Esaltiamo la Croce? No
grazie!
Dedicata a te Laura.
Avete ragione, scusate.
Davanti al dolore dell’innocente, davanti alla sofferenza
Davanti al dolore dell’innocente, davanti alla sofferenza
inattesa, davanti ai tanti volti di
persone che hanno
avuto la vita stravolta dalla tragedia
di una malattia
o di un lutto, le parole diventano
fragili e l’annuncio
del Vangelo si fa zoppicante.
L’unica vera obiezione all’esistenza di
un Dio buono,
così come Gesù è venuto a svelare, è il
dolore
dell’innocente.
Molti dei dolori che viviamo hanno la
loro origine
nell’uso sbagliato della nostra libertà
o nella
fragilità della condizione umana.
Ma davanti ad un bambino che muore anche
il
più saldo dei credenti vacilla, statene
certi.
Al discepolo il dolore non è evitato, e
non cercate
nella Bibbia una risposta chiara al
mistero del
dolore (Ma davvero cerchiamo una
risposta?
Noi vogliamo non soffrire, non delle
risposte!).
Non troviamo risposte al dolore, troviamo
un
Dio che prende su di sé il dolore del
mondo.
E lo redime.
E lo redime.
Per noi oggi, giunge l’occasione di una
seria riflessione sulla croce.
Dio
non ama la sofferenza.
Prima, però, voglio chiarire una cosa.
Prima, però, voglio chiarire una cosa.
La croce non è da esaltare, la
sofferenza non è mai
gradita a Dio, Dio non gradisce il
sacrificio fine a se stesso.
Lo dico per scongiurare la tragica
inclinazione
all’autolesionismo tipica del
cattolicesimo,
inclinazione che crogiuola il cristiano
nel proprio
dolore pensando che questo lo avvicini
a Dio,
inclinazione che produce molti danni.
La nostra è una religione che rischia
di fermarsi al
venerdì santo, perché tutti abbiamo una
sofferenza
da condividere e ci piace l’idea che
anche
Dio abbia sofferto come noi.
Ma la nostra fede non resta ferma al
calvario,
sale al sepolcro.
E lo trova vuoto, certo, e ne sono
sicuro.
La felicità cristiana è una tristezza
superata,
una croce abbandonata perché ormai
inutile e
questa croce, ormai vuota, viene
esaltata.
La croce non è il segno della
sofferenza di Dio,
ma del suo amore. Grande Gesù.
La croce è epifania della serietà del
suo
bene per ciascuno di noi.
Fino a questo punto ha voluto amarci, perché
altro
è usare dolci e consolanti parole, altro
appenderle a
tre chiodi, sospese fra il cielo e la
terra.
Il
paradosso dell’amore.
La croce è il paradosso finale di Dio, la sua ammissione
La croce è il paradosso finale di Dio, la sua ammissione
di sconfitta, la sua dichiarazione di
arrendevolezza:
poiché ci ama lo possiamo crocifiggere.
Esaltare la croce significa esaltare l’amore,
esaltare la croce significa spalancare
il
cuore all’adorazione e allo stupore.
Innalzato sulla croce, (Giovanni non
usa mai
la parola “crocifisso” ma “osteso” cioé
mostrato)
Gesù attira tutti a sé.
Davanti a Dio nudo, sfigurato, così
irriconoscibile
da necessitare di una didascalia per
riconoscerlo,
possiamo scegliere: cadere nella
disperazione
o ai piedi della croce.
Dio–ormai–è evidente, abissalmente
lontano
dalla caricatura che ne facciamo;
Egli è li, donato per sempre.
E al discepolo è chiesto di portare la
sua croce.
Ho scoperto che, spesso, la croce sono
gli altri
a procurarcela.
O noi stessi.
E noi ci svegliamo ogni mattina e la
carteggiamo e la pialliamo.
Evitiamo le sofferenze inutili, abbandoniamo
i dolori che scaturiscono da un’errata
visione del mondo.
Portare la propria croce significa portare
l’amore
nella vita, fino ad esserne crocifissi.
La croce non è sinonimo di dolore ma di
dono,
dono adulto, virile, non melenso né
affettato.
Dio ci ha presi sul serio, rischiando
di essere
uno dei tanti giustiziati della storia.
Ora è per noi l’occasione di posare lo
sguardo sulla
misura dell’amore di un Dio che muore
per amore,
senza eccessi, senza compatimenti,
libero di donarsi, osteso, amici,
osteso.
Questo, ora, è il volto di Dio.
Questo, ora, è il volto di Dio.
Cristi in croce.
Allora ti rispondo, amico, che mi hai telefonato,
Allora ti rispondo, amico, che mi hai telefonato,
urlando a Dio il tuo dolore: alla fine
della tua acida
preghiera non troverai un muro di
gomma, né un
volto indurito, ma–semplicemente–un Dio
che muore con te.
E potrai scegliere di bestemmiarlo e
accusarlo
ancora per il tuo immenso dolore,
oppure restare stupito come quel ladro
crocifisso
che non sapeva capacitarsi di tanta
follia d’amore.
Tutto qui, la croce è l’unità di misura
dell’amore di Dio.
Sì, amici, c’è di che celebrare,
c’è di che esaltare,
c’è di che esultare, per l’immenso
amore che
Cristo ha riversato su di noi.
Buona Domenica a tutti voi sofferenti
come Cristo, Fausto.
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