VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

Il nostro intento e' quello di condividere l'amore del Signore e la maternità di Maria che hanno per tutti noi anche attraverso l'organizzazione di pellegrinaggi al santuario dell'Amore Misericordioso e da alcuni anni anche a Medjugorje.



Per informazioni e contatti scrivere a:

FAUSTOBERTILLA@GMAIL.COM



CELL. 349/1009626

domenica 21 novembre 2010

Gesù Cristo Re dell'Universo

Una riflessione alla fine dell'anno
Liturgico, un modo per capire dove
dobbiamo dirigerci, capire qual'è
la strada da percorrere per non
sbagliare.

Il trono è sempre e solo una croce.

Il popolo stava a vedere,
i capi invece lo schernivano, dicendo;
ha salvato gli altri, salvi se stesso,
se è il Cristo di Dio, il suo eletto.
Anche i soldati lo schernivano,
e gli si accostavano per porgergli dell'aceto,
e dicevano; se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso.
C'era anche una scritta, sopra il suo capo.
Questi è il re dei Giudei. (Luca 23,35-38).

Chi comanda in questo nostro mondo?
Lo Stato più organizzato, quello che controlla
le fonti di energia, chi ha più soldi,
chi ha eserciti ben armati, chi sa inventare
strategie che guardano all'avvenire? No!
La storia ci ha abituato a valutare, a dimostrare,
a definire i criteri di grandezza; ci ha anche aperto
gli occhi, a vedere come dai troni si può arrivare
alla polvere, come impensabili crolli si siano
verificati quasi senza previsioni.
Non è di questo genere il regno di cui parla Gesù
alle folle che lo seguono.
A Pilato che con arroganza lo tira in giro;
dunque tu sei re?.
Gesù risponde e lo invita ad uscire dalla sua
cancelleria, dal suo dipartimento, dalla sua
Casa Bianca.
Il vero regno non è questo che tu rappresenti.
Il suo regno, il suo potere è una crocifissione,
con tanto di piccole e grandi miserie che lo colorano.
C'è chi lo tira in giro;
guardalo quì quello che parlava tanto!
Eccolo quello che si faceva passare per
irrangiungibile, figlio dell'Altissimo!
Facci vedere che cosa sai fare!
Io credo solo a chi sa staccarsi da questa croce.
Ho anchio una croce addosso da tutta la vita,
non me l'hai tolta neanche tu.
Che aspetti a tirarci fuori da questa sporca vicenda?
Gli chiede un ladro che spera
di farla franca ancora una volta.
L'altro ladro però intuisce qualcosa;
quegli occhi, quel volto,
quel respiro è di chì regna solo se
l'uomo riconosce di dover essere perdonato
e si lascia rinnovare da quel perdono,
è un regno fragile, non ha divisioni,
strategie, costrizioni.
Diventa vero solo se l'uomo si lascia amare.
E quel ladro capisce l'enormità dell'amore di Dio,
e riesce ad intenerire il cuore di Gesù e gli
frega il perdono; oggi sarai con me in paradiso.
Dopo una vita di fallimenti, nell'ultimo
istante della sua vita, ha volto lo sguardo
a Dio e ha incontrato la sua Misericordia,
la sua salvezza e il suo Amore.
Il simbolo dell'amore sarà sempre una croce.
Dio ha uno strano modo di rivendicare il
suo potere; è quello di morire perdonando.
Se noi ci lasciamo conquistare da questa
inaugurazione, già oggi facciamo parte
del suo Regno.

Carissimi, da Domenica inizia il tempo
della meditazione, capire il perchè quella
nascita, a cosa ci serve e perchè ci serve.
Io l'ho già fatto e ho tratto una bellissima
conclusione, che purtroppo è troppo lunga
da mettere nel blog mi dispiace, spero
che anche voi riusciate a farla in caso
contrario contattatemi e vedrò se vi fa
piacere di poter farvela avere.
Ora se Dio vuole vado un periodo al
Santuario dell'Amore Misericordioso
a ritemprare lo spirito con tanto
tempo per la preghiera, così potrò
pregare per tutti voi e raccomandarvi
a Gesù Amore Misericordioso.
Buon cammino di Avvento ed un Santo Natale
quello vero, quello che riempie il cuore
di amore, gioia e felicità nell'incontrare
il Signore a tutti voi amici e pellegrini
con tanto affetto da Fausto e Bertilla.

domenica 7 novembre 2010

VORREI ESSERE PRESO PER MANO DA TE

Carissimi, ho ricevuto un ringraziamento
da un nostro amico pellegrino dopo
il pellegrinaggio di ottobre a Medjugorje,
ma nello stesso momento un'accorato
bisogno di sentire vicino a sè persone
amiche, per questo mi ha ringraziato,
perchè, anche se non ci conoscevamo,
mi dice, mi hai chiamato amico,
mi hai fatto sentire qualcuno,
mi hai fatto capire che per te
sono importante e mi hai sorriso.
Ti ringrazio di questo caro amico,
e voglio regalarti questa meditazione
che ho fatto leggendo la tua E.mail.
Spero ti possa servire a capire che
se vuoi c'è un amico più importante
che vuole starti vicino; è Gesù.
Dal vangelo secondo Marco.
Giunsero a Betsàida,
dove gli condussero un cieco pregandolo di toccarlo.
Allora preso il cieco per mano,
lo condusse fuori del villaggio e,
dopo avergli messo della saliva sugli occhi,
gli impose le mani e gli chiese:
Vedi qualcosa?
Quegli, alzando gli occhi, disse:
Vedo gli uomini, poichè vedo come
degli alberi che camminano.
Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi
ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e
vedeva a distanza ogni cosa.
E lo rimandò a casa dicendo:
Non entrare nemmeno nel villaggio.
(Marco 8,22-28).
****************************************
Non gli ha regalato un bel cane lupo, addestrato,
con un pelo liscio e striato, affettuoso, intelligente,
che lo conduce dove vuole, lo difende,
gli fa intuire il pericolo, lo segue con fedeltà;
non gli ha regalato un bel bastone bianco,
che lo segnala a tutti passanti,
così che lo schivano o lo aiutano
ad attraversare la strada;
nemmeno gli ha fatto una
campagna di sensibilizzazione
per far costruire percorsi segnaletici sui marciapiedi
o alfabeto braille sui tasti degli ascensori.
Lui è un cieco, piuttosto rassegnato,
non sbraita, non maledice nessuno, non importuna,
nemmeno sta sulla strada a stendere il
cappello e a impietosire i passanti.
Si sente forse sfortunato, sicuramente demotivato.
E te credo!
Ma ha degli amici che non lo mollano e
che lo hanno portato affettuosamente da Gesù.
Tu Gesù che sei la luce,
che ci hai aperto gli occhi con le tue parole,
che ci hai disciolto le nebbie della vita,
che ci trascini fuori da tutte le nostre idiozie,
tocca questo nostro amico,
fa quello che sai fare solo Tu,
ridagli la gioia dei colori,
la possibilità di leggere il sorriso dei bimbi
e di guardarci negli occhi.
E Lui, Gesù, lo prende per mano.
Non ha guardato se è un amico o un
conoscente, non gli ha fatto i raggi X. No!
Lo ha preso per mano.
La sua mano si stringe alla mano del cieco,
stabilisce con lui un contatto tenerissimo.
Non vi è mai capitato di essere
in un momento di depressione,
quei momenti che ti fanno vedere tutto nero e,
vorresti sentire la mano di una persona amica,
che stringe la tua per infonderti coraggio?
Io si tante volte amici.
In quel momento capisci quanto
sia importante un’amicizia.
Il cieco non lo vede, non immagina chi sia,
ma sente la mano di Gesù nella sua.
È la mano che benedice, che accarezza,
che tocca il lebbroso e lo guarisce,
che impone ai malati e ai peccatori e li scioglie.
È la mano piccola del bambino che stringe
quella poderosa del padre,
il bambino ne va fiero,
sente crescerli la forza, regge il
confronto con tutti i suoi amici.
Però purtroppo, ai nostri giorni tanti bambini,
non lo possono fare.
Valle a capire certe persone!
È la mano dell’innamorato che stringe
la mano dell’innamorata;
passano sentimenti tenui, dubbi, certezze,
domande di sincerità, attesa d’amore,
solidarietà, apprensione, gioia.
È la mano, magari stanca per l’età,
che stringe quella dello sposo o sposa,
nei loro ultimi momenti di tenerezza.
Non è la mano che ti stringe alla gola
o che ti trascina nel baratro,
è la mano dell’amico che se necessario,
muore con te, ma non ti lascia.
È la mano della mamma di
Benedetta Bianchi Porro,
una ragazza che alla fine della vita potrà
comunicare col mondo solo attraverso il
palmo della mano e un alfabeto morse
inventato per capirsi tra di loro.
Quei colloqui tra le mani,
hanno permesso di far giungere a noi,
lettere bellissime sulla felicità.
È la dolce intimità di Gesù per la
penosa solitudine di un uomo,
assetato di amore e di salvezza.
È la mano di Dio che solleva l’umanità dal peccato,
è ancora una volta il tocco del Creatore,
all’inizio della vita dell’uomo.
È una mano che toglie dal torpore, che
infonde coraggio, che ispira vita e forza.
È la mano di Gesù che presto sarà bucata dai chiodi,
perché Lui può avere solo mani
bucate per il bene di tutti.
Gesù prendimi per mano,
perché io ho bisogno di sentire il
calore della tua amicizia,
di provare la dolcezza della tua intimità,
ho bisogno di un amore fisico,
creato dalla tua stretta,
dalla tua calda effettività.
Ho bisogno di essere preso per mano,
perché mi vado a infoiare in percorsi sbagliati;
la mia solitudine è continuare a guardarmi addosso,
incapace di dono e di accoglienza.
Prendimi per mano,
per tirarmi fuori dagli automatismi della noia,
dai cammini di perdizione dietro mete allettanti,
ma devastanti.
Prendimi per mano,
che facciamo una catena anche
per i miei amici e ti veniamo dietro
nel tuo mondo di pace e di serenità,
di amore e di perdono.
Signore,
Ti chiedo solo di prendimi per mano con amore.

lunedì 1 novembre 2010

Un pellegrino disilluso

Come è giusto e doveroso,
mettere gli elogi degli amici che ci
hanno seguito in pellegrinaggio,
questa volta abbiamo la possibilità di
mettere anche un lamento.
Un lamento che mi è pervenuto da un
amico di viaggio, Il quale mi dice:
“Sono venuto a Medjugorje con tanta speranza,
a causa di un problema personale,
ho sperato di ricevere un aiuto,
ormai sono passate alcune settimane e
mi ritrovo come prima di partire se non peggio!”.
Ti dico grazie per questo tuo sfogo,
che hai voluto condividere con me,
mi dispiace, credimi, ci ho pregato anch’io di cuore.
Sappi che è capitato anche a me,
tante volte, di rimanere illuso.
Ed è giusto lamentarci.
O, NO!
Permettimi di risponderti, poi,
se ti sentirai deluso puoi mandarmi a quel paese,
abbi però la pazienza di leggere
la mia risposta fino in fondo.
Inizio la mia risposta con un momento di vita di Gesù,
tormentata, letteralmente il brano del Vangelo dice:
“Si è rifugiato nella regione di Tiro e Sidone per
fuggire la tensione che cresce intorno a Lui.
Anche Lui perciò aveva i suoi problemi,
come d’altronde tutti noi,
fanno parte della nostra esistenza, purtroppo.
Ci mancherebbe che non lo fosse.
MATTEO 15,25-28.
In quel tempo,
Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone.
Ed ecco una donna Cananèa,
che veniva da quella regione,
si mise a gridare: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide!
Mia figlia è molto tormentata da un demonio”.
Ma Egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono:
“Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!”.
Egli rispose: “Non sono stato mandato se
non alle pecore perdute della casa d’Israele”.
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo:
“Signore, aiutami!”.
Ed Egli rispose: “Non è bene prendere il pane
dei figli e gettarlo ai cagnolini”.
“È vero, Signore-disse la donna-,
eppure i cagnolini mangiano le briciole che
cadono dalla tavola dei loro padroni”.
Allora Gesù le replicò:
“Donna, grande è la tua fede!
Avvenga per te come desideri”.
E da quell’istante sua figlia fu guarita.
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Un Brano del Vangelo durissimo.
Per questo ho voluto metterlo.
Una donna, sofferente per la figlia ammalata,
chiede un miracolo al Figlio di Davide il quale,
letteralmente, non le rivolge neppure la parola.
Una durezza confermata dal giudizio dato dagli apostoli,
preoccupati dalla sceneggiata fatta dalla donna.
Mi sembra comunque che tu sceneggiate non ne hai fatte.
Almeno spero.
L’insistenza però è vincente;
la donna si butta ai piedi di Gesù e chiede aiuto.
La frase di Gesù è raggelante:
“Non è bene gettare il cibo dei figli in pasto ai cani”.
È un Gesù maleducato, quello che ci presenta Matteo.
Direi!
No amico, non è così.
Gesù ci sta dando una magistrale lezione
su come far crescere le persone.
La Cananèa si avvicina a Gesù sbraitando,
invocando una guarigione;
non le importa nulla di chi sia veramente Gesù,
non è sua discepola,
vuole solo il miracolo del guru di turno.
Il Maestro non le rivolge neppure la parola,
la sua durezza, però, è voluta.
La donna insiste.
Alla fine, esausta, si mette ai piedi del
Signore e chiede solo più aiuto.
Non impone più al Signore i termini del’intervento,
(voglio che accada questo),
ma esprime un generico e più autentico,
bisogno di aiuto.
La frase del Signore—durissima—è
uno schiaffo in pieno volto:
“Bel cane che sei, non t’interessi di me,
non segui la mia Parola, solo vuoi un miracolo.
Io, prima devo occuparmi dei miei discepoli”.
Così facciamo spesso noi!
Ci avviciniamo a Dio, che regolarmente ignoriamo,
quando qualcosa non funziona,
quando abbiamo dei bisogni.
Lasciamo la nostra fede in uno stato di
penosa sopravvivenza e poi,
quando la vita ci chiede un qualche conto,
ecco i ceri che si accendono e le
devozioni che si moltiplicano.
Quando non cadiamo nel ricatto:
“Dio, se esisti, fa che succeda questo….”.
E Dio tace, non ci rivolge neppure la parola.
Se, però, insistiamo, attenti,
potremmo sentirci dire la stessa frase del Vangelo:
“Bella faccia che hai, te ne freghi di me
e ora invochi un miracolo!”.
Cavoli!
Come avremmo reagito noi al posto della Cananèa?
Sinceramente io mi sarei offeso, e me ne sarei andato.
Stanne certo!
La donna Cananèa no, riflette.
La guancia ancora le fa male,
mette da parte il suo amor proprio e confessa:
“Hai ragione, Signore, hai ragione,
sono proprio un cane,
vengo da te solo ora che ne ho bisogno.
Ti prego, però, fai qualcosa”.
Me lo vedo il volto duro di Gesù che si
scioglie in un accogliente sorriso:
“Risposta giusta, questa volta,
la tua fede ora produce miracoli!”.
Bellissimo; grandioso, che Gesù abbiamo.
Mi domando spesso:
“Ma ce lo meritiamo?”.
Sinceramente non lo so.
Perciò, non sempre chi ti accarezza ti ama,
non sempre chi ti fa dei complimenti desidera il tuo bene.
A volte, e questo brano del Vangelo lo dimostra,
anche uno schiaffo ci richiama alla verità.
Allora, ben vengano questi schiaffi di Gesù,
se servono a riportarci sulla retta via.
Non voglio essere un giudice,
e nemmeno l’avvocato di Dio.
Voglio solo farti comprendere che tante volte
sbagliamo l’approccio con Lui.
Io per primo.
Ma se non ci demoralizziamo e insistentemente
ci rivolgiamo a Lui con insistenza e umiltà,
troveremo la grazia attraverso il suo Amore.
Dio ci mette alla prova, come è normale che sia.
A noi la volontà di superarla,
e a volte per farlo servono questi momenti forti
che troviamo attraverso il pellegrinaggio.
Ti auguro di superare questa prova e di trovare
il tuo momento di gioia e di grazia nel Signore Gesù,
medico delle nostre infermità.
Non sempre però ascoltiamo il medico
e non prendiamo le medicine che ci prescrive,
siamo fatti così purtroppo.
Ecco perché a volte Gesù è duro con noi.
Ti saluto e buona cura disintossicante,
ciao con affetto e continuo a pregare per te.

domenica 31 ottobre 2010

Apriti disse Gesù

Apritevi,
continua a dirci anche a noi Gesù.
Sordi e muti lo siamo un po’ tutti.
Sordi, perché non sappiamo o non
vogliamo metterci in ascolto,
chiusi nei nostri piccoli e grandi interessi,
e non ci interessa niente di quello che ci circonda,
magari di quelle persone che vogliono il nostro bene e
la nostra felicità, che noi con i nostri
fasulli interessi snobbiamo.
Muti, perché nonostante il massimo di mezzi di
comunicazione che abbiamo a disposizione,
non riusciamo a dire, a parlare, a comunicare,
magari le nostre preoccupazioni, le nostre paure,
le nostre miserie.
Sordi e muti, perché non vogliamo ascoltare i
buoni consigli e muti perché ci ostiniamo nel
nostro orgoglio, a non chiedere aiuto quando ci serve.
La vita dell’uomo deve essere accoglienza e dono,
deve essere un continuo saper ricevere e riuscire a donare;
se ne togli la prima, non riesci a vivere la seconda.
Se non riesci a sentire, ad ascoltare, non impari a parlare,
se non ti apri ad accogliere e ospitare, a lasciarti provocare,
non riesci a donare;
riesci forse ad importi, a comperare coi tuoi gesti,
a creare dipendenza, ma non a donare.
È così soprattutto nell’amore,
tra due persone che pensano di amarsi,
ma è così anche nel campo della fede.
Solo Gesù può spezzare le nostre resistenze,
renderci capaci di ascoltare una Parola che non è la nostra,
ma la sua, e così renderci capaci di amarlo.
“Apriti”!
È il comando perentorio che Gesù dice a quel sordomuto,
che incontra in una zone
dell’antica Palestina abitata da pagani.
“Apriti”!
È il comando che dice ad ognuno di noi,
in qualsiasi zona noi abitiamo,
magari paganizzate dai nostri interessi sbagliati.
Effatà, apriti!
Sono le parole che si sente dire
ogni bambino che viene battezzato.
Effatà, apriti!
Sono le parole che ci sentiamo dire ancora oggi,
dopo essere stati battezzati tanto tempo fa,
per poi perdere la nostra fede e tappare le orecchie
per non sentirle più pronunciare,
in quanto la nostra vita malandata ci porta
a perderci nei meandri della disperazione.
Ascoltando però quelle parole che il Signore ti dice,
ti si apre una nuova vita,
come un bambino che viene battezzato.
Hai bisogno di costruirla ascoltando una Parola
che non produci tu, ma che ti dona Dio e,
hai bisogno di far sgorgare dal tuo cuore una parola di gioia,
che ti libera e ti permette di offrire a Dio il dono di te stesso.
Apriti!
Vorremmo che Gesù ci dicesse,
quando sbattiamo la porta e andiamo ad isolarci
per non sentire più nessuno,
per la rabbia che è cresciuta dentro di noi,
nei confronti del lui o della lei,
perche ormai da tanto tempo non abbiamo
più niente da raccontarci o da condividere.
O quando non siamo più capaci di ascoltare le invocazioni,
di chi chiede compagnia, di chi chiede perdono,
di chi è disperato e cerca un pò di comprensione.
Apriti!
Vorremmo che Gesù ci dicesse,
quando sepolti in alcune abitudini che ci rendono schiavi,
di qualche vizio assurdo, ma sempre padroni della nostra libertà,
perché sta a noi ascoltare o no,
quella parola di liberazione di Gesù.
Apriti!
Vorremmo che Gesù ci dicesse,
per sciogliere la nostra vita dalle catene del male,
in cui siamo intrappolati,
ed emanare la nostra vita di dono che c’è in noi.
C’è più bontà in noi di quanto pensiamo,
basta lasciarla sgorgare, basta abbandonarci fra le braccia,
dell’Amore Misericordioso del Padre,
come ha fatto Gesù.
Apriamoci, allora, e se proprio non ne siamo capaci
andiamo dall'ottorino, Gesù, che come ha fatto
con il sordomuto, così farà anche con noi.
La visita è gratuita, non serve neanche la prenotazione,
basta la nostra volontà.
Coraggio, allora, andiamo a farci lavare le orecchie
e anche il cuore.

Il pilota automatico

Non vi è mai capitato nella vita di
non stare del tutto bene di spirito,
di sentirvi scontenti,
insulsi e di domandarvi il perché?
Io si, tante volte amici!
Allora si passa in rassegna la vita:
“Non ho fatto del male a nessuno,
non mi mancano gli amici,
il lavoro va bene,
anche se potrebbe andare meglio,
gli affetti sono soddisfacenti.
Eppure…….manca qualcosa,
o c’è qualcosa di nascosto che mi tarpa le ali”.
Si ha l’impressione di condurre una
vita col pilota automatico inserito,
una vita senza soddisfazione,
una vita che va come deve andare senza sussulti.
Magari qualche amico è finito nel lettino del psicanalista per cercare più in profondità.
È riuscito a darsi un po’ di smalto in più,
ma le cose sono quelle di sempre.
Zaccheo, un ricco sfondato non solo di soldi,
ma anche di amici.
Di fortuna doveva averne parecchia,
ma anche lui si sentiva così come voi.
Quando sentì anche lui parlare di Gesù.
Anzi si è informato dei suoi spostamenti.
Ormai Gesù è diventato un personaggio pubblico;
dove passa spopola.
E lui Zaccheo,
per un giorno vuole disinserire il pilota automatico.
Si dà da fare, si guarda dentro,
si scopre un borghese piccolo e vuole vedere Gesù.
La gente lo ha sempre creduto un po’ stravagante;
a Zaccheo interessavano solo i soldi.
Era piccolo e spuntava appena
dietro la cassa delle imposte,
ma tanto poco lo si vedeva e tanto più
riscuoteva con furbizia e inganno calcolato.
Siamo un po’ tutti stravaganti e originali,
soprattutto fissati su qualcosa che ci incatena,
sempre attaccati al proprio io personale.
Gli amici che ci vedono con un po’ di distacco,
sanno già le nostre prossime mosse.
Vedrai, dicono, lui gira, si volta, dice, promette,
parla, spiega, si eclissa, ma te lo troverai sempre là.
Se sei un lazzarone, se ti piace sballare,
se vivi di avventure, se pensi solo ai soldi,
se vedi gli altri come strumento da usare,
se coltivi malanimo, vai e vai ti ritrovi là….!
Zaccheo in questo tran tran, quotidiano ha uno scatto;
vuole vedere Gesù.
Sale su una pianta.
Ve lo immaginate il direttore di
banca in giacca e cravatta,
il professore con borsa e cappello,
l’ingegnere, il monsignore,
la parlamentare salire su un platano?
No di certo,
e tanto meno noi;
perché devo perdere la faccia e la reputazione.
Per cosa.
Non ne vale la pena.
O forse no!
Zaccheo rischia.
Noi siamo perplessi.
Lui rischia la reputazione.
Noi no.
E lo vede; un albero è una tribuna naturale
e comincia già a sentirsi appagato.
Non c’è niente di nuovo.
O forse sì.
Eccolo, Gesù lo vede, alza lo sguardo,
con quello sguardo che ti lacera dentro,
e gli dice: “Lo spettacolo è finito,
adesso sono io che voglio vedere te fino in fondo.
La vita di Zaccheo cambia,
muta la ricchezza che si è procurata con l’inganno,
in fonte di investimento e promozione gratuita:
“Se ho frodato qualcuno dice;
restituisco quattro volte tanto”.
Ecco la nostra paura,
perdere quello che abbiamo accumulato.
Ma quel che mi colpisce di più, è la gioia.
La vita cambia solo se in noi esplode la gioia,
se siamo contenti, se ci lasciamo affascinare e
riempire di gioia per qualcuno.
Se smettiamo di presentare quella faccia da bull dog,
che ci caratterizza ogni mattina e che non
cambiamo prima delle dieci e del secondo caffè.
Zaccheo è stato irrimediabilmente,
affascinato da Cristo.
Alla sua vita mancava solo Gesù.
Come spesso manca alla nostra.
Chissà se capiterà anche a noi qualche volta!
Speriamo presto.
Perché anch’io voglio vedere Gesù!
Non immaginiamo quanto tempo perdiamo,
a rimanere con il pilota automatico inserito
e con la vita quasi piatta.
È giunto il momento allora, di imitare Zaccheo,
salire sul platano,
e di farci affascinare da Cristo.
Coraggio cercatori di Dio.
Gettiamoci anche senza paracadute,
tra le braccia di Gesù Amore Misericordioso.
Lasciamoci trovare non nascondiamoci dietro
ad una foglia di platano per non essere
visti, scostiamola quella foglia, perchè
Dio è perennemente alla nostra ricerca,
dobbiamo solo farci trovare, perciò è
ora di finire di giocare a nascondino,
ora è il momento di giocare al
ritrovato da Cristo e lasciarci guardare
negli occhi per essere trasformati.
Buona Domenica.

domenica 17 ottobre 2010

Ritorno da Medjugorje

Carissimi amici.
Siamo tornati da Medjugorje,
ogni volta è un'easperienza diversa,
unica, speciale, vivere a stretto
contatto per cinque giorni con
persone che trovi ogni tanto, ma
anche con persone che non hai mai
conosciuto e che li vedi per la
prima volta.
Situazioni deverse tra di loro,
chi è venuto per curiosità, chi per
scoprire, chi per riscoprire e chi
infine per disperazione.
E con tutti scoprire il piacere di
pregare assieme, di parlare delle
cose di Dio, di quelle cose che non
ne avevano mai sentito parlare.
Momenti bellissimi, il conoscere
volti nuovi e fare amicizie nuove,
ed è stato un dono grande quello
che mi ha fatto il Signore, perchè,
tante persone che erano con noi
hanno voluto farmi partecipe delle
aspettative che nutrivano in questo
viaggio, delle loro sofferenze, dei
loro dolori, dei loro pesi che devono
portare, delle loro croci e delle loro
disperazioni.
Con tanti di loro ne ho parlato,
condividendo le ansie, le speranze, ed
infine la certezza di avere incontrato
il Dio di Gesù, cioè il Padre,
meglio, il Papà.
Ne abbiamo parlato, discusso, magari
anche a sproposito, chiedo perdono,
ma erano esternazioni spontanee,
vedendo le loro difficoltà ad aprirsi,
a convertirsi alla gioia, ad
abbandonare il sepolcro, come ho
detto durante la via Crucis.
Ed alla fine, vedere il volto
trasformato di quelle persone che
vivevano nella sofferenza, non perchè
se n'era andata, ma perchè stavano
cominciando ad accettarla, a viverla
non più con la morte nel cuore ma con
la gioia di scoprire di non essere
soli a soffrirne ma di avere accanto
Cristo che li accompagnava, sicuri che
in Maria d'ora in poi avranno una
super Mamma che li aiuta e sta loro
vicino.
Sarà sempre così nel proseguo del
loro cammino?
Non lo so.
Spero proprio di si.
Comunque le cadute ci saranno
senz'altro, per questo gli ho
promesso che se vogliono sarò
sempre pronto ad aiutarle, basta
un grido, una telefonata.
Intanto la Madonna le ha
letteralmente prese per mano e le
ha accompagnate ad incontrare l'angelo
in Jens e occhiali, che ha ribaltato
la pietra che ricopriva la porta del
loro cuore e, Gesù vi è entrato
infiammandolo.
Per il Resto ci sarà sempre un Papà
eccezzionale, sempre pronto ad
alleggerire i loro pesi.
A voi tutti, che siete venuti in
pellegrinaggio e visiterete questo
questo mio blog, un saluto, un
grazie ed una preghiera.
Per quelli che ancora non sono
venuti, offro una preghiera e vi
aspetto al prossimo viaggio.
Ciao Fausto.

domenica 12 settembre 2010

Il ciclone Gesù

Parlando con delle persone in un incontro,
del perdono e del rifiuto di perdonare chi
ha fatto del male, vedendo la non tranquillità,
l'ansiosità e l'insicurezza della persona stessa,
mi è venuto spontaneo dire che, per ritornare
alla normalità, alla tranquillità e serenità,
l'unica cosa da fare è perdonare e pregare
per chi ha fatto il male, perchè capisca di
avere sbagliato e non commetta altro male.
Durante la notte ho scoperto che anche la
Madonna stessa ci invita al perdono con il
cuore, come leggiamo nel messaggio da
Medjugorje del 2 Settembre 2010.
Allora appunto leggendo il messaggio
mi è venuta questa meditazione rivolta
all'amica stessa dell'incontro, ma anche a
tutte quelle persone che si trovano nelle
stesse condizioni, cioè, non avere la serenità
per non riuscire a perdonare.
IL CICLONE GESÙ
Avete inteso che fu detto:
Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico;
ma Io vi dico;
amate i vostri nemici e pregate
per i vostri persecutori,
perché siate figli del Padre vostro celeste,
che fa sorgere il suo sole
sopra i malvagi e sopra i buoni,
e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.
Infatti, se amate quelli che vi amano,
quale merito ne avete?
Non fanno così anche i pubblicani?
E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli,
che cosa fate di straordinario?
Non fanno così anche i pagani?
Siate voi dunque perfetti come è perfetto
il Padre vostro celeste (Matteo 5,43-48).
************************************
L’idea più insistente che mi viene quando
penso all’irruzione di Gesù nel mondo,
è quella del ciclone, che è l’irruzione
di una esperienza travolgente,
come l’amore della vita in tutti noi.
Ti cambia tutto; le piccole abitudini,
gli orari, i pensieri, gli amici,
le preoccupazioni, le idee, gli sguardi.
Si vede lontano un chilometro che è
successo qualcosa nella tua esistenza.
Sei sempre allegra, sempre disponibile,
sempre pronta ad aiutare il prossimo
con il sorriso sulle labbra,
ma soprattutto abbonda la pazienza,
anche con chi cerca di farti arrabbiare.
Insomma sei un’altra persona.
Così penso all’arrivo di Gesù nel mondo,
che è sinonimo del nostro cuore.
Arriva come il padrone;
caccia l’usurpatore (il male),
spazza la casa (il nostro cuore),
pulisce l’aia (la nostra mente).
La nostra famiglia trova la pace,
il benessere, la gioia.
Quando irrompe Gesù,
i ciechi vedono, gli zoppi camminano,
i lebbrosi sono guariti,
i sordi odono, la gioia e la felicità
tornano a brillare sul viso dei poveri.
Gli abbandonati, le prostitute, i peccatori,
i pubblicani sono riammessi nel consorzio umano;
le malattie sono curate,
la natura non è più una minaccia,
i peccatori vengono perdonati,
i deboli sono accolti senza essere condannati,
la giustizia è proclamata,
la verità è annunciata, la sincerità è stimata,
le barriere cadono, gli uomini si riuniscono,
un soffio di amore rinfresca la vita,
le ossa aride riprendono a vivere!
Si potrebbe continuare ad elencare
i segni che Gesù lasciava dove passava.
I segni del ciclone Gesù.
Allora non meravigliamoci di sentirci dire;
amate i vostri nemici!
Se amiamo quelli ch ci amano che cosa
abbiamo fatto di originale, di nuovo,
di sorprendente o di straordinario?
Assolutamente niente!
Ecco, la nuova vita in cui siamo lanciati,
una vita nel perdono attraverso l’amore,
come fece il Padre della Parabola
del figliol prodigo,
amare e perdonare a qualunque costo.
La strada della salvezza e della
gioia non è piana, ne in discesa,
ma in salita e piena di pietre,
molto faticosa.
Ma il ciclone Gesù e sua Madre,
Maria la bella di Nazareth,
ci sospingono ad iniziare per renderci
il cammino meno difficile.
Attenzione, non ho detto che il
cammino lo fanno loro per noi,
no,
il cammino lo dobbiamo fare noi,
loro ci aiutano a fare meno fatica,
che è già una gran cosa.
Perciò, Dio è la meta,
la perfezione è il nostro scopo di vita,
l’amore il nostro scudo contro il male,
il perdono l’arma segreta per sconfiggerlo,
la preghiera per rendere la nostra vita un
cammino di serenità, di gioia e di felicità.
Buona camminata cercatori di Dio
e della felicità perduta.

domenica 29 agosto 2010

pellegrinaggio a Medjugorje Ottobre 2010

Siamo stati come avevamo annunciato
a Medjugorje, ne siamo ritornati
trasformati, la abbiamo trovato ad
aspettarci un angelo in jens e occhiali
da sole, credo sia stato mandato ad
aspettarci dalla Mamma Celeste, e ci ha
ribaltato la pietra che avevamo davanti
alla porta del nostro cuore, per lasciar
entrare il richiamo di Maria.
Maria è entrata nel nostro cuore come
un fiume in piena e lo ha trasformato,
facendoci conoscere il Dio di Gesù, non
il Dio che ci eravamo confezionato a
nostro uso e consumo, ma a quel Dio Papà
che ci riempie d'Amore.
E allora abbiamo deciso di ritornarci a
completare il cammino, a capire tutto
quello che Loro hanno da dirci.
Partiamo da Verona l' 11 e ritorniamo il
15 Ottobre 2010, percorreremo l'autostrada
Verona-Vicenza-Padova-Venezia-Trieste,
possiamo fermarci a tutti i caselli
autostradali per chi volesse unirsi a noi
e andare all'appuntamento con la Mamma
Celeste, dopo essere passati dal burlone
di quell'angelo in jens e occhiali da sole,
per ribaltarvi la pietra che avete sul cuore.
Se volete conoscere il programma sulla
testata del blog trovate il mio numero
di cellulare sono Fausto, vi saluto
cercatori di Dio.

domenica 15 agosto 2010

Assunzione della B.V.Maria

Oggi è un giorno speciale per gli innamorati
della Beata Vergine Maria, ricordiamo la sua
Assunzione al Cielo.
Per noi umani è il giorno della festa,
tradizionalmente a ferragosto tutto o quasi
si ferma, per dare sfogo alle feste e al riposo.
Noi oggi invece abbiamo voluto essere
vicini a Maria nostra Madre, pensare come
è stata la sua ascesa e cosa avrà pensato.
Maria credo si sia portata lassù un sogno;
tutti i suoi figli; tutti noi, nessuno escluso.
Nel mezzo dell'estate e del meritato riposo,
la Chiesa ha messo al centro la Madonna.
La festa dell'Assunta, è la contemplazione
di una creatura fatta di carne e ossa come
noi che ha raggiunto la Gloria di Dio, è la
prima della fila degli uomini e delle donne
di questo mondo, che si mettono dietro di
Lei in coda.
La testa della fila è già là.
Ci arriveremo anche noi.
Maria, come ho detto, si è portata lassù un
sogno; il sogno di mezza estate; il sogno di
salvare tutta l'umanità per portarla a Dio Padre.
Ecco allora che con la complicità del Figlio suo
Gesù, continua a venire però quì sulla terra,
ha messo in subbuglio una comunità e in
allarme quanti odiano la nostra fede.
Ma Lei continua, con la nostra conplicità
a rovinare i loro piani e a seminare inviti,
raccomandazioni, richiami e chiamate alla
conversione.
Ecco perchè continuamente andiamo dove
Lei ci chiama, come in questo momento fa
da Medjugorje per aiutarci a non cadere
nell'indifferenza, nella tiapidezza, nel peccato.
Lei continua a richiamarci, perchè vuole
portarci tutti assieme a Lei, in Cielo nella
Gloria di Dio Padre.

domenica 8 agosto 2010

Risposta ad un amico

Ho ricevuto una telefonata da un amico
che vuole rimanere anonimo, non avendo
il recapito telefonico, ti rispondo dal
blog sapendo che entri a leggere i miei
commenti.
La domanda che mi hai fatto è,
chi è Dio?
Vado a Messa, mi ritengo un cristiano,
ma mi sono accorto di non conoscerlo,
Dio lo conosco solo per il mio uso e
consumo, il dubbio di questo mi è venuto,
leggendo quello che scrivi sul blog.
Se puoi, ti chiedo di aiutarmi a conoscerlo
per quello che veramente è, grazie.
Con piacere amico anonimo, cerco nelle mie
possibilità di farti capire chi è Dio,
o quanto meno di come l'ho conosciuto io.
Allora Dio è un Padre, anzi un Papà che è
più familiare, non dobbiamo pensarlo un
personaggio messo la su un piedistallo
in'avvicinabile. NO!
Lui non ci vuol stare sul piedistallo,
vuole stare con noi, essere in noi,
perciò è dentro di noi,
solo che non riusciamo a
sentirlo, perchè troppo pieni del nostro
io personale.
dobbiamo aprirci a Lui, accettarlo,
invitarlo ad entrare in noi, aprirgli
il nostro cuore, solo così conosceremo Dio,
un vero Papà.
A S. Luca dobbiamo un insegnamento esaltante,
una delle più belle Parabole, il cuore stesso
del messaggio di Dio Papà; è la storia di un
padre che ha a che fare con due figli idioti.
Siamo noi.
Un uomo aveva due fgli.
Il più giovane disse al padre: "Padre, dammi
subito la parte di eredità che mi spetta".
Allora il padre divise le sostanze tra i due
figli. Poche giorni dopo, il figlio più giovane,
raccolti tutti i suoi beni, emigrò in una
regione lontana e là spese tutti i suoi averi,
vivendo in modo dissoluto.
Conosciamo credo tutti questa bella Parabola.
Leggiamo di due figli, che hanno entrambi
una pessima idea del padre.
Devo andarmene di casa per realizzarmi,
pensa il primo.
Mi tocca lavorare tutta la vita facendo
il bravo ragazzo senza una piccola soddisfazione,
pensa il secondo.
Quei figli siamo noi, che non lo abbiamo ancora
conosciuto per il vero Papà che è, ci sembra
piuttosto un Dio frustrante, che ci impedisce
di essere liberi.
E allora cerchiamo di crearcelo a nostra
immagine e somiglianza.
Vediamo il primo figlio, che spende tutto,
che si fa dio di se stesso, che pensa che
la vita è opportunità; è bella la vita,
meglio godersela.
Meglio addentarla, farla bella, visto
che è già così difficile.
Solo che poi presenta sempre il conto,
la verità viene a galla e il figlio smarrisce
nel fango dei maiali il suo delirio di onnipotenza.
Si pente? No!
La fame lo fa tornare a casa, non il rimorso,
e allora pensa di ritornare, cercando di prendere
in giro il padre.
Continua a non capire nulla del Padre.
L'altro figlio, che torna dal lavoro stanco
e si offende della festa, ci mancherebbe.
Per lui che non se n'è andato, non c'è niente
neanche un capretto per fare festa con gli amici.
Come possiamo dargli torto.
Però mi chiedo; perchè allora resta nella casa
del Padre, anche se non condivide le sue idee?
Per comodità, per paura del futuro.
Anche lui non ha ancora capito nulla del Padre.
Allora, lasciamo questi due idioti macerarsi
nei loro pensieri.
E guardiamo al Padre=Papà.
Vediamo un Papà che lascia andare il figlio,
anche se sa che si farà del male,
ecco la libertà; come diceva Madre Speranza;
Dio=Papà, quando vede un figlio che cade nel
peccato, si gira dall'altra parte per non
essere d'inciampo, lo lascia fare, non si
oppone alle sue idee; per poi farsi mendicante;
venire a mendicare la nostra richiesta di perdono.
Vedo un Papà però, che scruta l'orizzonte
ogni giorno, per cercatre di vedere il figlio
ritornare.
Vedo un Papà, che corre incontro al figlio che
ha speso la sua eredità e non lo umilia,
non gli rinfaccia le sue scelte, che non accusa,
che abbraccia, che restituisce dignità e che
fa festa.
Vedo un Papà che esce a pregare il fratello
maggiore, che tenta di spiegare le sue ragioni.
Un Papà che tenta di convincere il figlio che
la sua Misericordia supera la giustizia,
che il perdono cancella il rancore.
Vedo un Papà che accetta la libertà dei figli,
che pazienta, che indica, che stimola,
che follemente ama.
Ecco, Dio è così; è pazzamente innamorato di noi,
che si è fatto scannare per salvarci.
Dio è proprio esagerato.
E di esagerato nella nostra storia, c'è solo
l'Amore e la Misericordia di Dio=Papà.
Caro amico, scusa se mi sono dilungato,
ma quando tocchiamo questo tasto, scatta una
molla che mi riempie del suo amore e non
riesco a fare a meno di parlarne.
Perciò apri il tuo cuore, vai alla ricerca
di questo Dio=Papà, sicuro che con la volontà
lo troverai a braccia aperte ad aspettarti.
Ti saluto e ti auguro buona ricerca e se ti
serve sono sempre a disposizione ciao Fausto.

martedì 3 agosto 2010

Il raccolto abbondante

IL RACCOLTO ABBONDANTE
Purtroppo, tutti noi ragioniamo come se conoscessimo
il giorno in cui dobbiamo lasciare questa terra.
Pensiamo in continuazione a cosa fare per
renderci la vita senza problemi,
a disporre il nostro cammino per la vita futura in
modo che sia il più possibile
senza affanni e senza dolori.
Andiamo alla ricerca del benessere per
noi e la nostra famiglia,
senza pensare magari a chi sta peggio dinoi,
spendiamo tante volte i nostri averi
guadagnati magari con inganno,
per curare il nostro corpo, palestra, vestiario,
cure estetiche,soggiorni esotici e per ultimo
magari qualche mago per sapere
come staremo domani o anche dopodomani,…….e Dio,
è un opzional, perché se posso spendere
senza problemi a cosa mi serve?
Allora Gesù disse questa parabola:
La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto.
Ed egli ragionava tra sé:
“Che farò poiché non ho dove riporre i miei raccolti?”
E disse: “Farò così; demolirò i miei magazzini e ne
costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto
il grano e i miei beni.
Poi dirò a me stesso; anima mia,
hai a disposizione molti beni,
per molti anni; mangia, bevi e datti alla gioia.”
Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa
ti sarà richiesta la tua vita.
E quello che hai preparato di chi sarà?”
Così è di chi accumula tesori per sé e,
non arricchisce davanti a Dio.
Poi disse ai discepoli: “Per questo Io vi dico;
non datevi pensiero per la vostra vita,
di quello che mangerete;
né per il vostro corpo, come lo vestirete.
La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito.
Guardate i corvi; non seminano e non mietono,
non hanno ripostiglio né granaio e, Dio li nutre.
Quanto più degli uccelli voi valete.
Chi di voi, per quanto si affanni,
può aggiungere un’ora sola alla sua vita?
Se dunque non avete potere neanche
per la più piccola cosa,
perché vi affannate del resto?
Guardate i gigli, come crescono; non filano,
non tessono;
eppure Io vi dico che neanche Salomoe
con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.
Se dunque Dio veste così l’erba del campo,
che oggi c’è e domani si getta nel forno,
quanto più voi, gente di poca fede?
Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete e,
non state con l’animo in ansia;
di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo;
ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno.
Cercate piuttosto il regno di Dio e,
queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non temere, piccolo gregge,
perché al Padre vostro è piaciuto
di darvi il suo regno.
Vendete ciò che avete e datelo in elemosina;
fatevi borse che non invecchiano,
un tesoro inesauribile nei cieli,
dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma.
Perché dove è il vostro tesoro,
là sarà anche il vostro cuore.
(Luca 12,16-34).
Sullo sfondo del brano del Vangelo,
c’è un fatto che abbiamo sempre
rimosso dai nostri pensieri,
ma che sovrasta la nostra vita: la morte.
Per la nostra vicenda umana è di una immediata evidenza,
anche se nello stesso tempo è continuamente cancellata.
Il nostro esistere appare come un
lungo viaggio verso la morte:
“Gettati verso la morte”.
Questa è l’ultima sponda, il silenzio assoluto.
Per questo la vita e il dolore continuano a intrecciarsi,
a combattere e a dover convivere.
Ma se non esistesse la morte non esisterebbe il pensiero,
non ci faremmo domande.
Farci domande è la dignità dell’uomo.
Farci domande è avere il coraggio di guardare negli occhi,
tutto, la morte soprattutto.
Ed è qui che nasce il miracolo,
qui si sperimenta che vivere non è solo prepararsi a morire,
ma un lottare per dare senso alla vita.
Dove nasce la domanda,
dove l’uomo non si arrende di fronte alla necessità,
lì si rivela la dignità della vita,
il senso e la bellezza dell’esistere.
Noi non siamo gettati alla morte,
ma siamo chiamati alla vita.
La nostra condizione più vera è
allora quella del pellegrino.
Siamo cercatori in cammino tutti i giorni.
Tutto quello che abbiamo costruito ce lo
lasciamo sempre alle spalle,
come una sicurezza per la ricerca di nuovi traguardi,
di nuove mete.
Fermarci è una tentazione mortale.
L’illusione di sentirsi arrivati,
il pretendersi soddisfatti e sazi
è una malattia mortale.
Tutto questo è vero per noi
ed è vero per le nostre comunità,
per i nostri gruppi, per la nostra compagnia di amici,
per la Chiesa.
È sempre così nella vita; abbiamo bisogno di mete,
di qualcuno che ci butti fuori
dalla casa del grande fratello,
che continui a farci domande e ci metta in discussione.
Perciò seguire una pagina di Vangelo è
fare un pellegrinaggio spirituale.
La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto.
Era l’abbondanza dei raccolti dei campi,
del lavoro, dell’impegno quotidiano, senza mai smettere.
Aveva tentato qualche volta di lasciarsi andare,
ma aveva visto che si fermava tutto,
che a casa non portava più niente.
Nella vita è sempre così.
Le cose te le devi guadagnare tutte,
non ti regala niente nessuno,
devi sempre stringere i pugni,
buttarti nella mischia a testa bassa.
Invece quante persone vanno alla
ricerca del denaro facile,
perché hanno guardato l’oroscopo che per loro
dava vincite al gioco e fortuna,
ma ho provato con tutti i gratta e vinci,
con lotterie varie,
senza mai portare a casa un centesimo.
Ho usato lo stesso metodo anche nei miei affetti,
ho pure grattato tanto, ma vinto proprio niente,
eppure mi dicevano che era il mio giorno fortunato!
E dopo aver grattato anche la mia vita,
sotto ho trovato ancora me stesso,
con le mie fissazioni e in mano la solita moneta.
C’è però chi lavora sodo e porta a casa e,
ogni tanto qualche risultato si fa vedere.
Ma come si guarda ai risultati che otteniamo in genere?
Già nel modo in cui si guarda al risultato
delineiamo il nostro futuro.
Spesso il risultato è visto come opera tua,
della tua grinta,del tuo impegno, della tua costanza.
Al massimo chiami fortuna qualche cosa
che non è derivata da te e poi,
per convincerti che sei ancora tu al centro,
dici che la fortuna occorre anche guadagnarsela.
In questo modo di leggere i risultati del nostro operare,
si sta incrinando il senso vero della vita.
Allora dobbiamo chiederci.
Non esiste proprio nessuno che ti ha
donato tutto quello che hai raccolto?
È proprio tutta farina del tuo sacco?
Non senti che tutto quello che fai e
che sei è un dono di Dio?
È come quando un ragazzo o ragazza,
decide di andare a vivere da solo,
perché gli stanno strette certe
restrizioni dettate dai genitori,
tante volte sbattendo la porta dietro di se.
Poi mette su casa da solo e scopre che c’era anche
un tempo donato, soprattutto,
un amore impagabile che lo circondava e che
era la componente fondamentale del benessere
che viveva nella casa dei genitori.
Così è con i tuoi raccolti della vita;
pensi sempre che tutto dipenda da te,
invece tutto ti è donato da Dio.
Egli ragionava tra sé:
“Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?”.
La prima scelta da fare è mettersi a pensare.
Buona scelta!
Molti di noi non hanno mai tempo di pensare,
sono sempre sbattuti da ogni parte senza possibilità
di prendere in mano la propria vita.
Purtroppo però questo personaggio della parabola
un monologo tra se lo ha fatto;
ho lavorato tanto, ho condiviso con molti fatica e lavoro;
ora comincia a ragionare come il ricco, si isola,
si ingabbia nella sua solitudine e ragiona tra se,
mette fuori tutti, Dio per primo.
Le domande; che farò?
Che cosa dobbiamo fare fratelli?
Che devo fare per…..!
Si trovano molto spesso nella Sacra Scrittura,
segno che occorre mettere in atto progetti,
cambiamenti concreti.
Misurarsi con qualcosa di sperimentale.
Significa che ci deve essere una
disponibilità a inscrivere nella
nostra esistenza un impegno conseguente alla vita di fede,
all’incontro con Cristo.
Non è vero che i cristiani sono fatalisti;
i cristiani sono attivi,
ma sanno che il principio e il
sostegno di ogni azione è Dio.
Proprio quello che non fa il nostro ricco possidente,
il nostro rampante arrivato e seduto.
“Farò così…., e poi dirò; riposati, mangia,
bevi e datti alla gioia”.
L’uomo ricco della parabola è caduto
proprio nella trappola dell’avere.
L’unica preoccupazione che ha è di poter
avere continuamente di più, accumulare,
stoccare, ingrandire le cisterne, i contenitori,
ingabbiare, mettere al sicuro, demolire e ricostruire,
ma sempre per tenere e avere.
Non è tanto il modello economico che sta
mettendo in pratica a interessarci,
perché probabilmente oggi passerebbe per uno stolto.
Non si fanno infatti fruttare così i soldi,
le finanze, le proprietà.
Occorre invece una diversa
intelligenza e capacità di rischio.
A noi serve capire la logica scellerata
di un possesso fine a se stesso,
che è spesso legge dei nostri comportamenti.
I beni più belli che i giovani
hanno sono i loro verdi anni.
Qualcuno si può sedere e guardare i
bassi numeri dei suoi compleanni; 18,20,22,25…..
guarda quanta vita c’è davanti.
Farò—viene da pensare—così;
giro il mondo, mi cavo questa soddisfazione,
mi diverto, mi butto nelle avventure che mi capitano,
allargo le mie possibilità, le provo tutte,
apro nuovi terminali.
Anche voi andate contro tutte le leggi dell’economia,
perché mettete la vostra giovinezza in stand-by
come dite voi giovani,
anziché orientarla alla sua sorgente.
Volete fare a meno di Dio,
pur sapendo che è Dio che possiede il
segreto della felicità,del vostro essere.
Ingrandiamo il nostro granaio per avere di più;
più uno ha, più aumenta il desiderio e,
più aumenta il desiderio,
più cresce una forma maligna insaziabile.
Immaginate quanto sarebbe diverso se ritenessimo
la giovinezza un dono, un regalo,
una chiamata, una proposta,
un’amicizia da stringere con Dio e con
tutti quelli che ci mette sulla strada,
se lo vedessimo come investimento anziché come possesso!
Ma Dio gli disse:
“Stolto, questa notte stessa ti
sarà richiesta la tua vita.
E quello che hai preparato di chi sarà?
Così è di chi accumula tesori per sé,
e non arricchisce davanti a Dio”.
È la tua vita che conta, non i tuoi beni;
sei tu al centro dell’attenzione di Dio,
non le tue cose;
è il chi tu sei, guadagnato a fatica,
che il Signore vuol incontrare, non le tue maschere.
Io voglio trovare te, ti dice Dio, incontrare te,
ho desiderio di guardarti negli occhi;
non vengo a farti visita a casa per
guardare il tuo appartamento,
il tuo bagno galattico,il tuo stereo,
il tuo garage con quello che c’è dentro,
la tua raccolta di MP3, i tuoi album di fotografie,
ma voglio godere della tua amicizia, dei tuoi sentimenti,
dei tuoi sogni, di quello che hai sempre nutrito
nel tuo cuore come bene prezioso.
Voglio soprattutto gustare con te quel dono che
vuoi essere per tutti senza distinzioni,
ma se proprio vuoi distinguere le
persone sia per i più disagiati.
C’è un momento di verità della vita che ti dà la
possibilità di essere te stesso senza inganni,
senza rimandi, senza puntelli.
Tu, solo con te stesso e con Dio.
Se ci badate, siamo sempre appoggiati a cose inutili.
Come farei senza questo, senza questi oggetti,
queste persone, queste abitudini?
Mi basta Dio?
Se entriamo in questo ordine di idee,
allora si può impostare diversamente la nostra vita.
Come si imposta la vita di chi mette
Dio al centro della sua esistenza,
di chi sa che il suo cuore sta in Dio e non nelle cose,
di chi non si specializza nell’arte dello stoccaggio
ma in quello del dono, soprattutto di sé!
“Non datevi pensiero per la vostra vita,
di quello che mangerete,
né per il vostro corpo, come lo vestirete”.
L’espressione esatta è, “non angustiatevi; non angosciatevi”.
Il termine, “angoscia”, deriva da una parola che si porta
dentro il significato di soffocamento, della morte.
Angosciato è uno assillato dalla morte,
minacciato continuamente da un fine, da un vuoto incolmabile.
Mangiare e vestire sono due preoccupazioni
non piccole per l’uomo.
Mangiare è necessario per vivere, non è fine a se stesso.
Molti vivono per mangiare e non mangiano per vivere.
Qualcuno ha definito l’uomo un tubo digerente.
L’attaccarsi al cibo in genere è riempirsi di qualcosa,
perché non siamo capaci o non abbiamo la
possibilità di riempirci di qualcuno.
“Non di solo pane vive l’uomo”,
dirà Gesù nel deserto, quando il demonio lo tenterà.
Il vestito è un altro grande bisogno materiale;
contribuisce a dare agli altri una immagine di noi.
È un biglietto di presentazione,
che spesso diventa la maggior preoccupazione.
È talmente ingannevole e,
necessita di essere gestito con tale saggezza,
che spesso diventiamo dei manichini.
I vestiti non sono più un aiuto,
ma diventano una prigione,
uno spreco, un capriccio.
Affidiamo ai vestiti l’incarico di dire chi
siamo e per questo siamo disposti a fare uomini sandwich,
tante sono le marche che andiamo in giro a far vedere,
pagando noi per giunta e, anche cara,
la pubblicità che facciamo.
Vestiti sono le felpe, le T-shirt, della Nike,
la Reebok, gli zaini Invicta, ma soprattutto i jeans.
Li portano i bambini, i giovani,
le mamme con qualche fatica a starci dentro e
tante volte la carne esce fuori dappertutto,
i papà che quasi se li fanno stirare addosso,
a giudicare da qualche tentativo di piega che si
intravvede sotto le ginocchia,
le ragazze con qualche problema di linea e non si
accorgono che fanno pietà.
Larghi, stretti, sagomati, aderentissimi,
da levare assolutamente prima di pranzo,
pena far saltare la cerniera o non riuscire più a sfilarseli.
Tutte le ricerche dicono che troppo stretti rovinano;
le sorgenti della vita; fino alla sterilità.
Ma dicono loro, sicuramente saranno tutte sparate americane.
Consumati nei punti di continuo uso e smangiati nei
posti sessualmente strategici,
con buchi e rattoppi, strappi e tagli.
Si portano lunghi, a tre quarti, corti, a frange sfilacciate,
col risvolto e con il cavallo alle ginocchia,
salvo dover camminare adagio, pena una rovinosa caduta.
Oggi non occorre più stare ore a sfregare con qualche
sasso per renderli più veri perché te li
vendono già consumati apposta.
Se poi ai vestiti aggiungiamo tutti i metalli di
cui abbelliamo le nostre teste, le labbra,
le orecchie e anche qualcos’altro,
allora il discorso si fa ancora più intrigante.
Il cibo diventa sicurezza materiale e
il vestito sicurezza psicologica.
La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito.
Scriviamocelo nella mente,
mettiamo in atto strategie per non farci ingabbiare,
per non abbassare la guardia della nostra dignità,
per vedere nel cibo e nel vestito un altro dono di Dio
da usare per il dono più grande che è la vita.
Una delle maggiori cause di morte oggi è l’eccesso di cibo,
è l’insaziabilità, l’ingordigia,
è l’incapacità di controllare il piacere del cibo,
mentre, tra l’altro, l’altra metà
del mondo non ha il necessario.
Guardate i corvi; non seminano e non mietono,
non hanno ripostiglio né granaio e, Dio li nutre.
Se c’è un uccello che non ci commuove ne ci ispira,
di cui faremmo a volentieri a meno,
un animale ritenuto immondo cui nessuno dà da mangiare,
che per natura sua deve arrangiarsi, è proprio il corvo;
non l’uccello del paradiso, non un usignolo che canta,
non è una tortora che ti intenerisce,
ma uno sgorbio che ti disturba.
Eppure Dio pensa anche a lui.
Gli ha scritto dentro un istinto che lo porta senza
angoscia alla soddisfazione dei suoi bisogni e lo
rende creativo in tutta la sua ricerca.
Chi di voi, per quanto si affanni,
può aggiungere un’ora sola alla sua vita?
Ogni tanto qualche giornale radio o qualche rubrica
di quotidiano dice che abbiamo
scoperto l’elisir di lunga vita,
che abbiamo qualche possibilità
in più di continuare a vivere.
Oggi, è vero, abbiamo innalzato l’età
media della vita di una persona.
L’abbiamo chiamata conquista,
anziché intelligenza nello scoprire le
potenzialità che Dio aveva da sempre
posto nella vita degli uomini e che
noi abbiamo sempre occultato perché,
anziché aiutare a vivere,
ci siamo applicati a far morire, a uccidere.
Siamo diventati specialisti,
piuttosto che nell’aggiungere pezzi alla vita,
nel toglierglieli, nel sopprimere la vita,
sia al suo inizio, sia alla sua fine.
Aborto ed eutanasia sono esattamente il contrario
del potere sull’allungamento della vita,
sono la conseguenza del possesso
sulla vita che crediamo di avere.
Guardate i gigli, come crescono,
non filano, non tessono;
eppure Io vi dico che neanche Salomone,
con tutta la sua gloria,
vestiva come uno di loro.
Se dunque Dio veste così l’erba del campo,
che oggi c’è e domani si getta nel forno…..!
Così anche il vestito è un dono di Dio.
È Dio che cura la nostra immagine,
che ci ha messo nella scala vera del Creato.
Non è il merito che conta davanti a Dio,
ma l’abbandono fiducioso.
Non è nemmeno il guadagno, il calcolo, l’efficienza,
la strumentalizzazione in vista sempre
di qualche altra destinazione.
Per il Signore le cose valgono per quello che sono.
Un giglio di campo dà gloria a Dio e deve essere
sempre il più bello possibile,
anche se resiste per poco alla
legge inesauribile della falce.
Già nel suo piccolo, in quello che è,
si trova a dare lode a Dio.
Ogni uomo ha in se la dignità di
poter esistere per se stesso,
per la gloria di Dio.
Non è strumentabile ad altro.
È straricco di generosità da parte di Dio.
Solo che finge di non conoscere Dio.
Gente di poca fede.
E c’è questo termine, che appare spesso nei Vangeli;
la scarsità della fede, la sua inconsistenza.
Ripetute volte Gesù invita a uscire da questa,
fede debole o spenta, che abbiamo.
Matteo riferisce almeno cinque di questi casi.
Essere di poca fede significa ritenere che Dio,
dopo averci creato,
ci abbia abbandonato e non si curi più di noi.
L’uomo è creatura di Dio ben più dei corvi e dell’erba.
E Dio provvede a noi lo stesso,
anche se siamo di poca fede.
Quando gli apostoli sono nella burrasca e hanno paura:
Perché avete paura, uomini di poca fede? (Matteo 8,26).
Quando Pietro cammina sulle acque e
un po’ alla volta affonda:
Uomo di poca fede, perché hai dubitato? (Matteo 14,31).
Quando Gesù rimprovera i discepoli che dicono
di essere lasciati senza pane:
Perché, uomini di poca fede,
andate dicendo che non avete pane? (Matteo 16,8).
Quando i discepoli non hanno potuto scacciare i demoni:
Non li avete potuti scacciare per la vostra poca fede….!
Basta averne un granello, di fede ma vera! (Matteo 17,20).
Guardiamoci dentro per vedere anche noi quante esperienze
della vita siano caratterizzate da questa poca fede;
non ce la farò a rimanere pulito dentro,
non ce la farò a mantenere la mia dignità nel lavoro,
non ce la farò a seguire Gesù,
non ce la faccio a vivere da cristiano;
non c’è niente che mi vada bene;
non riesco a credere fino in fondo, mi adatto troppo…….!
Gente di poca fede!
Tu sei un pensiero di Dio,
tu sei un palpito del cuore di Dio;
era l’affermazione convinta di
Papa Giovanni Paolo II ai giovani.
Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete e,
non state con l’animo in ansia;
di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo,
ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno.
Il cristiano non cerca ciò di cui ha bisogno
non perché è fatalista,
non perché è autosufficiente,
nemmeno perché può fare a meno del necessario, ma lo chiede;
se lavora e si dà da fare, è perché è sicuro
che lo può ottenere da Dio.
Noi sappiamo di essere figli di Dio,
e un padre non dà serpenti o scorpioni
a chi gli chiede pane o uova.
Chi è senza Dio e pensa di essere abbandonato a se stesso,
o di essere frutto di un caso,
alla fine immagina che ci sia un destino che lo consuma.
Ancora di fede si tratta, ma in una cieca casualità.
Se si deve credere comunque, meglio credere in un Padre,
perché abbiamo conosciuto suo figlio.
Proviamo, quando siamo a corto di ragionamenti, a ripeterci:
“Dio mio, Padre Santo, Tu, o Dio,
conosci meglio di me di che cosa ha sete la mia vita,
quali abbagli sta prendendo,
Tu sai le mie tergiversazioni, conosci le mie infedeltà,
le mie lacrime di coccodrillo,
Tu mi hai tessuto nel grembo di mia madre,
il mio corpo ancora era informe e non era ancora stato
disegnato e Tu già sognavi la mia vita,
la conoscevi tutta.
Affido a Te i miei progetti”.
Cercate piuttosto il regno di Dio e,
queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non temere, piccolo gregge,
perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno.
A cosa ci dobbiamo applicare?
A quella visione di mondo, di vita, di futuro,
di universo che è venuto a inaugurare Gesù su questa terra.
Lui, Gesù, è stato il primo a cercarla.
La sua vita è stata tutta a disposizione del Regno di Dio,
della civiltà dell’amore Misericordioso,
del progetto Trinitario di salvezza per l’umanità.
È quel Regno di cui ha proclamato l’imminenza.
È qui!
Convertitevi, cambiate vita,
il Regno di Dio sta passando e
voi ve lo lasciate scappare.
State a deliziarvi nella vostra meschinità e
non vi accorgete di tutto quello che passa.
Alzate lo sguardo senza paura!
Se cerchi il regno, il resto è una conseguenza.
Non stare a mettere la pezza alla tua felicità,
punta più in alto.
Fidati, rischia, spezza la paura.
Per il Regno di Dio,
fa almeno quegli sforzi che hai fatto per
imparare ad andare in bicicletta,
a nuotare, a pattinare, a camminare sulle tue gambe,
quando tutto ti sembrava insormontabile
e oggi ne ridi ancora.
Il Signore ride a vedere i nostri
abbarbicamenti e sostegni di ogni tipo,
alle nostre cose che sembrano darci la sicurezza
e a Lui suonano come offesa perché pensiamo
sempre che Dio non sia fedele.
È così anche come comunità, come popolo di credenti,
siamo troppo paurosi, non abbiamo coraggio,
continuiamo a chiedere fari per la nebbia e
dimentichiamo che Lui è il sole.
Abbiamo ridotto lo sguardo al nostro piccolo mondo,
ignorando la luce che dobbiamo proporre a tutti.
Vendete ciò che avete e datelo in elemosina;
fatevi borse che non invecchiano,
un tesoro inesauribile nei cieli,
dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma.
Perché dove è il vostro tesoro,
là sarà anche il vostro cuore.
Ritorna il verbo vendere,
contro tutta la nostra mania di comperare.
Risuona anche in queste parole la raffica di
verbi che Gesù rivolge al giovane ricco;
và, vendi, regala, vieni e seguimi.
Qui si dice di fare elemosina.
La parola non è di quelle che suscitano la
compassione e la degnazione di un ricco nei
confronti di un poveraccio,
che in ebraico significa giustizia.
Fare elemosina è riportare a giustizia quello
che l’uomo ha scompigliato nella
distribuzione equa di Dio,
dei suoi beni a tutti.
L’elemosina biblica è esigenza di giustizia superiore,
dettata dalla misericordia.
Allora ognuno di noi deve dare secondo quanto ha e
ricevere secondo quanto gli occorre.
Gesù non ha mai voluto borse per i suoi discepoli;
ma solo borse che contengano la capacità di dono,
la generosità, l’altruismo, l’amore.
Questi sono tesori che non danno affanni o angosce,
perché è la nostra somiglianza con Gesù.
Ci domandiamo sempre dove sia la nostra felicità.
Mi dici dove sta la mia felicità?
Là dove c’è il tuo tesoro,
dove c’è il tuo cuore;
dove c’è l’Amore Misericordioso di Dio!

domenica 25 luglio 2010

Chiedete e vi sarà dato

CHIEDETE E VI SARA DATO.
PERCHÉ STIAMO A CUORE AD UN PADRE VERO.

Siamo ormai in balia della modernità,
dell’evoluzione della tecnica che ci opprime,
il cellulare che squilla in continuazione e
non riusciamo a stare in pace neanche un secondo,
perciò non riusciamo neanche a pregare.
E quando non squilla, riempiamo la solitudine
cercando qualcuno mandando messaggi.
Sapevamo quattro preghiere,
ma ormai le abbiamo dimenticate anche quelle,
un po’ perché ci sembrano superate,
un po’ perché non ci dicono ormai più niente.
Come si fa a pregare con il
frastuono che ci circonda?
Questa domanda è posta a Gesù dai discepoli.
Lo vedono tornare dopo aver pregato a lungo,
convinto di quello che sta facendo,
o non ci decidiamo mai a fare qualcosa
dalla paura di comprometterci>.
Lo sentono così dolce quando parla di Dio,
che non possono non sentire
una nostalgia della preghiera.
Quel giorno sono stati a guardarlo mentre
pregava e gli hanno detto:
“Insegnaci a pregare”,
.
Gesù non insegna loro una formula,
ma il segreto della sua vita;
l’abbandono pieno di fiducia e definitivo,
senza compromessi nelle braccia del Padre.
Padre è la Parola,
la preghiera che sgorga dal cuore di Gesù,
un vero dialogo con Dio,
il Dio di Gesù.
Non è la debolezza di chi non
sa essere autosufficiente,
neanche la scusante per non affrontare
le proprie responsabilità.
Ma la necessità di stare a cuore a
qualcuno e la certezza di averlo trovato.
Padre, fammi sentire le tue braccia,
aprimi le porte della tua casa.
Mi sento trattato come un materasso
su cui scaricano i loro dolori
e le loro frustrazioni.
E io su chi posso fare
affidamento se non su di Te.
Fammi gustare il sapore di un pane,
quello di ogni giorno che sa di forno,
di casa, di intimità e non starmi a
contare le stupidità che ho fatto.
Anch’io voglio cancellare dalla
mia vita i torti subiti.
Tu sai però che non puoi forzare
troppo su di me le tue pretese,
perché sono debole e il
male è più forte di me.

Dio non ci darà mai una serpe
se chiediamo un pesce,
o uno scorpione se domandiamo un uovo.
Non lo facciamo neanche
fra di noi che siamo cattivi.
Ancora meno Lui che è pieno
di Amore e Misericordia.
Perciò chiediamo e ci sarà dato;
bussiamo e ci sarà aperto!

domenica 18 luglio 2010

Il centro della vita è Gesù

IL CENTRO DELLA VITA.

Ci facciamo a volte tante domande,
spesso e volentieri rimangono
senza risposta.

A volte ci chiediamo se ha senso
una vita sempre di corsa,
affannati dalla mattina alla sera
e quando arriviamo alla sera,
siamo talmente stanchi che non
riusciamo a goderci il meritato riposo,
dopo una giornata di lavoro.

Siamo sempre alla ricerca di un qualcosa in più,
per soddisfare la nostra voglia di qualcosa di nuovo,
di inebriante, di qualcosa che ci dia una scossa
nuova e non riusciamo a trovarla,
siamo delusi, preoccupati per il domani,
in ansia e ci prende lo sconforto;
perché?

Il motivo è semplice!
Scordiamo che siamo in questa vita per un periodo,
lungo per alcuni e corto per altri,
ci preoccupiamo di tante cose anche inutili.

Ma non ci preoccupiamo del dopo,
di come sarà la vita che ci aspetta,
quando leveremo le tende e ce ne
andremo da questa terra,
lasciando tutto quello che ci siamo
procurati correndo come matti.

Allora mi chiederete,
cosa dobbiamo fare?
Come possiamo impostare la nostra
vita per sentirsi appagati?

Questo ce lo sta dicendo Maria,
attraverso i suoi messaggi da Medjugorje.
Ormai è da 29 anni che ci sta ripetendo:
“Ritornate da mio Figlio e vi sentirete appagati,
soddisfatti della vostra vita, sereni e nella Pace”.

Ma come si fa, in questo mondo che corre
sempre più velocemente?

Lasciandolo correre!
Fermiamoci, guardiamoci dentro!
Ma nell’intimo più profondo e chiediamoci:
“Ma io sono contento di una vita così?

Sono contento di continuare a correre e non
apprezzare tutto quello che
mi passa davanti agli occhi?”.
NO,
non posso essere contento!
Non posso essere soddisfatto di quello che
faccio oggi e domani ormai è superato e vecchio.

Non posso essere sereno,
quando devo continuamente guardarmi attorno,
dalla paura di essere travolto dalla vita.

Non posso avere la pace,
perché non sono in pace
neanche con me stesso.

Allora cosa devo fare?
Una cosa semplice!

Dobbiamo agire, subito,
ascoltare Maria la Regina della Pace,
nei suoi insegnamenti.

La quale ci dice:
“Ritorna ad abbracciare la vera fede,
non quella di facciata, o quella di comodo,
ma a credere in colui che si è fatto uomo per noi,
per ridonarci la vera vita.

Ascoltare la sua Parola e
metterlo al primo posto.

Lasciare quello che ci circonda,
che ci porta lontano dal vero ideale
della nostra vita di fede, che è Gesù.

Quel Gesù, che non ama mezze misure,
gli basta uno sguardo,
ma uno sguardo d’amore e ti dice seguimi.

Quel seguimi, ti cambierà la vita,
cambierà la tua esistenza,
il tuo rapporto con gli altri,
con te stesso e ti sentirai appagato.

Ti accorgerai allora,
che la vita ti sembrerà diversa.
Riuscirai a fare cose,
che prima correndo non riuscivi a fare.

Coraggio allora, siamo sempre in tempo a
fermare il motore stanco del nostro essere.

Cambiarlo con un motore nuovo che
ti sarà fornito da Gesù stesso,
gran motorista dei tempi moderni.

Il tagliando poi te lo farà un
personaggio d’eccezione.
Maria la Madre di Gesù,
magari proprio a Medjugorje.

Intanto vi mando la sua speciale Materna Benedizione.
A tutti un saluto ed una preghiera da Fausto con simpatia.

giovedì 1 aprile 2010

Entriamo nel Getsemani assieme a Gesù

Gesù in questa notte ha bisogno di noi.
Ci chiede di essere vicino a Lui,
nella sua notte, dove si sente solo,
perchè purtroppo noi dormiamo,
o facciamo finta per non prenderci
delle responsabilità.
Lui vuole farci partecipi di questo
evento e ci chiede di prendere
la nostra posizione; o con Lui
o contro di Lui per la paura
di comprometterci.
Facciamoci coraggio, senza paura
mettiamoci al suo fianco, ed
entriamo con lui nel Getsemani.
VEGLIATE UN’ORA CON ME!
Dopo la Messa in Cena Domini,
la liturgia invita i fedeli a sostare in adorazione
del Santissimo Sacramento,
rivivendo l’agonia di Gesù nel Getsemani.
Come i discepoli hanno dormito,
lasciando solo il Signore, anche oggi,
noi suoi discepoli spesso dormiamo.
In questa notte sacra del Getsemani
vogliamo essere vigilanti,
non vogliamo lasciar solo il Signore in questa ora;
così possiamo meglio comprendere il
mistero del giovedì Santo,
che racchiude il triplice sommo dono del
Sacerdozio Ministeriale, dell’Eucaristia e del
Comandamento nuovo dell’Amore.
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Allora pieni di immenso stupore,
tremore e gioia grande, adoriamo, prostrati,
il mistero del Corpo dato e del Sangue
versato per noi, dal Signore Gesù Cristo.
Nel Sacramento del Pane e del Vino,
Egli ha racchiuso la sua Gloriosa Passione,
Morte e Risurrezione,
donando in eterno a noi la sua Presenza,
perché mediante il dono del suo Spirito
racchiuso in questi Santi segni, potessimo vivere
per Lui ed entrare con Lui nel Cuore del Padre.
Rivisitiamo il Mistero di questa; “sera dell’Amore”,
con l’ausilio della Parola di Dio
che con immagini efficaci,
ci fa rimanere nel Getsemani per contemplare
ciò che è accaduto per noi e per tutti.
LA SOLITUDINE DEL GETSEMANI.
C’è un momento nell’anno per fermarsi,
cercare e ritrovare se stessi!
Un momento per liberarci dalla schiavitù
del quotidiano, dalle cose che spesso ci opprimono.
Un momento per porsi delle domande fondamentali,
ritrovare la passione per le cose che si vedono e
leggerle nella prospettiva del Mistero di Dio.
Un momento per ripartire da Dio;
non dare mai nulla per scontato e,
come la notte cerca l’aurora,
cercare senza sosta il volto nascosto del Padre.
Il tempo è questo; bisogna fare esperienza
dell’intima comunione con Gesù.
DAL VANGELO SECONDO LUCA!
Uscito se ne andò, come al solito,
al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono.
Giunto sul luogo, disse loro: “Pregate,
per non entrare in tentazione”.
Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e,
inginocchiatosi, pregava:
“Padre, se vuoi, allontana da me questo calice!
Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”.
Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo.
In preda all’angoscia, pregava più intensamente;
e il suo sudore diventò come gocce
di sangue che cadevano a terra.
Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e
li trovò che dormivano per la tristezza.
E disse loro: “Perché dormite? Alzatevi e pregate,
per non entrare in tentazione”.
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La tentazione più grande è proprio quella di arrivare a
pensare quando siamo nella prova,
che non sia poi così vero che Dio ci voglia bene,
che ci custodisca e pensi a
noi come fa un padre con i suoi figli.
L’orrore per ciò che si sta vivendo,
sembra l’unica cosa che trova posto
nel cuore e null’altro è importante.
È la tentazione che anche Gesù attraversa nel Getsemani:
dov’è il Padre in questo momento?
Gesù affronta questa tentazione immergendo la
propria vita nella preghiera,
nella ricerca della comunione con il Padre,
che mai come in quel momento sembrava lontano.
Nell’intimità di questa preghiera,
Gesù è capace di dire la propria fiducia nel Padre
da cui proviene e a cui fa ritorno;
la parola: “Non sia fatta la mia volontà ma la tua”,
sono tutt’altro che espressione di circostanza.
Nascono invece, dalla certezza che l’Amore del Padre è
più grande e più forte della prova che si sta vivendo.
Allora diciamo.
Signore, concedici la serenità d’accettare le cose
che non possiamo cambiare,
il coraggio di cambiare quelle che possiamo e
la saggezza necessaria per capire la differenza.
DIO VALE PIÙ DI TRENTA DENARI!
Per avere gli stessi sentimenti di Gesù,
dobbiamo entrare insieme coi discepoli nel Getsemani,
avendo cura di non addormentarsi.
Dobbiamo fare esperienza del silenzio….
nel silenzio si vive solo con il cuore e con l’anima.
Forte è la paura di rimanere soli con noi stessi,
con le nostre paure e povertà interiori.
Ma…..è qui che ti voglio….dice il Signore…….
finche la tua anima non avrà capito,
che quello è il luogo dell’appuntamento,
il luogo dell’incontro……come con Giuda, l’amico.
Il Getsemani allora è anche il luogo delle lotte interiori,
del Bene e del Male, dell’incontro con Lui,
faccia a faccia….. e dell’incontro con noi stessi!
Un Dio costa caro….non lo si può svalutare…..
non lo si può scontare.
------------------------------------------------------------------
DAL VANGELO SECONDO LUCA!
Si avvicinava la festa degli Azzimi, chiamata Pasqua,
e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano come
toglierlo di mezzo, poiché temevano il popolo.
Allora satana entrò in Giuda, detto Iscariota,
che era nel numero dei Dodici.
Ed egli andò a discutere con i sommi sacerdoti e
i capi delle guardie sul modo di consegnarlo nelle loro mani.
Essi si rallegrarono e si accordarono di dargli del denaro.
Egli fu d’accordo e cercava l’occasione propizia
per consegnarlo loro di nascosto dalla folla.
Tu sei ciò che ami.
Se ami il denaro, sarai sempre uno schiavo.
Se ami l’apparenza, ti vedrai presto un fallito.
Se ami il povero, ti sentirai un vero ricco.
Se ami la verità, diventerai una persona libera.
Se ami tutti in tutto, sentirai in te il respiro di Dio.
Non dimenticarlo…..tu sei solo e sempre ciò che ami.
Diciamo!
L’uomo può morire in tanti modi;
di fame, di solitudine, di abitudine, di rumore,
di troppo, di indifferenza, di noia, di peccato…..
o Signore, fa che la morte non ci trovi già morti;
fa che la morte ci trovi in salita pronti per la vita eterna.
LA SCELTA DELLA VIA DELLA CROCE!
Il Getsemani è il luogo della solitudine,
dello smarrimento, dell’angoscia che fa sudare sangue…..,
ma è anche il luogo del silenzio e della preghiera.
Gesù si rifugia nella solitudine e
vive l’intima comunione col Padre.
Quando Gesù si ritira nel Getsemani,
è consapevole dell’epilogo doloroso della sua vita,
ma dopo lo smarrimento non perde l’occasione di
stabilire il programma della sua vita;
non penserà a sé, non approfitterà del suo potere
miracoloso, ma sarà il Messia umile, obbediente,
ascoltatore della Parola e della volontà del Padre.
Il Getsemani è anche per noi il luogo delle scelte,
perché Dio ci pone di fronte alle domande che
assillano la nostra vita, ci chiede di scegliere,
a volte anche la via più difficile,
quella passa dalla Croce e,
realizzando l’intima comunione con Lui,
ci chiede di incamminarci sulla via della speranza.
----------------------------------------------------------------------
DAL VANGELO SECONDO LUCA!
Mentre Egli ancora parlava, ecco una turba di gente;
li precedeva colui che si chiamava Giuda,
uno dei Dodici e, si accostò a Gesù per baciarlo.
Gesù gli disse: “Giuda,
con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?”.
Allora quelli che erano con Lui,
vedendo ciò che stava per accadere, dissero:
“Signore, dobbiamo colpire con la spada?”.
E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e
gli staccò l’orecchio destro.
Ma Gesù intervenne dicendo: “Lasciate, basta così!”.
E toccandogli l’orecchio, lo guarì.
Poi Gesù disse a coloro che gli erano venuti contro,
sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani:
“Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante!
Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete
steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora,
è l’impero delle tenebre”.
----------------------------------------------------------------------
Quella cosa che ti fa veramente soffrire Dio,
è lo scoraggiamento e la disperazione.
Se mi vergogno di me stesso e mi sento indegno di Te,
se non so scegliere e sono deluso dei miei ricorrenti peccati,
se penso che tanto ormai…..è tutto inutile,
donami la forza di rialzarmi, il coraggio di non
avere paura dei miei limiti, la speranza di poter
superare le difficoltà che incontro anche oggi.
Perché Tu sei più forte della mia debolezza e riuscirai a
trasformarmi nella creatura splendida che è dentro di me.
Quindi non lasciare che mi perda mai d’animo.
Stammi sempre vicino; mentre con speranza
proseguo il cammino della vita.
DICIAMO!
Affidiamo Signore, il nostro passato alla tua Misericordia.
Il nostro presente al tuo Amore.
Il nostro futuro alla tua provvidenza.
AMEN.
------------------------------------------------------------------
LA TENTAZIONE DELLA FUGA DA DIO!
Come abbiamo visto,
l’esperienza del Getsemani non è l’esperienza di una fuga,
ma cercare di togliersi dalla realtà per trovarsi al sicuro.
Il Getsemani l’abbiamo visto, per Gesù non è un rifugio.
È da li che Egli parte verso la Croce, ma anche verso la libertà.
L’aurora viene dopo la notte…..e la vita sarà sempre tentazione.
Come quella di Pietro!
La tentazione più facile è quella di dimenticarsi di tutto ciò,
di ogni insegnamento di Gesù, dell’esperienza intensa
del Getsemani e dell’intimità della sua amicizia.
Dimenticarsi dunque, di Gesù stesso.
Ma dal buio e la paura della notte si può uscire.
A volte…..basta il canto di un gallo.
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DAL VANGELO SECONDO LUCA!
Dopo averlo preso, lo condussero via e lo
fecero entrare nella casa del sommo sacerdote.
Pietro lo seguiva da lontano.
Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al
cortile e si erano seduti attorno,
anche Pietro si sedette in mezzo a loro.
Vedutolo seduto presso la fiamma,
una serva fissandolo disse: “Anche questi era con Lui”.
Ma egli negò dicendo: “Donna, non lo conosco!”.
Poco dopo un altro lo vide e disse: “Anche tu sei di loro!”.
Ma Pietro rispose: “No, non lo sono!”.
Passata circa un’ora, un altro insisteva:
“In verità, anche questo era con Lui; è anche lui un Galileo”.
Ma Pietro disse: “O uomo, non so quello che dici”.
E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò.
Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro e,
Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto:
“Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte”.
E, uscito, pianse amaramente.
----------------------------------------------------------------------------
Dio è disgustato dagli uomini?
Dio non parla più?
Dio non volge più su di noi il suo sguardo?
NO!
Piuttosto sono io che lo caccio dalla mia vita,
che non lo lascio entrare anche quando
Egli bussa insistentemente.
La porta del mio cuore fatica ad aprirsi,
cigola, la serratura si incastra.
Chi pretendi di essere Gesù?
Perché insisti tanto con me?
Lasciami perdere!
Lasciami ai miei compromessi,
contento della mia mediocrità;
prendo quel che basta per
non faticare e non avere rotture.
Ma chi ascolta la sua Parola non conoscerà la morte.
E allora, Ti riconosco Signore Gesù, taglia la
catena dell’ancora e fammi partire con Te.
Con Te tutto è possibile!
DICIAMO
Anche se siamo stati ingannati migliaia di volte,
fa o Signore che non ci sentiamo mai autorizzati,
ad ingannare neanche noi stessi.
E anche quando perdiamo la grinta,
ricordaci che anche mille chilometri
cominciano con un passo!
AMEN!
SOTTO LA CROCE!
Usciti dal Getsemani,
ci siamo incamminati ormai
con Gesù verso il Calvario.
Lo sgomento, la sfiducia, la paura,
l’idea di scappare…..
sono i sentimenti che nel silenzio si fanno vivi;
un silenzio non più carico della sua presenza,
ma più di ogni altra cosa, del nostro smarrimento.
Eppure ci ha raccomandato la speranza!
Facile a dirsi quando tutto va bene.
E ora?
Ora che davanti a noi si para la Croce?
È ora, Egli ci dice,
il momento di dare voce ad una virtù nuova.
La virtù della speranza…..che per essere vissuta,
richiede la capacità di non fermarsi solo all’apparenza
più superficiale o al bilancio dei risultati.
La tentazione di scoraggiarsi è molto forte;
le cose non vanno come vorremmo.
Ma nella logica della speranza,
così come ci viene insegnata da Gesù,
la vita deve essere vissuta non come un azzardo
rispetto ad un destino imprevedibile,
ma come il contributo personale che ciascuno
di noi può dare al progetto del Padre,
per la salvezza del mondo.
--------------------------------------------------------------
DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI!
Stavano presso la Croce di Gesù sua Madre,
la sorella di sua Madre,
Maria di Cleofa e Maria di Magdala.
Gesù allora, vedendo la Madre e accanto a lei il
discepolo che Egli amava, disse alla Madre:
“Donna, ecco il tuo figlio!”.
Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”.
E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata
ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura!
“Ho sete”.
Vi era lì un vaso pieno di aceto,
posero perciò una spugna imbevuta di aceto in
cima a una canna e gliela accostarono alla bocca.
E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse:
“Tutto è compiuto!”.
E, chinato il capo spirò.
-----------------------------------------------------------------------
Ora Signore Gesù, ripenso a ciò che Tu hai detto:
“L’amore più grande è dare la vita per gli altri!”.
La tua vita sulla terra è stata un donare sempre,
tutto, fino a lasciarti sollevare sulla
Croce e portare ogni cosa a compimento.
Di fronte a Te, al tuo dono totale, penso alla mia vita,
ai miei impegni mai vissuti fino in fondo,
al mio sì mai deciso, mai completo.
Mi scopro debole e inconsistente, egoista e pauroso.
Ricordami Signore, che la tua morte è vita, è speranza;
che la tua sofferenza è gioia; che il tuo donare è ricevere.
Nell’attesa della tua Pasqua,
fammi vedere un raggio di luce,
un riflesso luminoso che mi parli della vita che Tu,
per amore, hai donato.
DICIAMO!
Signore, siamo partiti dal silenzio
per trovare la fede e la speranza.
Sotto la tua Croce Ti preghiamo per le nostre mani,
fa che imparino le due posizioni più sante;
o aperte o giunte.
AMEN.
COCLUSIONE
Ora il silenzio si stende sulla terra.
In questa notte la morte e la vita
si affrontano in una lotta sempre aperta.
Dipende da tutti e da ciascuno
che l’amore possa vincere l’odio.
Insegnaci Signore a seguire il tuo Figlio,
nel suo cammino di Croce e di luce; e saremo;
Glorificati con Lui.
Rivivremo con Lui.
Risorgeremo con Lui.
Attraverso la speranza la vita esplode.
Come si apre il bocciolo, un mattino di primavera,
dopo i freddi dell’inverno….. così si alzerà il Risorto
nel mattino di Pasqua, dopo il dramma della morte.
La vita è nelle nostre mani, l’amore è nei nostri cuori,
la verità è sulle nostre labbra,
la speranza nelle nostre decisioni.
È la PASQUA!

domenica 28 marzo 2010

Entriamo anche noi assieme a Gesù nel Cenacolo per l'ultima Cena

Tra qualche giorno la Chiesa ci ricorda il mistero
dell'ultima Cena, la Cena Pasquale dove Gesù
istituì l'Eucaristia.
E allora entriamo con il nostro cuore in
quella prima Chiesa, la culla di tutte le Chiese,
uniamoci ai dodici, nella speranza di non
sentirci dichiarati traditori.
Gesù mandò alcuni discepoli in città e disse loro:
“Appena entrate in città, vi verrà incontro un
uomo che porta una brocca d’acqua; seguitelo………
Egli vi mostrerà una sala al piano superiore,
grande e addobbata; là preparerete”.
Essi andarono e trovarono tutto come
aveva loro detto e prepararono la Pasqua.
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In quella sala, Gesù desiderò celebrare la sua ultima
Pasqua ebraica e la sua prima Pasqua cristiana.
Dunque il Cenacolo situato sulla collina di Sion,
non è una sala qualsiasi ma una chiesa,
la chiesa fondata da Gesù,
la chiesa di Gesù e nostra prima chiesa cristiana.
Dopo quel primo giovedì Santo in quella sala—
che fu risparmiata anche dalla distruzione di Gerusalemme—
il culto cristiano si è svolto ininterrottamente per anni e anni;
per anni e anni i pellegrini sono entrati in quella sala
per venerarla come Madre di tutte le chiese,
ma anche come culla della chiesa nascente,
conchiglia dello Spirito Santo,
primo Tabernacolo e Santuario della devozione cristiana.
Allora ci domandiamo; quali erano i sentimenti di Gesù,
quando varcò la soglia di quel luogo?

Io i sentimenti di Gesù ho cercato di intuirli attraverso il Vangelo.

Il Vangelo ci narra che quando era a Gerusalemme,
il Signore insegnava ogni giorno nel tempio;
e di notte usciva per pregare e stava sul monte degli Ulivi;
ma già fin dal mattino tutto il popolo lo cercava per ascoltarlo;
dovunque si spostava le folle lo seguivano,
perché questo grande Rabbì compiva grandi prodigi,
misteri gratificanti ed esaltanti.
Quando però Gesù ha parlato di misteri dolorosi,
di misteri scandalosi, quando ha parlato di croce, di morte,
di umiliazione, allora le folle gli hanno voltato le spalle:
“Quelle parole dice il Vangelo, chi poteva sostenerle?”.
Questo, è il prologo!
Allora con quale animo quella sera Gesù sarà
entrato in quella sala sapendo che;
“da Dio era venuto e a Dio ritornava?”.
Io credo che Gesù, quel giovedì Santo,
sia entrato nel Cenacolo con una piccola speranza;
la speranza che almeno quel residuo,
di dodici uomini accogliesse il mistero di quell’ultima Cena;
che non si scandalizzassero; che non lo abbandonassero;
che resistessero alla prova.
Gesù doveva infatti provarli,
doveva sapere se erano disposti a credere in un maestro,
Figlio di Dio, che lava i piedi ai discepoli e,
riassume in quel gesto tutta la follia delle Beatitudini;
doveva sapere se erano disposti a credere nel Dio dell’Eucaristia e,
cioè in un Dio che vuole soffrire e morire per riscattarci;
che vuole alimentarci non solo nello spirito ma anche nel corpo,
facendosi pane per tutti, per ogni tempo;
Gesù doveva sapere se erano disposti a credere in un Dio
che affida la sua nuova ed eterna alleanza al sacerdozio,
di uomini impreparati e peccatori.
Giuda non superò quella prova e fuggì…
Gli altri undici restarono, nonostante lo sbigottimento;
restarono per; “aver parte” con Cristo.
“Anche se tutti si scandalizzassero di te,
io non mi scandalizzerò mai”,
rispose Pietro a Gesù quella sera.
Pietro aveva queste repentine folgorazioni e capiva
che il requisito fondamentale per aver parte con
Cristo era quello di non scandalizzarsi di lui;
e quando Gesù gli propose lo scandalo della lavanda
dei piedi come condizione per essere con lui, esclamò:
“Non solo i piedi ma anche le mani e il capo!”
Pietro intuiva che il discepolo di Cristo deve
anzitutto piegarsi al maestro, deve esercitare la fede,
deve insomma avere lo spirito pronto anche se la carne è debole.
La carne di Pietro era debole ma il suo spirito poteva
pronunciare gli attestati di fede più sconvolgenti:
“Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente”.
E ora: “Io non mi scandalizzerò mai!”
Questa frase di Pietro può essere presa per
chiave d’ ingresso al Cenacolo;
perché nel Cenacolo Cristo ci attende,
non per chiederci se la nostra carne è debole ma,
per chiederci se il nostro spirito è pronto.
Da quel giovedì Santo il Signore,
continua a dare appuntamento nel Cenacolo a tutti i suoi,
a tutti noi, per verificare la nostra fede;
ognuno di noi viene provato.
Perciò io dico;
se non sappiamo accettare un Dio che sconvolge;
se non sappiamo benedire le sue vie anche
quando non sono le nostre vie;
se non sappiamo capire che le sue ragioni
non sono le nostre ragioni;
se non sappiamo confidare in questo Dio che
tollera tutto ciò che a noi sembra intollerabile;
cioè l’intollerabile dolore nel mondo,
l’intollerabile ingiustizia, l’intollerabile corruzione,
l’intollerabile sfortuna dei buoni e la fortuna dei cattivi,
l’intollerabile sofferenza e la morte dei più piccoli;
se non sappiamo credere che il mistero di Dio è sempre
un mistero d’Amore finalizzato all’Amore senza fine,
allora vi dico non entriamo nel Cenacolo;
fuggiamo come fuggì Giuda, perché non potremo,
“aver parte”, con il Dio del Cenacolo;
nel Cenacolo si entra con la fede a prova di mistero o
non si entra; in quella chiesa ci aspettano i misteri
vertiginosi della nostra fede, misteri inviolabili.
Se la nostra fede resiste anche quando la nostra
mentalità è calpestata; se la nostra fede resiste
anche quando la nostra carne è ferita;
se la nostra fede resiste anche quando Dio ci chiede troppo,
allora e soltanto allora possiamo dire che la nostra fede è Fede,
e possiamo sperare di, “aver parte”, con il Signore.
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Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto
nelle mani e, che era venuto da Dio e a Dio ritornava,
si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio,
se lo cinse attorno alla vita;
poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a
lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con
l’asciugatoio di cui si era cinto;
venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse:
“Signore, Tu lavi i piedi a me?” Rispose Gesù:
“Quello che io faccio, tu ora non lo capisci,
ma lo capirai dopo”.
Gli disse Simon Pietro: “Non mi laverai mai i piedi!”
Gli rispose Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”.
Gli disse Simon Pietro:
“Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”
(Giovanni 13. 3-9)
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Questo brano è paragonabile ad un cielo stellato,
più noi fissiamo le stelle più ne vediamo,
è una visione ottica e questo dovrebbe accadere
nel nostro animo, più noi fissiamo il nostro pensiero a
quello che è accaduto nel Cenacolo il giovedì Santo e
più scopriamo qualche nuova luce, qualche bagliore nuovo,
è come se nel Cenacolo divampasse un incendio di luci.
Quei grandi eventi si aprono con il gesto solenne di Gesù,
che all’inizio della cena depone il mantello,
versa dell’acqua in un catino e comincia a lavare i piedi ai discepoli.
Non so se sapete che a quell’epoca la legge diceva che:
“Non ti lascerai mai lavare i piedi,
non permetterai mai a qualcuno di lavarti i piedi”.
Al tempo di Gesù, neppure gli schiavi erano obbligati a
compiere questo servizio umiliante;
perciò ogni israelita osservante e tanto più un Rabbì
avrebbe rispettato questa tradizione.
Invece il Rabbì di Nazaret, il Maestro dei dodici,
la infrange fino al punto di compiere lui stesso questo servizio.
“Quante luci risplendono in quel gesto così significativo!”
Il primo significato che si potrebbe cogliere,
credo sia questo; nessuno, né discepolo, né maestro, né schiavo,
nessuno deve sentirsi umiliato nel compiere un atto di carità.
Se un nostro fratello ha i piedi stanchi, polverosi,
bisognosi del nostro sollievo,
con letizia dobbiamo chinarci e servirlo;
nessuna legge o consuetudine umana può esentarci dalla carità.
Agli occhi di Dio non sarà mai umiliante un gesto
suggerito dalla legge del cuore,
la legge divina è sempre dalla parte del cuore umano;
lo sapeva San Francesco che baciava i lebbrosi
emarginati dalla società, lo sapeva Madre Teresa
che raccoglieva gli impuri, i dimenticati,
i moribondi più ripugnanti e lo sanno i;
“giusti” di ogni tempo che hanno stimolato i popoli a
mettere più cuore nelle loro leggi,
che hanno combattuto contro le leggi ingiuste,
le leggi schiaviste, razziste, abortiste, le leggi dell’egoismo;
lo sanno i Santi che hanno inventato le scuole per i poveri,
gli ospedali per gli ammalati, gli ospizi per i senza tetto,
le case per gli orfani, anche quando questa carità
non era nelle leggi degli uomini.
Il gesto di Gesù ci insegna che la carità è una legge
più grande di ogni legge umana e che il cristiano deve
obbedire alla legge della coscienza prima di ogni altra legge.
Subito dopo questo significato,
direi che ne affiora un altro non meno importante.
Con la lavanda dei piedi Gesù,
ci insegna che la carità va fatta in proprio,
che non possiamo dispensarcene;
nella carità, il servo sia come il padrone,
il Rabbì come il discepolo, il ricco come il povero,
il giovane come il vecchio.
La carità è la madre degli uomini e non c’è
prestigio personale che esoneri un figlio
dall’obbedire a questa madre.
E andiamo allora ancora più in profondità;
Gesù si china sui piedi dei discepoli;
i piedi non sono il volto,
non sono una parte attraente dell’uomo;
i piedi di Giovanni non avevano la
gentilezza del suo volto;
i piedi di Filippo non attraevano come i suoi
bei lineamenti greci;
i piedi di Pietro non conquistavano
come i suoi slanci generosi.
I piedi sono una miseria al confronto;
eppure Gesù si inginocchia davanti a tanta
miseria per insegnarci a servire i fratelli senza
guardare al loro volto, senza guardare a simpatie,
a preferenze, ad attrattive,
senza cercare alcuna gratificazione.
Ma c’è un altra lezione da imparare che è quella
di inginocchiarsi; saper imparare a inginocchiarsi
nel servizio ai fratelli ma, a sua volta,
ogni fratello deve sapere accettare la carità altrui
con gratitudine e semplicità, come Gesù insegnò a
Pietro che non voleva farsi lavare i piedi.
Può darsi che un giorno tocchi a noi ad aver bisogno
che ci lavino i piedi, il capo e le mani,
o che ci imbocchino, o che ci vestano.
Gesù ci insegna che per, “aver parte”,
con Lui bisogna saper fare la carità ma anche
saper riceverla; la carità va fatta con dolcezza e
umiltà ma va anche ricevuta con dolcezza e umiltà.
Quanta luce emana quel gesto di Gesù!
Se l’ultima Cena è la prima Messa nel mondo,
allora la lavanda dei piedi è la prima omelia al mondo.
Ascoltiamola con commozione e raccoglimento;
e facciamo tesoro della sua conclusione,
cioè delle parole che disse Gesù:
“Anche voi, fate come io ho fatto a voi!”
È un invito che non è limitato alla lavanda dei piedi,
ma vuole essere un invito molto più ampio,
vuol dire; in ogni cosa comportiamoci come si
comporterebbe Cristo;
impariamo ad essere liberi da tutto e schiavi solo di Cristo.
In ogni cosa, chiediamoci cosa farebbe Cristo e facciamolo.
Imitiamo Cristo!
È questa la regola d’oro della carità.
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Quando ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti,
sedette di nuovo e disse loro:
“Sapete ciò che vi ho fatto?” (Giovanni 13.12)
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Ogni volta che abbiamo meditato la lavanda dei piedi,
l’abbiamo sempre meditata come una lezione sulla carità,
giustamente, eppure sembra che non ne
abbiamo ancora appreso tutti i significati;
sembra che il Signore continui a rivolgere
anche a noi la domanda che rivolse agli apostoli:
“Capite che cosa vi ho fatto?”.
Prima di rispondergli, proviamo a riflettere e a chiederci;
si può trarre un insegnamento più profondo in
quel gesto che appare soltanto un
emblema della carità verso il prossimo?
Cos’altro dobbiamo capire della carità?
Per tentare di capire, cominciamo col tornare
indietro a una lavanda di piedi e a una cena
precedente, dove sembra che Gesù sminuisca
il valore delle opere buone verso il prossimo.
È la cena di Betania!
Gesù vi prende parte insieme a Giuda e ad altri discepoli.
Durante il convito interviene Maria,
che prese una libbra di essenza di nardo da un vaso prezioso,
unge il capo e i piedi di Gesù.
Tutta la casa si riempie della fragranza di quel profumo.
Giuda però osa esprimere il suo disappunto;
e lo fa con un argomento che avrebbe dovuto
chiudere la bocca al suo Rabbì:
“Non era meglio che si vendesse quell’unguento
per darne il ricavato ai poveri?”
Ma ancora una volta Gesù,
rovescia la situazione e fa a pezzi le certezze di chi lo circonda:
“Lasciatela stare, dice,
essa ha compiuto un’opera buona verso di me;
i poveri li avete sempre con voi, ma non sempre avete me;
dovunque sarà annunziato il Vangelo in tutto il mondo,
si narrerà ciò che essa ha fatto”.
Poi, Gesù sottolinea un altro punto importante:
“Ciò che poteva fare, ella lo ha fatto,
ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura”.
È questo il punto che volevo fare affiorare.
A questa mensa Gesù insegna che le occasioni
per offrire a Dio un atto d’amore non vanno perdute;
e che un atto d’amore dedicato a lui ci conduce
misteriosamente a compiere atti d’amore per l’uomo;
così come il nardo della Maddalena,
dedicato al vero Dio, diventa atto pietoso
anche per il vero uomo; per la sepoltura del suo corpo.
La mensa di Betania è la lezione complementare
alla lezione del Cenacolo; perché la vera carità, la carità piena,
la carità santa di cui ci parla San Paolo,
si esercita soltanto quando si esercita anche la carità verso Dio.
Se non spendiamo il profumo della nostra anima per Cristo,
se non ci inginocchiamo ai suoi piedi, se non guardiamo a Lui,
la nostra carità rischia di essere fragile e non matura,
di essere superficiale,
(tanto per mettere la coscienza tranquilla)
non integra, affannosa e non gioiosa, antiquata e non profetica.
Il Signore è morto in Croce non perché il cristiano
semini nella sua vita minuscoli miracoli di carità quotidiana,
ma perché tutta la sua vita sia un intero miracolo di carità.
E questo autentico miracolo si compie soltanto con Lui.
La lezione che Gesù dette a Giuda in Betania e
la lezione che dette agli Apostoli nel Cenacolo
sono un’unica lezione, sono un unico modello per il cristiano;
come i due comandamenti nuovi del
Signore sono un unico comandamento:
“Ama Dio con tutto te stesso, con tutte le tue forze,
e ama il prossimo tuo come te stesso”.
Un cristianesimo che si riduce alla pratica di una certa
solidarietà con il prossimo, non ha più niente a che
fare con il cristianesimo evangelico;
la carità cristiana è una forma di amore che rivolgiamo a Dio.
L’amore per Dio sorpassa i limiti di una
carità puramente umana e carnale,
perché ci fa amare il prossimo nella sua
dimensione e vocazione eterna.
Si tratta dunque di conservare e di aumentare in noi
quel senso di Dio che deve essere il fondamento di
ogni nostro rapporto con gli altri.
Nella contemplazione di Dio,
si svegliano nell’uomo i sentimenti profondi della
donazione e della lode, cioè i sentimenti che fanno
parte della dimensione integrale dell’uomo;
per cui un uomo che non ha questo senso di Dio,
è un uomo a cui manca qualcosa, manca il vaso dell’amore,
manca la totalità dell’amore autentico.
In certe epoche del cristianesimo si è
data poca importanza all’amore del prossimo.
Ma l’errore di oggi, reale e grande, è inverso.
Oggi si è tentati di credere che il cristianesimo
si esprima essenzialmente con l’amore del prossimo,
e facciamo dell’amore di Dio qualcosa di secondario.
Questo è radicalmente contrario all’esempio di Cristo;
tutta la vita di Cristo fu un duplice rapporto,
uno con i fratelli, l’altro più profondo e intimo con il Padre.
Così deve essere anche per noi, l’equilibrio della nostra
vita cristiana dipende,
dalla misura in cui siamo capaci di unire queste due
dimensioni, l’amore a Dio e l’amore al prossimo.
Allora alla domanda che Gesù
rivolge a tutti noi nel suo Santuario è:
“Capite cosa vi ho fatto?”
E noi rispondiamo umilmente:
“Signore, non sappiamo se abbiamo davvero capito,
ma Tu, aiutaci a capire”.