VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

Il nostro intento e' quello di condividere l'amore del Signore e la maternità di Maria che hanno per tutti noi anche attraverso l'organizzazione di pellegrinaggi al santuario dell'Amore Misericordioso e da alcuni anni anche a Medjugorje.



Per informazioni e contatti scrivere a:

FAUSTOBERTILLA@GMAIL.COM



CELL. 349/1009626

martedì 3 agosto 2010

Il raccolto abbondante

IL RACCOLTO ABBONDANTE
Purtroppo, tutti noi ragioniamo come se conoscessimo
il giorno in cui dobbiamo lasciare questa terra.
Pensiamo in continuazione a cosa fare per
renderci la vita senza problemi,
a disporre il nostro cammino per la vita futura in
modo che sia il più possibile
senza affanni e senza dolori.
Andiamo alla ricerca del benessere per
noi e la nostra famiglia,
senza pensare magari a chi sta peggio dinoi,
spendiamo tante volte i nostri averi
guadagnati magari con inganno,
per curare il nostro corpo, palestra, vestiario,
cure estetiche,soggiorni esotici e per ultimo
magari qualche mago per sapere
come staremo domani o anche dopodomani,…….e Dio,
è un opzional, perché se posso spendere
senza problemi a cosa mi serve?
Allora Gesù disse questa parabola:
La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto.
Ed egli ragionava tra sé:
“Che farò poiché non ho dove riporre i miei raccolti?”
E disse: “Farò così; demolirò i miei magazzini e ne
costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto
il grano e i miei beni.
Poi dirò a me stesso; anima mia,
hai a disposizione molti beni,
per molti anni; mangia, bevi e datti alla gioia.”
Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa
ti sarà richiesta la tua vita.
E quello che hai preparato di chi sarà?”
Così è di chi accumula tesori per sé e,
non arricchisce davanti a Dio.
Poi disse ai discepoli: “Per questo Io vi dico;
non datevi pensiero per la vostra vita,
di quello che mangerete;
né per il vostro corpo, come lo vestirete.
La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito.
Guardate i corvi; non seminano e non mietono,
non hanno ripostiglio né granaio e, Dio li nutre.
Quanto più degli uccelli voi valete.
Chi di voi, per quanto si affanni,
può aggiungere un’ora sola alla sua vita?
Se dunque non avete potere neanche
per la più piccola cosa,
perché vi affannate del resto?
Guardate i gigli, come crescono; non filano,
non tessono;
eppure Io vi dico che neanche Salomoe
con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.
Se dunque Dio veste così l’erba del campo,
che oggi c’è e domani si getta nel forno,
quanto più voi, gente di poca fede?
Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete e,
non state con l’animo in ansia;
di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo;
ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno.
Cercate piuttosto il regno di Dio e,
queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non temere, piccolo gregge,
perché al Padre vostro è piaciuto
di darvi il suo regno.
Vendete ciò che avete e datelo in elemosina;
fatevi borse che non invecchiano,
un tesoro inesauribile nei cieli,
dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma.
Perché dove è il vostro tesoro,
là sarà anche il vostro cuore.
(Luca 12,16-34).
Sullo sfondo del brano del Vangelo,
c’è un fatto che abbiamo sempre
rimosso dai nostri pensieri,
ma che sovrasta la nostra vita: la morte.
Per la nostra vicenda umana è di una immediata evidenza,
anche se nello stesso tempo è continuamente cancellata.
Il nostro esistere appare come un
lungo viaggio verso la morte:
“Gettati verso la morte”.
Questa è l’ultima sponda, il silenzio assoluto.
Per questo la vita e il dolore continuano a intrecciarsi,
a combattere e a dover convivere.
Ma se non esistesse la morte non esisterebbe il pensiero,
non ci faremmo domande.
Farci domande è la dignità dell’uomo.
Farci domande è avere il coraggio di guardare negli occhi,
tutto, la morte soprattutto.
Ed è qui che nasce il miracolo,
qui si sperimenta che vivere non è solo prepararsi a morire,
ma un lottare per dare senso alla vita.
Dove nasce la domanda,
dove l’uomo non si arrende di fronte alla necessità,
lì si rivela la dignità della vita,
il senso e la bellezza dell’esistere.
Noi non siamo gettati alla morte,
ma siamo chiamati alla vita.
La nostra condizione più vera è
allora quella del pellegrino.
Siamo cercatori in cammino tutti i giorni.
Tutto quello che abbiamo costruito ce lo
lasciamo sempre alle spalle,
come una sicurezza per la ricerca di nuovi traguardi,
di nuove mete.
Fermarci è una tentazione mortale.
L’illusione di sentirsi arrivati,
il pretendersi soddisfatti e sazi
è una malattia mortale.
Tutto questo è vero per noi
ed è vero per le nostre comunità,
per i nostri gruppi, per la nostra compagnia di amici,
per la Chiesa.
È sempre così nella vita; abbiamo bisogno di mete,
di qualcuno che ci butti fuori
dalla casa del grande fratello,
che continui a farci domande e ci metta in discussione.
Perciò seguire una pagina di Vangelo è
fare un pellegrinaggio spirituale.
La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto.
Era l’abbondanza dei raccolti dei campi,
del lavoro, dell’impegno quotidiano, senza mai smettere.
Aveva tentato qualche volta di lasciarsi andare,
ma aveva visto che si fermava tutto,
che a casa non portava più niente.
Nella vita è sempre così.
Le cose te le devi guadagnare tutte,
non ti regala niente nessuno,
devi sempre stringere i pugni,
buttarti nella mischia a testa bassa.
Invece quante persone vanno alla
ricerca del denaro facile,
perché hanno guardato l’oroscopo che per loro
dava vincite al gioco e fortuna,
ma ho provato con tutti i gratta e vinci,
con lotterie varie,
senza mai portare a casa un centesimo.
Ho usato lo stesso metodo anche nei miei affetti,
ho pure grattato tanto, ma vinto proprio niente,
eppure mi dicevano che era il mio giorno fortunato!
E dopo aver grattato anche la mia vita,
sotto ho trovato ancora me stesso,
con le mie fissazioni e in mano la solita moneta.
C’è però chi lavora sodo e porta a casa e,
ogni tanto qualche risultato si fa vedere.
Ma come si guarda ai risultati che otteniamo in genere?
Già nel modo in cui si guarda al risultato
delineiamo il nostro futuro.
Spesso il risultato è visto come opera tua,
della tua grinta,del tuo impegno, della tua costanza.
Al massimo chiami fortuna qualche cosa
che non è derivata da te e poi,
per convincerti che sei ancora tu al centro,
dici che la fortuna occorre anche guadagnarsela.
In questo modo di leggere i risultati del nostro operare,
si sta incrinando il senso vero della vita.
Allora dobbiamo chiederci.
Non esiste proprio nessuno che ti ha
donato tutto quello che hai raccolto?
È proprio tutta farina del tuo sacco?
Non senti che tutto quello che fai e
che sei è un dono di Dio?
È come quando un ragazzo o ragazza,
decide di andare a vivere da solo,
perché gli stanno strette certe
restrizioni dettate dai genitori,
tante volte sbattendo la porta dietro di se.
Poi mette su casa da solo e scopre che c’era anche
un tempo donato, soprattutto,
un amore impagabile che lo circondava e che
era la componente fondamentale del benessere
che viveva nella casa dei genitori.
Così è con i tuoi raccolti della vita;
pensi sempre che tutto dipenda da te,
invece tutto ti è donato da Dio.
Egli ragionava tra sé:
“Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?”.
La prima scelta da fare è mettersi a pensare.
Buona scelta!
Molti di noi non hanno mai tempo di pensare,
sono sempre sbattuti da ogni parte senza possibilità
di prendere in mano la propria vita.
Purtroppo però questo personaggio della parabola
un monologo tra se lo ha fatto;
ho lavorato tanto, ho condiviso con molti fatica e lavoro;
ora comincia a ragionare come il ricco, si isola,
si ingabbia nella sua solitudine e ragiona tra se,
mette fuori tutti, Dio per primo.
Le domande; che farò?
Che cosa dobbiamo fare fratelli?
Che devo fare per…..!
Si trovano molto spesso nella Sacra Scrittura,
segno che occorre mettere in atto progetti,
cambiamenti concreti.
Misurarsi con qualcosa di sperimentale.
Significa che ci deve essere una
disponibilità a inscrivere nella
nostra esistenza un impegno conseguente alla vita di fede,
all’incontro con Cristo.
Non è vero che i cristiani sono fatalisti;
i cristiani sono attivi,
ma sanno che il principio e il
sostegno di ogni azione è Dio.
Proprio quello che non fa il nostro ricco possidente,
il nostro rampante arrivato e seduto.
“Farò così…., e poi dirò; riposati, mangia,
bevi e datti alla gioia”.
L’uomo ricco della parabola è caduto
proprio nella trappola dell’avere.
L’unica preoccupazione che ha è di poter
avere continuamente di più, accumulare,
stoccare, ingrandire le cisterne, i contenitori,
ingabbiare, mettere al sicuro, demolire e ricostruire,
ma sempre per tenere e avere.
Non è tanto il modello economico che sta
mettendo in pratica a interessarci,
perché probabilmente oggi passerebbe per uno stolto.
Non si fanno infatti fruttare così i soldi,
le finanze, le proprietà.
Occorre invece una diversa
intelligenza e capacità di rischio.
A noi serve capire la logica scellerata
di un possesso fine a se stesso,
che è spesso legge dei nostri comportamenti.
I beni più belli che i giovani
hanno sono i loro verdi anni.
Qualcuno si può sedere e guardare i
bassi numeri dei suoi compleanni; 18,20,22,25…..
guarda quanta vita c’è davanti.
Farò—viene da pensare—così;
giro il mondo, mi cavo questa soddisfazione,
mi diverto, mi butto nelle avventure che mi capitano,
allargo le mie possibilità, le provo tutte,
apro nuovi terminali.
Anche voi andate contro tutte le leggi dell’economia,
perché mettete la vostra giovinezza in stand-by
come dite voi giovani,
anziché orientarla alla sua sorgente.
Volete fare a meno di Dio,
pur sapendo che è Dio che possiede il
segreto della felicità,del vostro essere.
Ingrandiamo il nostro granaio per avere di più;
più uno ha, più aumenta il desiderio e,
più aumenta il desiderio,
più cresce una forma maligna insaziabile.
Immaginate quanto sarebbe diverso se ritenessimo
la giovinezza un dono, un regalo,
una chiamata, una proposta,
un’amicizia da stringere con Dio e con
tutti quelli che ci mette sulla strada,
se lo vedessimo come investimento anziché come possesso!
Ma Dio gli disse:
“Stolto, questa notte stessa ti
sarà richiesta la tua vita.
E quello che hai preparato di chi sarà?
Così è di chi accumula tesori per sé,
e non arricchisce davanti a Dio”.
È la tua vita che conta, non i tuoi beni;
sei tu al centro dell’attenzione di Dio,
non le tue cose;
è il chi tu sei, guadagnato a fatica,
che il Signore vuol incontrare, non le tue maschere.
Io voglio trovare te, ti dice Dio, incontrare te,
ho desiderio di guardarti negli occhi;
non vengo a farti visita a casa per
guardare il tuo appartamento,
il tuo bagno galattico,il tuo stereo,
il tuo garage con quello che c’è dentro,
la tua raccolta di MP3, i tuoi album di fotografie,
ma voglio godere della tua amicizia, dei tuoi sentimenti,
dei tuoi sogni, di quello che hai sempre nutrito
nel tuo cuore come bene prezioso.
Voglio soprattutto gustare con te quel dono che
vuoi essere per tutti senza distinzioni,
ma se proprio vuoi distinguere le
persone sia per i più disagiati.
C’è un momento di verità della vita che ti dà la
possibilità di essere te stesso senza inganni,
senza rimandi, senza puntelli.
Tu, solo con te stesso e con Dio.
Se ci badate, siamo sempre appoggiati a cose inutili.
Come farei senza questo, senza questi oggetti,
queste persone, queste abitudini?
Mi basta Dio?
Se entriamo in questo ordine di idee,
allora si può impostare diversamente la nostra vita.
Come si imposta la vita di chi mette
Dio al centro della sua esistenza,
di chi sa che il suo cuore sta in Dio e non nelle cose,
di chi non si specializza nell’arte dello stoccaggio
ma in quello del dono, soprattutto di sé!
“Non datevi pensiero per la vostra vita,
di quello che mangerete,
né per il vostro corpo, come lo vestirete”.
L’espressione esatta è, “non angustiatevi; non angosciatevi”.
Il termine, “angoscia”, deriva da una parola che si porta
dentro il significato di soffocamento, della morte.
Angosciato è uno assillato dalla morte,
minacciato continuamente da un fine, da un vuoto incolmabile.
Mangiare e vestire sono due preoccupazioni
non piccole per l’uomo.
Mangiare è necessario per vivere, non è fine a se stesso.
Molti vivono per mangiare e non mangiano per vivere.
Qualcuno ha definito l’uomo un tubo digerente.
L’attaccarsi al cibo in genere è riempirsi di qualcosa,
perché non siamo capaci o non abbiamo la
possibilità di riempirci di qualcuno.
“Non di solo pane vive l’uomo”,
dirà Gesù nel deserto, quando il demonio lo tenterà.
Il vestito è un altro grande bisogno materiale;
contribuisce a dare agli altri una immagine di noi.
È un biglietto di presentazione,
che spesso diventa la maggior preoccupazione.
È talmente ingannevole e,
necessita di essere gestito con tale saggezza,
che spesso diventiamo dei manichini.
I vestiti non sono più un aiuto,
ma diventano una prigione,
uno spreco, un capriccio.
Affidiamo ai vestiti l’incarico di dire chi
siamo e per questo siamo disposti a fare uomini sandwich,
tante sono le marche che andiamo in giro a far vedere,
pagando noi per giunta e, anche cara,
la pubblicità che facciamo.
Vestiti sono le felpe, le T-shirt, della Nike,
la Reebok, gli zaini Invicta, ma soprattutto i jeans.
Li portano i bambini, i giovani,
le mamme con qualche fatica a starci dentro e
tante volte la carne esce fuori dappertutto,
i papà che quasi se li fanno stirare addosso,
a giudicare da qualche tentativo di piega che si
intravvede sotto le ginocchia,
le ragazze con qualche problema di linea e non si
accorgono che fanno pietà.
Larghi, stretti, sagomati, aderentissimi,
da levare assolutamente prima di pranzo,
pena far saltare la cerniera o non riuscire più a sfilarseli.
Tutte le ricerche dicono che troppo stretti rovinano;
le sorgenti della vita; fino alla sterilità.
Ma dicono loro, sicuramente saranno tutte sparate americane.
Consumati nei punti di continuo uso e smangiati nei
posti sessualmente strategici,
con buchi e rattoppi, strappi e tagli.
Si portano lunghi, a tre quarti, corti, a frange sfilacciate,
col risvolto e con il cavallo alle ginocchia,
salvo dover camminare adagio, pena una rovinosa caduta.
Oggi non occorre più stare ore a sfregare con qualche
sasso per renderli più veri perché te li
vendono già consumati apposta.
Se poi ai vestiti aggiungiamo tutti i metalli di
cui abbelliamo le nostre teste, le labbra,
le orecchie e anche qualcos’altro,
allora il discorso si fa ancora più intrigante.
Il cibo diventa sicurezza materiale e
il vestito sicurezza psicologica.
La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito.
Scriviamocelo nella mente,
mettiamo in atto strategie per non farci ingabbiare,
per non abbassare la guardia della nostra dignità,
per vedere nel cibo e nel vestito un altro dono di Dio
da usare per il dono più grande che è la vita.
Una delle maggiori cause di morte oggi è l’eccesso di cibo,
è l’insaziabilità, l’ingordigia,
è l’incapacità di controllare il piacere del cibo,
mentre, tra l’altro, l’altra metà
del mondo non ha il necessario.
Guardate i corvi; non seminano e non mietono,
non hanno ripostiglio né granaio e, Dio li nutre.
Se c’è un uccello che non ci commuove ne ci ispira,
di cui faremmo a volentieri a meno,
un animale ritenuto immondo cui nessuno dà da mangiare,
che per natura sua deve arrangiarsi, è proprio il corvo;
non l’uccello del paradiso, non un usignolo che canta,
non è una tortora che ti intenerisce,
ma uno sgorbio che ti disturba.
Eppure Dio pensa anche a lui.
Gli ha scritto dentro un istinto che lo porta senza
angoscia alla soddisfazione dei suoi bisogni e lo
rende creativo in tutta la sua ricerca.
Chi di voi, per quanto si affanni,
può aggiungere un’ora sola alla sua vita?
Ogni tanto qualche giornale radio o qualche rubrica
di quotidiano dice che abbiamo
scoperto l’elisir di lunga vita,
che abbiamo qualche possibilità
in più di continuare a vivere.
Oggi, è vero, abbiamo innalzato l’età
media della vita di una persona.
L’abbiamo chiamata conquista,
anziché intelligenza nello scoprire le
potenzialità che Dio aveva da sempre
posto nella vita degli uomini e che
noi abbiamo sempre occultato perché,
anziché aiutare a vivere,
ci siamo applicati a far morire, a uccidere.
Siamo diventati specialisti,
piuttosto che nell’aggiungere pezzi alla vita,
nel toglierglieli, nel sopprimere la vita,
sia al suo inizio, sia alla sua fine.
Aborto ed eutanasia sono esattamente il contrario
del potere sull’allungamento della vita,
sono la conseguenza del possesso
sulla vita che crediamo di avere.
Guardate i gigli, come crescono,
non filano, non tessono;
eppure Io vi dico che neanche Salomone,
con tutta la sua gloria,
vestiva come uno di loro.
Se dunque Dio veste così l’erba del campo,
che oggi c’è e domani si getta nel forno…..!
Così anche il vestito è un dono di Dio.
È Dio che cura la nostra immagine,
che ci ha messo nella scala vera del Creato.
Non è il merito che conta davanti a Dio,
ma l’abbandono fiducioso.
Non è nemmeno il guadagno, il calcolo, l’efficienza,
la strumentalizzazione in vista sempre
di qualche altra destinazione.
Per il Signore le cose valgono per quello che sono.
Un giglio di campo dà gloria a Dio e deve essere
sempre il più bello possibile,
anche se resiste per poco alla
legge inesauribile della falce.
Già nel suo piccolo, in quello che è,
si trova a dare lode a Dio.
Ogni uomo ha in se la dignità di
poter esistere per se stesso,
per la gloria di Dio.
Non è strumentabile ad altro.
È straricco di generosità da parte di Dio.
Solo che finge di non conoscere Dio.
Gente di poca fede.
E c’è questo termine, che appare spesso nei Vangeli;
la scarsità della fede, la sua inconsistenza.
Ripetute volte Gesù invita a uscire da questa,
fede debole o spenta, che abbiamo.
Matteo riferisce almeno cinque di questi casi.
Essere di poca fede significa ritenere che Dio,
dopo averci creato,
ci abbia abbandonato e non si curi più di noi.
L’uomo è creatura di Dio ben più dei corvi e dell’erba.
E Dio provvede a noi lo stesso,
anche se siamo di poca fede.
Quando gli apostoli sono nella burrasca e hanno paura:
Perché avete paura, uomini di poca fede? (Matteo 8,26).
Quando Pietro cammina sulle acque e
un po’ alla volta affonda:
Uomo di poca fede, perché hai dubitato? (Matteo 14,31).
Quando Gesù rimprovera i discepoli che dicono
di essere lasciati senza pane:
Perché, uomini di poca fede,
andate dicendo che non avete pane? (Matteo 16,8).
Quando i discepoli non hanno potuto scacciare i demoni:
Non li avete potuti scacciare per la vostra poca fede….!
Basta averne un granello, di fede ma vera! (Matteo 17,20).
Guardiamoci dentro per vedere anche noi quante esperienze
della vita siano caratterizzate da questa poca fede;
non ce la farò a rimanere pulito dentro,
non ce la farò a mantenere la mia dignità nel lavoro,
non ce la farò a seguire Gesù,
non ce la faccio a vivere da cristiano;
non c’è niente che mi vada bene;
non riesco a credere fino in fondo, mi adatto troppo…….!
Gente di poca fede!
Tu sei un pensiero di Dio,
tu sei un palpito del cuore di Dio;
era l’affermazione convinta di
Papa Giovanni Paolo II ai giovani.
Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete e,
non state con l’animo in ansia;
di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo,
ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno.
Il cristiano non cerca ciò di cui ha bisogno
non perché è fatalista,
non perché è autosufficiente,
nemmeno perché può fare a meno del necessario, ma lo chiede;
se lavora e si dà da fare, è perché è sicuro
che lo può ottenere da Dio.
Noi sappiamo di essere figli di Dio,
e un padre non dà serpenti o scorpioni
a chi gli chiede pane o uova.
Chi è senza Dio e pensa di essere abbandonato a se stesso,
o di essere frutto di un caso,
alla fine immagina che ci sia un destino che lo consuma.
Ancora di fede si tratta, ma in una cieca casualità.
Se si deve credere comunque, meglio credere in un Padre,
perché abbiamo conosciuto suo figlio.
Proviamo, quando siamo a corto di ragionamenti, a ripeterci:
“Dio mio, Padre Santo, Tu, o Dio,
conosci meglio di me di che cosa ha sete la mia vita,
quali abbagli sta prendendo,
Tu sai le mie tergiversazioni, conosci le mie infedeltà,
le mie lacrime di coccodrillo,
Tu mi hai tessuto nel grembo di mia madre,
il mio corpo ancora era informe e non era ancora stato
disegnato e Tu già sognavi la mia vita,
la conoscevi tutta.
Affido a Te i miei progetti”.
Cercate piuttosto il regno di Dio e,
queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non temere, piccolo gregge,
perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno.
A cosa ci dobbiamo applicare?
A quella visione di mondo, di vita, di futuro,
di universo che è venuto a inaugurare Gesù su questa terra.
Lui, Gesù, è stato il primo a cercarla.
La sua vita è stata tutta a disposizione del Regno di Dio,
della civiltà dell’amore Misericordioso,
del progetto Trinitario di salvezza per l’umanità.
È quel Regno di cui ha proclamato l’imminenza.
È qui!
Convertitevi, cambiate vita,
il Regno di Dio sta passando e
voi ve lo lasciate scappare.
State a deliziarvi nella vostra meschinità e
non vi accorgete di tutto quello che passa.
Alzate lo sguardo senza paura!
Se cerchi il regno, il resto è una conseguenza.
Non stare a mettere la pezza alla tua felicità,
punta più in alto.
Fidati, rischia, spezza la paura.
Per il Regno di Dio,
fa almeno quegli sforzi che hai fatto per
imparare ad andare in bicicletta,
a nuotare, a pattinare, a camminare sulle tue gambe,
quando tutto ti sembrava insormontabile
e oggi ne ridi ancora.
Il Signore ride a vedere i nostri
abbarbicamenti e sostegni di ogni tipo,
alle nostre cose che sembrano darci la sicurezza
e a Lui suonano come offesa perché pensiamo
sempre che Dio non sia fedele.
È così anche come comunità, come popolo di credenti,
siamo troppo paurosi, non abbiamo coraggio,
continuiamo a chiedere fari per la nebbia e
dimentichiamo che Lui è il sole.
Abbiamo ridotto lo sguardo al nostro piccolo mondo,
ignorando la luce che dobbiamo proporre a tutti.
Vendete ciò che avete e datelo in elemosina;
fatevi borse che non invecchiano,
un tesoro inesauribile nei cieli,
dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma.
Perché dove è il vostro tesoro,
là sarà anche il vostro cuore.
Ritorna il verbo vendere,
contro tutta la nostra mania di comperare.
Risuona anche in queste parole la raffica di
verbi che Gesù rivolge al giovane ricco;
và, vendi, regala, vieni e seguimi.
Qui si dice di fare elemosina.
La parola non è di quelle che suscitano la
compassione e la degnazione di un ricco nei
confronti di un poveraccio,
che in ebraico significa giustizia.
Fare elemosina è riportare a giustizia quello
che l’uomo ha scompigliato nella
distribuzione equa di Dio,
dei suoi beni a tutti.
L’elemosina biblica è esigenza di giustizia superiore,
dettata dalla misericordia.
Allora ognuno di noi deve dare secondo quanto ha e
ricevere secondo quanto gli occorre.
Gesù non ha mai voluto borse per i suoi discepoli;
ma solo borse che contengano la capacità di dono,
la generosità, l’altruismo, l’amore.
Questi sono tesori che non danno affanni o angosce,
perché è la nostra somiglianza con Gesù.
Ci domandiamo sempre dove sia la nostra felicità.
Mi dici dove sta la mia felicità?
Là dove c’è il tuo tesoro,
dove c’è il tuo cuore;
dove c’è l’Amore Misericordioso di Dio!

Nessun commento:

Posta un commento