VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

Il nostro intento e' quello di condividere l'amore del Signore e la maternità di Maria che hanno per tutti noi anche attraverso l'organizzazione di pellegrinaggi al santuario dell'Amore Misericordioso e da alcuni anni anche a Medjugorje.



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lunedì 5 maggio 2014

I due giovani di Emmaus

Portate pazienza amici, ieri non ho avuto il tempo
per metterlo sulle mie pagine, e siccome è troppo
bello, ve l'ho messo questa notte, buona lettura.
Ed ecco in quello stesso giorno, due di loro erano
in cammino per un villaggio distante circa sette miglia
da Gerusalemme, di nome Emmaus e,
conversavano di tutto quello che era accaduto.
Mentre discorrevano e discutevano insieme,
Gesù in persona si accostò e camminava con loro.
Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.
Ed Egli disse loro: “Che sono questi discorsi che
state facendo fra voi durante il cammino?”.
Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome
Cleopa, gli disse: “Tu solo sei così forestiero in
Gerusalemme, da non sapere ciò che vi è accaduto
in questi giorni?”.
Domandò: “Che cosa?”.
Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno,
che fu profeta potente in opere e in parole,
davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti
e i nostri capi lo hanno consegnato,
per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso.
Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele;
con tutto ciò sono passati tre giorni da quando
queste cose sono accadute.
Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti;
recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il
suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una
visione di angeli, i quali affermano che Egli è vivo.
Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e,
hanno trovato come avevano detto le donne,
ma Lui non l’hanno visto”.
Parola del Signore.
Sicuramente delusi, forse anche un po’ disperati,
assolutamente con il morale sotto i tacchi.
Ci capita qualche volta di avere giù la catena e,
di stare con il nostro migliore amico a dire tutte le scalogne
che ci sono capitate, magari tutti e due con una birra in mano,
per vedervi crescere la forza di una confidenza impossibile e
la sofferenza di una tristezza che si vede lontano un miglio.
Ed ecco in quello stesso giorno, due di loro erano in cammino.
Erano in cammino e si allontanavano da Gerusalemme.
Esattamente il contrario del cammino di Gesà,
che sempre era orientato a Gerusalemme, alla sua meta.
Scendevano e si allontanavano dal cammino di Gesù,
come quell’uomo che incappò nei briganti, come quel
levita e quel sacerdote che non osarono fermarsi
a soccorrerlo e a confortarlo.
Se ne andavano dal centro della fede.
Avevano smesso di camminare verso la felicità
e le remavano contro.
Si erano stancati di cercare, avevano preferito
tornare sui loro passi.
Sono l’immagine dei nostri percorsi di fuga dalla vita vera,
soprattutto dai problemi veri, dalle prospettive
faticose, ma che danno soddisfazione.
Avevano abbandonato il Cenacolo, perché vi si respirava
aria troppo triste; non avevano avuto più il coraggio
di stare là con Maria ad aspettare.
È fuga anche non aspettare più,
non attendersi più niente dalla vita.
Potremmo dare un’occhiata alla nostra vita e vedere quante
fughe facciamo, quante scuse accampiamo per non guardarci
dentro, quante solitudini andiamo ad accumulare,
anziché nutrirle di speranza.
Uno dei due ha un nome, Cleopa, l’altro è ciascuno di noi.
I giovani sono gente sempre in cammino, che macinano
chilometri e vogliono vedere sempre cose diverse,
ma sempre nuove. Non li ferma nessuno.
È bello camminare, è bello vedere nuovi mondi, nuovi
panorami, forse nuove prospettive, non annoiarsi nelle
cose di sempre, sicure, senza rischio, ma non tirando
calci ai sassi per disperazione come questi due, indispettiti
di non riuscire a capirci più niente, con nella fantasia alcuni
sogni che si sono infranti e spenti.
È bello camminare, ma avendo la certezza che la direzione
è giusta, che non è una fuga, non è un percorso di perdizione,
ma una salita faticosa verso ideali grandi.
Mentre discorrevano e discutevano insieme.
Discorrevano e discutevano; sono verbi un po’ attuiti.
Il significato letterale è che si buttavano addosso l’un l’altro,
la colpa della tristezza che sentivano.
La loro amicizia li aveva legati nella risposta generosa al
, nella consuetudine di Gesù,
ma adesso si rimproverano l’un l’altro del fallimento:
“Anche tu mi dicevi, tranquillo che eravamo
in buona compagnia!
Tu invece, che di solito sei intraprendente, ti sei adattato
e sei stato il primo a dileguarsi!
Ma abbiamo fatto bene a squagliarcela”.
Gesù in persona si accostò e camminava con loro.
Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.
Stanno fuggendo, stanno allontanandosi dalla via che
Lui aveva loro indicato, stanno facendo di testa propria,
hanno deciso forse di chiudere l’avventura
con tutta la questione Gesù.
Anche questa volta è ancora Gesù che non li molla.
Gesù non ci lascia mai, Gesù non se la squaglia, siamo
noi che non lo vediamo, che abbiamo gli occhi solo per
i nostri idoli, i nostri ideali, i nostri orizzonti chiusi.
C’è sicuramente qualcuno nella nostra vita,
che fa di tutto per impedire ai nostri occhi di vederlo.
Si ripete un ritratto che definisce sempre le apparizioni
di Gesù, il Risorto.
Non sono in grado di vederlo.
Lui c’è, ma non è nelle nostre facoltà di poterlo vedere,
non è il punto di arrivo dei nostri sforzi, delle nostre ricerche,
delle nostre attrazioni o delle nostre finzioni, per far tacere
il problema o per trovare una sistemazione alla
bell’emeglio nella vita cristiana, in parrocchia, nel gruppo.
È Lui che si dà a vedere, non siamo noi che lo troviamo.
Il Crocifisso Risorto si dà a vedere, non è visto.
La Risurrezione è una novità radicale, irriducibile,
ma da Lui resta accessibile.
La speranza che Egli costituisce è sempre
un oltre ogni nostra iniziativa.
Il modo di narrare di Luca, fa percepire che non stiamo
solo ascoltando la narrazione di un episodio della vita
del risorto, ma che siamo collocati entro un contesto
liturgico, come vedremo alla fine quando Gesù spezza il pane.
Questo ci fa capire ancora di più quanto la liturgia,
sia lo spazio in cui l’accoglienza si fa radicale.
Lì non siamo noi che agiamo, la speranza che riusciamo
a incontrare, non dipende dal numero di parole che diciamo,
ma dalla sete dell’Assente che abbiamo, dall’accoglienza con
cui ci apriamo, dall’inedito di Dio che sempre ci sorprende.
Spesso ci accostiamo alla liturgia, con pretese di rendere
tutto a nostra misura, a nostro indice di gradimento,
ma noi sappiamo che la liturgia è proprio il donarsi di Dio
a noi, quindi con le sue leggi, i suoi gesti, la sua Parola.
Nella vita dei due, si sta svelando, l’inedita rivelazione di Dio
nella potenza della Risurrezione e purtroppo il loro aspetto
è non solo triste, ma anche tetro, nero come il loro cuore.
E Gesù li provoca, vuol guardare dentro il loro cuore,
sentirsi dire se si è mantenuta in loro una anche
debole speranza, una fragile fede. NIENTE.
S’arrestarono al sentirlo parlare col
volto buio dei momenti vuoti. COME?
Io ho patito tutto il dolore possibile, voi mi avete abbandonato
nelle mani della soldataglia, cui non sembrava vero di poter
sfogare su di Me, tutte le cattiverie e le frustrazioni della loro vita,
Mi hanno flagellato e scannato come un agnello condotto al
supplizio, vi siete rifugiati in un’oasi di tranquillità,  lontano da
quelle scene di sangue che Io per voi pativo su di Me e
voi neppure un dubbio vi siete mantenuti nel cuore?
Avete già cancellato tutto.
Avete visto la sacra rappresentazione da lontano, avete forse
scrollato il capo per dire la vostra sfortuna di avermi incontrato,
non il mio dolore di avervi troppo amato.
E ora in questo cammino che s’allontana sempre di
più dalla verità, non sapete far altro che dare forza
vicendevole ai vostri dubbi, alle vostre debolezze.
State disseminando la strada per Emmaus, delle vostre pietre
tombali, dei vostri definitivi , delle vostre disperazioni
incoscienti.
Sapete usare solo i verbi all’imperfetto.
Tutto è irreparabile.
Questa è una cattiva abitudine con cui definiamo tutte
le nostre vite, le esperienze affettive; ci volevamo bene,
ma ormai…..; le abbiamo tentate tutte, ma ormai…..;
siamo entusiasti di quello che con l’amore ci nasce nel cuore,
ma ce lo hanno avvelenato e ormai…!
Ho cercato lavoro dovunque in maniera onesta, ma ormai…..!
Credevo di offrire al mio amore un cuore puro e, un corpo
dedicato, ma ormai l’ho già venduto a pezzetti a tutti
quelli che mi hanno preteso.
SCIOCCHI E TARDI DI CUORE.
Siete proprio senza testa e, vi tenete in petto un cuore
di pietra, pesante, grossolano.
Mettete testa e cuore a quanto vi dico e vedrete a quale
pochezza avete affidato le vostre intelligenze e i vostri cuori.
Nella vostra vita c’è già scritto tutto, solo che non riuscite
a far funzionare il cervello, la consapevolezza che non
abbiamo in mano noi il segreto della vita.
E la parola si mise a schiarire le tenebre dell’incoscienza, della
superficialità, della paura, della chiusura sul proprio destino.
E Gesù presiede alla prima parte, assolutamente dora in poi
necessaria della Messa;  l’ascolto attento della Parola,
la provocazione a farsi ammaestrare dalla verità.
Luce ai miei passi è la tua Parola Signore.
Così recitava il messaggio del Papa,
per la giornata mondiale della gioventù nel 2006.
La Parola di Dio nella vita dell’uomo, è risolutiva di tante
nostre domande, di tante solitudini, confusioni; purtroppo
l’abbiamo ridotta o a qualche bella sentenza sempre edificante,
o a qualche didascalia di cose già fatte e definite.
Invece la Parola è viva, è come una spada a doppio taglio….!
Non ritorna a Me senza avere compiuto,
quello per cui è stata mandata.
E quando la parola ti penetra nel cuore, allora ti nasce una
grande pace, non è come quando guardi la TV, o senti i
talk show o stai tutta la sera a sparare idiozie con gli amici,
contento di stare in compagnia, ma incapace di dare alla gioia
dello stare assieme, quella verità cui sempre si aspira, ma che
va cercata con fatica e impegno, scavando dentro di noi.
Resta con noi perché si fa sera e, il giorno già volge al declino.
S’è consumata una giornata, una vita a dire la delusione di
quello che si è; è calata l’oscurità come frutto della delusione
e della disperazione.
Non volge al declino solo il giorno.
Ma anche la speranza, il senso di quello che si è.
Come si può ricominciare da capo?
La vita porta sempre qualche cosa di bello e di nuovo,
di giusto e di vero, oppure è una eternità ingessata nelle
nostre miserie?
È sera, quando non sappiamo più chi siamo.
È sera, se ci mettiamo noi al posto della verità.
È sera, se cediamo alla casualità, se ci adattiamo.
È sera, quando non si rispetta la dignità della persona
e la sua sete di autonomia.
È sera, quando ci si rifugia a scambiare amore e
si trova che è solo egoismo e fuga.
È sera, quando ricasco nel vizio, dopo aver giurato,
su quel che ho di più sacro, che avrei vinto.
È sera, quando non riesco a dare senso a nessuna preghiera,
quando l’amore mi pare un’abitudine e
l’amicizia un egoismo camuffato.    
È sera, quando mi si chiude il cielo sopra la testa,
perché mi affido solo ai miei sensi.
Ciascuno di noi ha il suo buio e oggi può dire a Gesù:
“Resta qui, non mi lasciare solo, stai con me,
stringimi forte perché scivolo via come l’acqua”.
Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane,
disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.
Gesù accetta l’invito, si ferma, non fugge, resta, si siede
a mensa, vuol condividere il pane quotidiano,
si accompagna nel momento della gioia, della condivisione.
E compie quel gesto profondamente innovativo,
rivoluzionario e intimo dell’ultima Cena.
Quella l’avevano ancora negli occhi,
quel dono prima di morire li aveva stregati,
li aveva convinti che Gesù non poteva abbandonarli.
Si aprirono i loro occhi.
Il corpo spezzato e il sangue versato, sono segni di
riconoscimento dei cristiani, è solo lì che noi
possiamo definirci.
Il brano evangelico, qui va sicuramente oltre la narrazione
di un fatto, si innalza a simbolo della nuova vita dei credenti.
Quei due discepoli che riconoscono Gesù allo spezzare
del pane, sono la comunità cristiana di tutti i tempi,
che si ritrova a fare Eucaristia sotto ogni cielo,
ad incontrare il Risorto.
Da Emmaus fino alla fine del mondo, fino al Regno dei Cieli.
L’Eucaristia, scandisce i tempi delle vite del mondo e
dell’avvicinarsi del ritorno del Risorto.
Sono andati a Messa e hanno smesso di sentirsi soli,
di parlare all’imperfetto, di tirare calci di dispetto ai sassi,
di dire, <ormai….>.
S’è illuminato il buio della loro vita.
Ma Lui sparì dalla loro vista.
 “Divenne invisibile ai loro occhi dice il Vangelo”.
Non è andato via, è sempre presente, è sempre lì, nel pane e nel
vino, nella preghiera di ringraziamento, nello spezzare il pane.
Tocca a noi, ora rendere visibile la sua presenza nel mondo,
perché Lui è qui, presente, attivo, solo invisibile agli occhi.
Non ci ardeva forse il cuore nel petto?
C’è ora un cuore ardente in ciascuno di loro.
Era ardente anche il roveto del deserto, ardeva nell’indicare
la presenza di Dio, oggi sono questi cuori ardenti che indicano
agli amici, la presenza di Dio e corrono a portare questo
fuoco a tutti.
E partirono senz’indugio.
Questo giorno non finirà più.
Ma non era sera, non c’era buio, non ci si stava disponendo
a lasciar passare il tempo della notte nella calma?
La notte è nostra, ce la teniamo stretta, serve a noi, ad andare
fuori di testa, il giorno non ci piace, è pieno di gente
che ci importuna.
Lasciateci qui, a riprenderci la nostra vita.
Invece con quella forza, con quel fuoco, con quella verità che
è scoppiata nella loro vita, hanno deciso di fare della notte
il loro vero nuovo giorno; correndo, hanno ripreso il cammino
stavolta nella direzione giusta, con il cuore pieno e vivo,
con l’ardore della loro vita e la forza della loro fede.
Hanno rischiarato la notte, l’hanno fatta diventare il tempo
della missione.
Non è il tempo dello sballo, della ricerca sbagliata della felicità,
ma della comunicazione del tesoro e del fuoco della vita.
Sono tornati dagli undici, cioè la dove era raccolto il piccolo
resto di impauriti, che a mano a mano prendevano speranza.
Con gli undici c’era Maria, la Madre di Gesù.
Se li è visti ritornare come ogni mamma, che sta silenziosa
a vedere che scelta libera fanno i figli.
Vanno, vengono, hanno i loro dubbi, si prendono le loro
libertà, hanno le loro fughe e loro, le mamme, aspettano che
cigoli la porta di casa la mattina della domenica,
 tirando un sospiro di sollievo; è tornato!
È tornato ancora vivo, speriamo anche nell’anima.
I discepoli di Emmaus tornano di notte, fanno cigolare
la porta del Cenacolo, vi trovano Maria e non hanno bisogno
di annunciarle che Gesù è risorto, Lei non ne ha mai dubitato,
ma solo di dirle che lo hanno visto anche loro.
E cantano con Lei il Magnificat,
la gioia dell’inizio di un mondo nuovo, definitivo.
È quello che vorremmo fare anche noi;
dire con Lei il Magnificat.
Siamo contenti, perché Gesù si è affiancato a noi, ha fatto
grandi cose, ha sconfitto la morte, ha disperso i superbi,
ha distrutto la nostra continua depressione,
ha dato fiato a chi non ha voce, ha visitato le nostre
giornate, ha risposto alle nostre attese.
Maria, abbiamo incontrato il Signore Gesù, vogliamo fare
festa con Te, ringraziarti perché ci stata vicina e,
continuare con Te a vivere questa fede,
Pasquale nel Cristo Risorto.      

  

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