VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

Il nostro intento e' quello di condividere l'amore del Signore e la maternità di Maria che hanno per tutti noi anche attraverso l'organizzazione di pellegrinaggi al santuario dell'Amore Misericordioso e da alcuni anni anche a Medjugorje.



Per informazioni e contatti scrivere a:

FAUSTOBERTILLA@GMAIL.COM



CELL. 349/1009626

lunedì 30 gennaio 2012

La Santa Messa secondo la Madonna.

Voglio che la Santa Messa diventi per
voi un'esperienza di Dio, dice la Madonna.
L'Altare è il cuore aperto del nostro Dio,
le Sue mani piene di grazia.
Ecco perchè il sacerdote bacia l'Altare,
questo Cuore aperto del nostro Signore,
queste Sue palme trafitte.
Il nostro andare alla Messa sia sempre
pieno di gioia.
Andiamo con amore ed accettiamo
la Santa Messa.
Mettiamo la Santa Messa al primo posto
in tutte le Domeniche e in tutte le
feste di precetto.
Niente deve separarci dall'Amore di Cristo.
Amiamo la Santa Messa.
Viviamo la Santa Messa.

domenica 29 gennaio 2012

Domenica 29 Gennaio 2012 anno B

CHE CENTRI CON NOI NAZARENO?
“È il momento giusto; Dio ti si è avvicinato,
cambia la tua vita!”, il messaggio autorevole
di Gesù riecheggia in Galilea, il falegname di
Nazareth che tutti conoscono ha preso il posto
del Battista, e tutti ne restano ammaliati e turbati.
Marco annota lo stupore della folla che è ammirata
dall’insegnamento autorevole di Gesù, contrariamente
a quanto accadeva con i predicatori di professione.
La folla era abituata alle cose teoriche dei dottori
della legge e degli scribi, che predicavano la parola,
il più delle volte, per dimostrare la propria capacità
dialettica e per far sfoggio di cultura, riflessioni che,
regolarmente, passava a una spanna sopra la testa
degli uditori; la parola del falegname di Nazareth,
invece, lascia interdetti; raggiunge nel cuore,
spalanca nuovi significati, alleggerisce la vita.
Gesù parla per esperienza; il suo fecondo rapporto
con Dio gli permette di indicare una strada di
autenticità che colpisce in pieno volto l’uditore.
Siamo invitati anche noi, nell’eccesso delirante
di comunicazione che contraddistingue il nostro tempo,
a fare ordine nelle troppe voci che sentiamo.
Tuttologi, corsivisti, opinionisti, fino al discorso da bar,
tutti siamo strattonati per la giacca da mille idee e finiamo,
il più delle volte, a non averne alcuna o a sposare
quella che suscita maggiori consensi.
L’autorevolezza di Gesù non ha nulla a che vedere
con l’autoritarismo di chi impone una sua idea senza motivarla,
Egli parla dal profondo, parla per amore,
mette l’uditore al centro del suo discorso perché davvero
gli stanno a cuore la salvezza e la felicità di ognuno.
Gesù non condivide neppure quel triste atteggiamento,
troppo diffuso oggi, di chi confonde l’assenza di idee
con la tolleranza e l’apertura; come vediamo negli
adolescenti e nei giovani la presenza di un distruttivo
senso di smarrimento di chi non trova in noi adulti nessuna
certezza e che perciò fatica a farsene delle proprie.
Io credo, e lo credo veramente, che Gesù può davvero
dire una parola definitiva sull’uomo e su Dio e,
nel suo equilibrio, nel suo fascino, nella sua
schietta e virile verità, nel suo amorevole desiderio
di salvezza, trovo un punto fermo da cui partire per la mia ricerca.
Dobbiamo essere realisti; nel troppo rumore diventa
difficile udire l’impercettibile discorso di Dio,
un Dio che—almeno Lui!—non urla per farsi sentire ma
c’invita, piuttosto, a rientrare in noi stessi.
Senza silenzio la nostra vita muore frastornata dai troppi rumori,
senza interiorità finiamo col non sapere neppure noi quali
idee abbiamo, senza spiritualità il mondo che ci circonda
ci possiede, come l’indemoniato nella sinagoga.
L’indemoniato è simbolo di tutte le obiezioni che
c’impediscono, infine, di diventare credenti.
Abita nella sinagoga, partecipa alla preghiera,
professa la sua fede; dice Marco; con sfrontatezza,
ammonisce la comunità che legge il suo Vangelo;
il primo esorcismo che Gesù esercita è
nella comunità, tra i fratelli.
Non esistono pericoli ”fuori”, ma “dentro” di noi,
dentro le nostre scelte viviamo le contraddizioni della fede,
dentro le nostre comunità abita la logica
tenebrosa della divisione.
L’affermazione del credente indemoniato è terribile:
“Che centri con noi, sei venuto per rovinarci!”.
È demoniaca una fede che tiene il Signore lontano
dalla quotidianità, che lo relega nel sacro, che sorride
benevola alle pie esortazioni senza calarle nella dura
quotidianità; è demoniaca una fede che vede in Dio un
concorrente e che contrappone la piena riuscita della vita,
con la fede; se Dio esiste, io sono castrato, non posso
realizzare i miei desideri; è demoniaca una fede che
resta alle parole; il demone riconosce in Gesù il
santo di Dio, ma non aderisce al suo vangelo.
Ecco tre rischi concreti e misurabili per noi discepoli
che frequentiamo la sinagoga; professare la fede in
un Dio che non c’entra con la nostra vita, un Dio avversario,
un Dio da riconoscere solo a voce.
Il primo annuncio di conversione risuona, in Marco,
nella comunità dei credenti.
Siamo sempre tentati di trovare altrove, nel “mondo”,
i nostri nemici, i nostri avversari.
Gesù, con maggiore realismo, ci dice di guardare
dentro la comunità, dentro gli atteggiamenti che
consideriamo scontati e ovvi; una fede solo devozionale,
un’appartenenza solo esteriore, una fede solo intellettuale,
c’impediscono una totalizzante esperienza di discepolato.
“Che centri con noi?”.
Il rischio, diffuso e presente nella Chiesa del terzo millennio,
nel nostro Occidente che crede di credere, pasciuto e annoiato,
è quello di avere una fede che resta chiusa nel prezioso
recinto del sacro, una fede fatta di sacri formalismi e di
tradizioni, che però non riesce a incidere, a cambiare
la mentalità e il destino del mondo.
Una fede che non cambia la vita, i rapporti in economia,
in politica, nella giustizia, è fintamente cristiana.
Non basta credere; anche il demonio crede, anch’egli sa
bene chi è Gesù e, proprio per questo, sa che Egli è venuto
per distruggere le tenebre che abitano prepotenti il nostro mondo.
Accogliamo la Parola liberatrice che, oggi, il Maestro
rivolge alla sua comunità.
Chiediamogli che la nostra fede contagi la vita,
che illumini le scelte e il quotidiano.
La Parola di cui ci nutriamo, insieme al pane eucaristico,
ogni domenica, è una Parola autorevole, che ci spinge
al cambiamento, ci mette le ali e illumina i nostri passi.
Restiamo sereni, noi discepoli del Signore;
Egli ci libera da ogni tentazione,
strappa da noi la parte oscura e distruttiva che ci abita,
scioglie il dubbio, ci spinge alla fiducia a all’abbandono.
Colui che, solo, ha una parola definitiva sulla Storia ci rende
liberi da ogni laccio per poterlo riconoscere
come Maestro e Signore.

venerdì 27 gennaio 2012

Preghiera per la vita

Signore, sono cieco dalla nascita,
fà che io veda.
Non mi basta vedere le cose di questo mondo,
fà che io veda il significato della mia vita,
che io capisca a che cosa serve questo mondo
che porta il mio nome ecognome.
Aiutami a comprendere questo mistero che sono.
Grazie, Signre Gesù.
Grazie, Tu sei la nostra luce e la nostra gioia.
Tu sei i nostri occhi,
Tu sei la nostra vista.
Fà che guardiamo con i tuoi occhi.

giovedì 26 gennaio 2012

Vivere la S.Messa

Io vi ho scelti, cari figli, e Gesù vi da
le Sue grazie nella Santa Messa.
Perciò vivete coscientemente la Santa Messa.
Sull'Altare, nelle mani del sacerdote, accade
un miracolo proprio sotto i nostri occhi.
Nel calice viene versata una goccia d'acqua
che si mescola con il vino, e attraverso
la preghiera del sacerdote e la potenza
dello Spirito Santo essa diventa il
Preziosissimo Sangue di Cristo.
Durante la transustanziazione quella
goccia d'acqua, che non ha valore e
non costa niente, acquista un valore
divino.
Quella goccia d'acqua rappresenta te.
Significa l'uomo e la natura umana.
L'uomo che si trasforma e diventa nuovo.
L'uomo che si unisce con Dio.
L'Unico più grande dell'uomo.
Questo è il frutto dell'Eucaristia.

mercoledì 25 gennaio 2012

Messaggio della Madonna dato a Marja di Medjugorje

"Cari figli! Anche oggi vi invito con gioia ad
aprire i vostri cuori e ad ascoltare la mia chiamata.
Io desidero avvicinarvi di nuovo al mio cuore
Immacolato dove troverete rifugio e pace.
Apritevi alla preghiera affinché essa
diventi gioia per voi.
Attraverso la preghiera l’Altissimo vi darà
l’abbondanza di grazia e voi diventerete le
mie mani tese in questo mondo inquieto
che anela alla pace.
Figlioli, testimoniate la fede con le vostre vite e pregate
affinché di giorno in giorno la fede cresca nei vostri cuori.
Io sono con voi.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.”

martedì 24 gennaio 2012

L'amore di Dio.

Vi sto insegnando e vi sto mostrando
che Dio Padre vi ha amato,
ma che voi non Lo avete amato.
Dio ha sacrificato Suo Figlio per la
vostra salvezza, cari figli.
L'Altare è il luogo della mia morte, è la mia tomba,
è anche il luogo della mia resurrezione.
Non sono più io che vivo, ma è Gesù che vive in me.
Nell'Eucaristia non proclamiamo solo la morte e la
risurrezione di Gesù, ma anche la nostra morte e
la nostra risurrezione.

sabato 21 gennaio 2012

Buone notizie.

Con questa pagina di Vangelo si capisce
che non bisogna mai fermarsi, ma essere
sempre in movimento come lo era Gesù,
seguirlo per comprendere la sua Parola
di verità.
Giovanni e Andrea hanno seguito il Nazareno,
si sono fermati da Lui, sono andati a vedere;
tutto ora è cambiato.
Lo seguono nel suo spostarsi a piedi,
nel suo percorrere la Galilea, sua terra natale,
per inoltrarsi fino a Cafarnao, il centro
economico e militare della zona del lago.
Il Battista è stato arrestato; troppo scomoda la sua predicazione,
troppo libera, ha pestato i piedi a Erode, figlio di Erode il grande,
e ha ferito l’orgoglio di una spregiudicata, viscida e vendicativa
donna che ne ha chiesto la testa.
Inizia così il secondo vangelo, il più asciutto, il più antico dei quattro,
scritto dal giovane Giovanni Marco per i discepoli di Roma, la grande,
su suggerimento di Simone il pescatore.
L’inizio della predicazione in Galilea di Gesù è riassunto da
Marco in pochi versetti densi di sconcertante novità.
Il Battista è “consegnato”, riferisce il giovane Marco,
come a indicare una provvidenzialità anche negli eventi umani più balordi,
un intervento di Dio anche quando Dio sembra dimenticarsi dei suoi figli,
e Gesù ne prende il testimone, ne prolunga l’opera, dà senso
al sacrificio del cugino, vissuto per preparargli la strada.
Gesù inizia il suo ministero quando sarebbe stato prudente smetterlo,
inizia la sua missione in pieno clima di persecuzione verso i profeti,
così simile al nostro.
Gesù annuncia una buona notizia da parte di Dio:
“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;
convertitevi e credete al vangelo”.
Il tempo è compiuto, questo è il momento giusto,
non aspettare oltre; ora, oggi, adesso Dio è qui.
Quante volte ci manca il tempo per fare le cose che vorremmo,
per incontrare le persone che amiamo, per sederci a
godere delle gioie (pochine) che la vita ci dona!
Quante volte rimandiamo le cose da fare a momenti
più opportuni, a giorni migliori!
Anche nella fede (ahimè), quanta fatica facciamo a vivere il presente,
rimandando la conversione, arrendendoci alla tirannia del caos quotidiano!
Gesù scuote la testa; Dio è qui adesso, mentre stai leggendo queste parole.
Dio è qui adesso, anche se non lo senti, anche se non te ne accorgi,
anche se la stanchezza o il dolore hanno annebbiato la tua vista interiore.
Dio è qui, perché Egli si è fatto vicino, perché Natale ci ha spalancato
gli occhi all’evidenza di un Dio accessibile.
Non solo Dio è accessibile, ma è possibile costruire il suo Regno,
vivere nella logica del vangelo, creare degli spazi, dei luoghi,
che diventano succursali del Regno.
Non ti devi sforzare né lo devi meritare (è gratis),
devi solo accorgertene e collaborare.
Se è davvero così, se basta voltare la testa per incrociare lo
sguardo di Dio, che aspetti?
Cambia il tuo approccio con il Signore!
Forse non te ne accorgi subito, dice Marco, forse le vicende
della vita hanno ispessito la tua anima, ma, fidati, se volgi il tuo
sguardo finirai inesorabilmente per incrociare quello del Rabbì.
Credici, è la più bella notizia che tu possa ricevere oggi;
Dio ti si è avvicinato, perché ti ama.
Tutta la nostra fede è racchiusa in questo annuncio;
il progetto di bene di un Dio che si fa vicino e il nostro
impegno ad accoglierlo, la nostra fatica a non lasciarci
travolgere dalle cattive notizie e a lasciar germogliare
il bene e il bello che c’è in noi.
La chiamata degli apostoli ci rivela che quest’annuncio
ci coglie proprio là dove viviamo, che non abbiamo scuse di sorta,
che non possiamo nasconderci dietro i troppi impegni e le
troppe cose da fare, né rimandare a una settimana di
esercizi la nostra conversione; mentre lavorano Gesù
chiama Simone e Andrea, mentre riposano chiama Giacomo e Giovanni.
Gesù passa e ci chiama, tutti, ovunque.
Non ci sono condizioni per diventare suoi discepoli;
l’unica cosa che ci è chiesta è la conversione, l’atteggiamento
di chi si rende conto che la risposta vera è nel cuore di Dio,
di chi decide di mettersi davvero e sul serio in ascolto,
perché passa la scena di questo mondo troppo in fretta dice Paolo..
L’ammonimento di Paolo a vivere il presente con distacco
è quanto mai necessario per la conversione.
Intendiamoci; “distacco” non significa disinteressarsi del mondo,
ma vivere nel mondo con il giusto equilibrio.
Significa che il mio lavoro, la mia famiglia, il mutuo
da pagare sono importanti, certo, ma non sufficienti a
colmare il mio cuore né sufficienti a spegnere il
desiderio di assoluto che mi mozza il fiato.
Lasciamo le reti, tutte le reti che ci legano, i pensieri,
i giri di testa, i troppi impegni che c’impediscono
di lasciarci amare da Cristo.
Il suo messaggio continua attraverso la nostra piccola vita,
dentro il nostro percorso quotidiano.
Siamo chiamati a diventare pescatori di umanità,
a tirar fuori tutta l’umanità nascosta nelle pieghe della vita,
in questo mondo disumanizzato e disumanizzante.
Il Regno avanza, è presente, ci ammonisce Gesù, accòrgitene,
lasciati raggiungere, Dio ti ama.
E questo mi cambia la vita.
Buone notizie amici, buone notizie.
Almeno da Dio, arrivano sempre buone notizie, allora
lasciamo tutto il resto e seguiamolo, avremo meno
grattacapi e mali di testa.
Buona Domenica, amici, da Fausto.

giovedì 19 gennaio 2012

La Santa Messa

A voi tutti chiedo di mostrare il vostro amore per me,
partecipando alla Messa; il Signore vi ricompensarà
generosamente:
La Messa è più di una semplice luce nelle tenebre,
è molto più di una medicina per uno che è malato,
è il tuo Dio e il tuo Salvatore, è la tua grazia,
è un dono di salvezza.
Torna alla Messa.
Ritorna all'Altare.

Innamorarsi del Santissimo Sacramento.

Cari figli, vi invito ad innamorarvi del
Santissimo Sacramento dell'Altare.
Adoratelo, figlioli, nelle vostre parrocchie
e così sarete uniti con tutto il mondo.

La Madonna ci insegna l'infinito
valore della Santa Messa.
Ci insegna ad amare l'Eucaristia.
Desidera che ci innamoriamo di Gesù
nel Santissimo Sacramento dell'Altare.
Quando uno è innamorato, desidera stare
con il suo amato e cerca ogni
occasione per stare con lui.

sabato 14 gennaio 2012

Andiamo a vedere.

Sono finite amici, tutte le feste,
ora iniziamo il tempo ordinario.
Il tempo che ci propone di seguire Gesù il Messia,
di fissarne i movimenti, ascoltare il suo insegnamento
come hanno fatto i suoi discepoli.
Giovanni e Andrea, discepoli del Battista,
fissano lo sguardo su Gesù che passa.
Tornati alle nostre attività per un’altra strada interiore,
dopo aver contemplato il vero volto di Dio come i Magi,
abbiamo fatto memoria del battesimo per sentirci beneamati
e così cominciare con gioia il nostro nuovo anno di lavoro.
Fissiamo lo sguardo, cioè affiniamo il nostro sguardo interiore,
diamo spazio al “dentro” come l’adolescente Maria,
perché il Signore Gesù passa.
Passa nelle nostre vite, mescolato alle tante persone,
ai tanti avvenimenti, alle tante preoccupazioni.
Passa il Signore e corriamo il rischio di perderlo, travolti
dalle troppe cose che ci ingombrano il cuore e la vita.
Ecco l’Agnello; dice il rude Giovanni, spiazzato anche lui
nel vedere l’Atteso mischiato all’immensa folla dei
penitenti in coda per ricevere il battesimo.
È sbalordito, il più grande dei profeti, spiazzato
per l’inatteso volto del Messia.
Lo vede e lo indica ai suoi due discepoli, e profetizza:
“Ecco l’Agnello”.
L’agnello; animale mansueto, mite, che non si fa notare,
che si lascia uccidere senza neppure belare.
L’agnello; profezia, intuizione, stupore nel vedere un Messia nascosto
e determinato, un Messia che ha già scelto di stare con gli ultimi,
di portare la fatica e il peccato, di condividere la fragilità e il tormento.
I discepoli, sentendolo parlare così, seguono il Nazareno.
È sempre qualcuno che ci indica il Signore, sempre qualcuno
che ce ne ha parlato, l’ha indicato.
Poi sta a noi seguire, scegliere, divenire discepoli.
Ma la fede si comunica così; da bocca a orecchio, da vita a vita.
Se siete discepoli, amici, qualcuno vi ha parlato del Rabbì,
qualcuno che già era discepolo.
Se qualcuno conoscerà il Rabbì, sarà attraverso la vostra
esperienza, la vostra luce interiore.
Giovanni Battista non è un guru che si specchia nell’adorazione
dei suoi seguaci; si stacca da loro con forza, vuole che essi,
ora, crescano nella conoscenza autentica di Dio.
Vero modello del Pastore, il Battista rifiuta di essere al centro
dell’attenzione, accetta volentieri di sparire per nascondersi
dietro alla Parola cui egli ha prestato la voce.
Una volta raggiunto Gesù, questi si volta e, sorprendentemente,
chiede ai due discepoli di Giovanni: “Chi cercate?”.
Che cosa cerchiamo quando ci mettiamo alla ricerca di Gesù?
Chi cerchiamo veramente?
È una domanda all’apparenza dura e che pure rivela il profondo
rispetto che Gesù ha nei confronti della nostra umanità.
Può succedere, e lo vediamo, che la fede non sia ricerca ma rifugio;
che Dio non diventi Signore ma padrone; che la sua azione non sia
grazia ma supplenza alle mie difficoltà; esiste, cioè, un modo di
avvicinarsi alla fede che non ci fa crescere come uomini,
che cu fa fuggire i problemi.
Il Signore pone attenzione al senso della ricerca dei due discepoli,
li invita a non lasciarsi andare al facile entusiasmo,
ma a riflettere sulla loro successione di cose.
Anche per noi la ricerca della fede può essere un momento passeggero,
euforico, legato a un momento particolarmente carico di emotività.
Il Signore ci scrolla; vuole accanto a sé degli uomini
consapevoli delle loro scelte.
La risposta dei discepoli rivela tutta l’insicurezza della loro scelta:
“Maestro, dove abiti?”.
Non cogliamo una richiesta di certezze in questa domanda?
Quasi a chiedere: “Prima di seguirti, facci vedere dove ci conduci?”.
Quanto bisogno di certezze abbiamo prima di poterci fidare!
Quanti “se” e “ma” mettiamo prima di dire il nostro
“sì” definitivo al Signore!
È Lui che, allora come oggi, ci risponde: “Venite a vedere”.
Non chiedere, fidati, muoviti, fa diventare
questa ricerca un’esperienza, investi.
La fede non è “fare”, “sapere”, ma “conoscere”.
Noi per primi siamo chiamati ad andare a vedere, noi per primi
siamo chiamati a fare l’esperienza della conoscenza.
Ed essi andarono.
Videro e restarono con Lui.
Dopo essersi fidati, restano, accettano, si lasciano coinvolgere.
L’annotazione di Giovanni è simpaticissima:
“Erano circa le quattro del pomeriggio”.
Quel giorno, quell’istante, è così importante per lui
che segna l’inizio di una vita nuova.
Sono passati forse sessant’anni da quell’evento e il discepolo
ricorda l’ora precisa, tutto è cambiato, ormai, per Giovanni e Andrea;
quel giorno è stato l’inizio di una nuova Creazione.
Per chi incontra il Signore i giorni non sono più uguali,
ma diventano gravidi di una luce nuova.
Ecco ciò che ci attende nell’ordinarietà del nostro tempo;
l’incontro con il Signore, l’esperienza della conoscenza.
Se sapremo ogni giorno spalancare gli occhi e riconoscere
l’Agnello che passa, potremo cambiare la nostra
vita con autenticità e maggiore luce interiore.
Fissiamo lo sguardo su Gesù Cristo e rimarremo
abbagliati dal suo insegnamento.
Santa Domenica ciao Fausto.

sabato 7 gennaio 2012

Noi prediletti dal Padre.

Peccato, sta per finire, anzi è già finito il tempo
liturgico più corto dell’anno, il Natale,
quindici giorni per spalancare il cuore
all’inaudito di Dio, sono veramente pochi.
Salutati i Magi, cercatori di Dio,
che, seguendo la verifica delle proprie teorie
scientifiche, finiscono per incontrare Dio;
Magi che sono immagine dell’umanità che,
dopo Israele, riconosce la venuta del Messia
e che diventano l’icona di come la ricerca
della verità ci porti inevitabilmente tra le braccia
del Signore; e ritroviamo Gesù, adulto, in fila
per farsi battezzare da suo cugino Giovanni.
Peccato perdersi tutto il resto.
Perdersi i Magi che “per un’altra strada” tornano al proprio paese di origine
(l’incontro con Dio cambia definitivamente i nostri percorsi),
peccato perdersi il momento tragico della fuga in Egitto di Giuseppe e Maria,
inseguiti dal delirante re Erode.
Peccato non farla diventare una solenne festa liturgica quella precipitosa
fuga verso l’Egitto, la terra della schiavitù, per ricordare a tutti noi il valore
dell’accoglienza, Giuseppe e famiglia erano clandestini!, e per ricordarci
che riconoscere la presenza di Dio nel cuore non significa
avere la strada spianata ed esente da guai.
Peccato non dedicare almeno una domenica all’assordante silenzio di Nazaret,
quei misteriosi trent’anni di nulla (eccezion fatta per la piccola parentesi
della “cresima” di Gesù dodicenne a Gerusalemme)
che santificano le nostre piccole vite.
Seguiamo, allora, le orme dello sconosciuto falegname di Nazaret che,
solidale con noi peccatori, si mette in fila per ricevere il battesimo
di conversione, primo gesto di una condivisione che andrà ben più
lontano nel cuore di Dio, e meditiamo sul nostro battesimo.
“Tu sei il mio figlio beneamato, in te mi sono compiaciuto”,
così Marco scrive, e rivela la missione e la vera identità di Gesù.
Il salto logico, dall’Epifania al Battesimo, è solo teorico;
oggi Cristo nasce in noi attraverso il segno del battesimo,
segno che va riconosciuto, come hanno fatto i Magi.
Gesù è anzitutto “beneamato” e in lui Dio si “compiace”.
In Cristo; dice san Paolo, anche noi siamo figli, anche noi divenuti
coeredi, anch’io sono beneamato e in me il Padre si compiace.
Iniziamo l’anno civile e finiamo il tempo natalizio con questa
sconcertante verità; Dio mi ama, e mi ama bene.
Non è forse l’ultimo tassello della meraviglia che ha
accompagnato le settimane di Natale?
Pensavamo a un Dio sulle nuvole, ed eccolo a Betlemme;
ci aspettavamo un Dio astratto e concettuale, ed eccolo uomo;
speravamo in un Dio a cui chiedere, ed ecco un bambino che chiede;
ci aspettavamo un Dio accolto trionfalmente dall’autorità costituita
e dai sapienti, e invece chi lo riconosce sono gli abitanti della
periferia della vita; ci aspettavamo un Dio evidente e palese,
e invece viene un bambino timido che chiede l’ansia della
ricerca per trovarlo, come solo i Magi sanno fare.
Tutti noi siamo educati a meritarci di essere amati,
a compiere delle cose che ci rendono meritevoli dell’affetto altrui;
sin da piccoli siamo educati a essere buoni alunni, buoni figli,
buoni fidanzati, buoni sposi, buoni genitori; il mondo premia
le persone che riescono, che sono capaci e, dentro di noi,
s’insinua l’idea che Dio mi ama, certo, ma a determinate condizioni.
Tutta la nostra vita è elemosina di un apprezzamento, di un riconoscimento;
anzi, se una persona mi contraddice, mi accusa, reagisco, ma in fondo
penso che abbia ragione, e mi dico: ”Devi arrenderti all’evidenza, tu non vali”.
La reazione spotanea—lontani da Dio—è allora di difesa e aggressività
o di eccessiva superficialità; mi omologo, do il massimo,
passo la mia vita a inseguire l’idea di me che gli altri mi restituiscono.
Invece Dio mi dice che sono amato bene, dall’inizio, prima di agire;
Dio non mi ama perché sono buono ma, amandomi, mi rende buono.
Dio si compiace di me perché vede il capolavoro che sono,
l’opera d’arte che posso diventare, la dignità di cui egli mi ha rivestito.
Allora, ma solo allora, potrò guardare al percorso da fare per diventare
opera d’arte, alle fatiche che mi frenano, alle fragilità che devo superare.
Il cristianesimo è tutto qui, Dio mi ama per ciò che sono,
Dio mi svela in profondità ciò che sono; beneamato.
È difficile amare “bene”, l’amore è grandioso e ambiguo,
può costruire e distruggere, non si tratta di adorare qualcuno,
ma di amarlo “bene”, renderlo autonomo, adulto, vero, consapevole.
Così Dio fa con me.
Nel giorno del nostro battesimo, giorno così lontano dalla nostra sensibilità,
è stato messo nel nostro cuore il seme della presenza di Dio.
Non è stato un rito scaramantico, quindi, ma un seme da coltivare,
da accudire che, se trascurato, scompare.
Dentro; è lì che trovo Dio e tutto ciò che nella vita mi porto dentro
(arte, musica, silenzio natura) mi avvicina a Dio, tutto ciò che è fuori
(caos, apparenza, superficialità) me ne allontana.
Con il battesimo sono entrato a far parte della Chiesa,
quella del sogno di Dio, non lo sgorbio che ho in testa,
la Chiesa dei santi e dei martiri, la Chiesa che cammina,
canta e spera, non quella grottesca dei miei giudizi superficiali.
Con il battesimo sono salvo, redento, mi è tolto il peccato originale,
la fragilità nell’amore: come Cristo sono reso
capace di dare la vita per i fratelli.
Passiamo la vita a riuscire, a diventare qualcuno.
Ognuno ha un suo sogno segreto; essere un qualcuno che conta;
ma più che figli di Dio beneamati non potremo mai essere, e già lo siamo!
Questa festa, oggi, è la festa di ciò che è nascosto in noi e che va riscoperto;
come diceva un padre della Chiesa; cristiano, diventa ciò che sei!
Battezzato scopri ciò che hai dentro.
Amici, terminiamo le feste Natalizie in modo speciale,
rinnoviamo il nostro battesimo, Santa Domenica a tutti da Fausto.

giovedì 5 gennaio 2012

CERCATORI DI DIO

Eccoci di nuovo a casa, riprendiamo il nostro cammino,
le feste sono finite, anzi no, ne rimane ancora una,
quella del desiderio e dell’incontro.
Il desiderio muove il cuore degli uomini.
I desideri ci fanno credere di poter soddisfare la
sete di assoluto che ci brucia il cuore.
Alcuni sono desideri semplici, alla portate di molti,
altri sono desideri impossibili,
che ci fanno cadere nella depressione.
Alla fine di ogni desiderio esaudito, però,
sperimentiamo che il nostro cuore è destinato a ben altro,
il nostro cuore è assetato di infinito.
Oggi è la festa del desiderio che non si arrende, la festa che vede protagonisti
alcuni cercatori benestanti che passano il proprio tempo
a scoprire nuove teorie e a verificarle.
Oggi è la festa dell’essenza dell’essere umano che, in fondo,
spogliato da ogni condizionamento, si riscopre, semplicemente, un cercatore.
La Parola insiste, esagera, scardina, scuote; non siamo giudicati dai risultati,
dalla devozione, dalla coerenza, ma dal desiderio di andare oltre.
E, per noi discepoli di lungo corso, che già abbiamo trovato il Signore,
questa festa è un invito a superare le nostre certezze bonsai,
per assumere lo sguardo di Dio.
Natale sconcerta, illumina e interroga.
Nonostante lo scempio che ne abbiamo fatto,
riducendolo a glicemica fiera dei buoni sentimenti,
il mistero della piccolezza infinita di Dio,
che si restringe nel grembo acerbo di un’adolescente,
ci riempie di quieta meraviglia e fa scaturire dai
cuori feriti calde lacrime di fiera consolazione.
Dio è diverso, amici.
Una vergine partorisce, un giovanotto semplice e generoso
rinuncia ai suoi sogni per accudire a una sposa e a un figlio non suoi,
Dio nasce viandante, accolto in una grotta, solo dei personaggi ambigui,
i pastori, si accorgono della sua nascita, due anziani devoti e scoraggiati,
Simeone e Anna, riconoscono nel Tempio la luce delle nazioni e, oggi,
sono gli atei i primi a riconoscere in quel bambino l’Assoluto di Dio.
I Magi, personaggi curiosi e insaziabili, si muovono a cercare
il re alla corte di Erode, l’evento astrale che hanno scoperto
indica la Palestina come luogo della felice nascita.
Ma accade l’imprevisto, i figli di Erode sono già grandi,
i figli della sua prima moglie li ha fatti sgozzare lui, nessun allegro
vagito risuona tra le mura dello spietato e abile sovrano.
I Magi riprendono il cammino, sbalorditi.
Lo stravolgimento del Natale continua;
Gesù è riconosciuto da pagani che con tenacia cercano
la verità e viene ignorato dal popolo della Promessa,
è il rischio che anche le nostre comunità cristiane corrono,
quello di vedere dei non credenti incontrare Dio, e noi di restare a guardare.
I Magi sono l’immagine dell’uomo che cerca, indaga, si muove e segue la stella.
La scienza e la fede non si oppongono, entrambe cercando
un senso alla loro ricerca intellettuale, i Magi si trovano di fronte
all’Assoluto di Dio, tanto più sconcertante quanto inatteso.
Non fanno come Erode e i sacerdoti del Tempio che, pur sapendo,
restano ai loro posti.
Per riconoscere Gesù occorre muoversi, indagare, seguire,
lasciarsi provocare, cercare.
Dio si lascia trovare, certo.
Ma da chi lo desidera, non da chi lo ignora.
La fede non è solo sapere (i dottori della legge conoscono
la profezia di Michea), ma muoversi.
Gerusalemme e Betlemme distano pochi chilometri dai
palazzi del potere religioso e politico, nessuno si prende la
briga di andare a verificare la profezia e quei pochi
chilometri diventano una distanza abissale.
I Magi sono l’immagine di quegli uomini che, spinti dal
desiderio e dalla sete della verità, hanno finito con l’incontrare un
segno della presenza di Dio; una testimonianza, un avvenimento,
una parola di un cristiano e, seguendolo, hanno scoperto il volto di Dio.
Se, ahinoi, restiamo seduti sulla poltrona delle nostre incrollabili supposizioni,
finiremo per lasciare la fede dietro di noi,
per conoscere il luogo dove Gesù è nato,
come i sacerdoti del Tempio, ma non piegheremo mai le ginocchia,
esterrefatti, davanti al prodigio di un bambino che è Dio.
I Magi questo salto lo fanno, questo capitombolo della fede lo compiono.
Cercatori, ora sono loro a essere trovati.
Vanno oltre, si fidano, e giungono davanti a una giovane e stupita
coppia che accudisce il proprio primogenito.
E offrono oro, incenso e mirra.
Oro,dono destinato ai re, incenso, resina odorosa destinata a Dio e…mirra!
Regalo di pessimo gusto, amici, la mirra è l’unguento usato
per imbalsamare i cadaveri, regalo poco opportuno, non trovate?
Nel bambino i Magi riconoscono il Re, il Dio, il Crocifisso.
Non suscita tenerezza questo bambino, ma conversione e contraddizione.
Così diverso dall’idea di Dio che ci siamo fatti, come accade a Erode,
questo bambino suscita violenza, un Dio così è da eliminare.
Coraggio amici, nel proseguo del nuovo anno, muoviamoci,
andiamo a vedere, per non correre il rischio di rimanere delusi
per non aver potuto incontrare nessuno, lasciamo
le nostre poltrone ed usciamo per farci incontrare.
Buona festa dell’Epifania e buon Anno a tutti da Fausto.