padrone comincia
a pagare partendo dagli ultimi e da loro un denaro.
Stupore inatteso per chi si vede dare il denaro.
Stupore per quelli della prima ora che, pensano,
sicuramente riceveranno più del pattuito.
E invece non accade; giunto il loro turno,
ricevono anch’essi un denaro.
Malumore, ovvio.
Hanno ragione, in fondo, non è giusto quest’atteggiamento,
occorre protestare educatamente, chiedere almeno due
o tre denari, forse il padrone si è distratto.
Certamente, visto il malumore, chiederanno 
al padrone di più. Macchè.
Chiedono che agli ultimi sia dato di meno.
Forti con i deboli, deboli con i forti.
Dei gran bastardi.
Bastardi dentro
Meno di un denaro.
Un denaro è il guadagno minimo giornaliero per poter
dar da mangiare ad una famiglia ai tempi di Gesù.
Invece di esercitare un legittimo diritto (Dacci di più,
abbiamo lavorato tutto il giorno!), se la prendono con i
deboli: chiedono di dar loro di meno.
Meno di ciò che è indispensabile per vivere.
Terribile.
La rabbia di Dio
Il padrone si urta, e fa bene.
Lui è buono, non sciocco.
È buono e quindi giusto e svela la
malvagità nascosta dei primi operai.
Prima della giustizia c’è la misericordia, sopra il diritto
e il contratto c’è l’attenzione alla sopravvivenza.
Il padrone non ha peli sulla lingua: voi vi nascondete
dietro la giustizia per mascherare la vostra malvagità.
Insisto spesso sulla gratuità di Dio.
Gratuità assoluta, sconcertante, che ne svela la bontà.
Eppure il Vangelo, a leggerlo bene, è tutto un intreccio
di incomprensioni rispetto a questa bontà.
Così è il prologo di Giovanni che ci ricorda che
le tenebre non hanno accolto la luce (Gv 1,11),
o la splendida parabola del figliol prodigo (Lc 15),
in cui i due fratelli, chi in un modo chi nell’altro,
non hanno ancora capito il volto del padre,
uno scambiandolo per un ostacolo alla sua sfrenata
libertà, l’altro nella ristrettezza di un dovere
sopportato a malincuore.
Così è oggi, nell’inquietante parabola dei servi
dell’ultima ora.
Che visione ho di Dio?
Davvero ho scoperto la sua bontà?
Questa bontà mi ha contagiato, sì da riversarsi sui fratelli?
Che paga ci aspettiamo alla fine della giornata lavorativa?
Che visione abbiamo del premio che il Signore ci riserva?
A volte penso che siamo solo capaci di,
proiettare su Dio le nostre piccolezze.
E la logica di Dio assomiglia terribilmente alla nostra
mediocre, rassicurante e grigiastra logica.
Convertirsi alla bontà
Gli operai della prima non hanno capito
con chi hanno a che fare.
Hanno ridotto la loro fede a fatica e sudore.
Peggio: guardano con sospetto gli altri,
quasi concorrenti dei loro privilegi.
Non è così per chi ha colto la luce del Vangelo.
Stupiti, abbagliati dalla bontà del padrone, gioiamo per
la grazia di poter lavorare nella vigna, gioiamo per la
possibilità che altri fratelli anche all’ultimo possano
accogliere la grazia che ci ha trasformati.
La bontà di Dio contagi la nostra vita, in modo da rendere
la nostra giornata lavorativa, sin d’ora, immagine di quella
gioia che il Signore riverserà nei nostri cuori forgiati
dalla fatica dell’amore.
Il nostro Dio, mite e umile di cuore, che vivrà quella
pagina dall’albero della croce accogliendo il buon ladrone,
ci faccia uscire dalle ristrettezze di una fede “sindacale”
per percepire, almeno un poco, quale braciere d’amore
e di bontà è il suo cuore.
Impariamo dal Signore, che è mite e umile di cuore ...


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