VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

Il nostro intento e' quello di condividere l'amore del Signore e la maternità di Maria che hanno per tutti noi anche attraverso l'organizzazione di pellegrinaggi al santuario dell'Amore Misericordioso e da alcuni anni anche a Medjugorje.



Per informazioni e contatti scrivere a:

FAUSTOBERTILLA@GMAIL.COM



CELL. 349/1009626

sabato 4 ottobre 2014

Andiamo a raccogliere i buoni frutti

Il dolore di Dio.
 (Matteo 21,33-43)
Eccoci, amici, pronti a partire per Medjugorje,
perché proprio in quella pietraia?
Perché lì, attraverso Maria il Signore ha piantato una
vigna, la vigna dell’amore, la vigna della pace, la vigna
della gioia, la vigna della salvezza.
Sta a noi andare a raccogliere i frutti buoni della vigna;
attenzione però, non facciamo come i fittavoli cattivi,
che dopo averla avuta in affitto vogliono impadronirsi
dei frutti.
Il dolore di Dio, si sente nel sofferto discorso di Isaia
ripreso da Gesù!
Questo sconcertante racconto è una chiave di lettura della
Storia e della vita.
Anche a me succede di entrare in crisi, specialmente quando
faccio uno scontro frontale con la vita; accade normalmente
quando incontro persone a cui voglio bene o anche amici
incontrati nei pellegrinaggi; mi parlano dei loro problemi,
descrivendo sofferenze degne di un romanzo; persone
rimaste sole dall’infanzia, amori falliti, bambini desiderati
e morti in tenera età, malattie gravi, inganni e
malvagità capaci di rovinare una vita.
In quel momento avverto tutta l’impotenza, la fragilità delle
parole usurate dal tempo e dal pietismo, e sento forte la
domanda del senso; perché, Signore?
Dove trovare una risposta autentica, non sbrigativa?
Davanti al grande dolore del mondo, al non senso dei bambini
che saltano sulle mine antiuomo, agli inquietanti venti di
guerra, ai rumori dei muscoli ostentati e della violenza che
cresce, davanti al grande mistero che è (e resta) in ciascuno
di noi, sento forte l’esigenza di trovare un senso, di avere
delle certezze, una risposta, anche non esplicita.
Certo; qualcuno evita di farsi domande, fugge, semplicemente,
cercando di non rispondere mai.
O si rifugia in concetti e immagini solo all’apparenza
consolanti ma che, in fondo, rivelano tutto il limite del
nostro ragionamento, anche religioso.
Il dolore di Dio, questo mi sconcerta, mi zittisce,
mi riempie e mi inquieta.
Gesù parla; sussurra quasi, lo sguardo abbassato, la voce
rotta dall’emozione; che fare? Che farò?
La storia dell’umanità, ci svela Gesù, è una storia d’amore
in crisi, di un innamorato passionale-Dio-e di una sposa
tiepida e opportunista; l’umanità.
Leggete bene la parabola, per favore; quanta dignità in
questo padrone che prepara con cura e amore la vigna
da dare in affitto; leggete dell’arroganza idiota di questi
fittavoli che pensano-uccidendo il figlio del padrone—di
diventare eredi.
Immagine dell’umanità che non riconosce il proprio
Creatore, il proprio limite, questa tragica parabola è
la sintesi della storia fra Dio e Israele, fra Dio e l’umanità.
L’uomo non riconosce il suo Creatore, si sostituisce a Lui;
ecco il peccato fondamentale, la tragica fragilità dell’uomo;
credere di essere autosufficiente, senza dover rendere
conto, non riconoscere il proprio limite.
Così accade ancora oggi, all’umanità che invece di
orgogliosamente realizzarsi nel dare frutti, pensa a come
fregare il proprietario, che nega l’evidenza, che si crede
onnipotente. Che fare?
Gesù, ora, stenta a parlare, pensa alle sue parole, ai suoi
gesti, alla tanta tenerezza, alla profonda e virile umanità
mostrata negli anni dell’annuncio.
Il problema principale, amici, è che all’uomo un Dio
così proprio non importa, non lo vuole.
Preferiamo un Dio scostante e irritato, forse, onnipotente
e freddo, da placare o convincere. Che fare?
Questo Dio sconsiderato che rischia la vita del figlio,
illudendosi di suscitare rispetto nell’uomo, se non giustizia.
Invece no, anche questo gesto è stravolto, incompreso.
Che fare?
Gesù non sa più cosa dire, ora, aspetta una risposta dai
fittavoli che—ingenuamente—nella durezza del loro
cuore non capiscono che proprio di loro sta parlando.
E inveiscono; morte, punizione, vendetta, maniere forti!
Già, replica il Rabbì, già…Così non sarà, così non avverrà.
Solo l’ultima parte del consiglio si avvererà; ad altri sarà
data la vigna, cioè a noi.
Il Rabbì, invece, non si vendicherà, ma si lascerà
spazzare via piuttosto che usare violenza.
A noi ora, amici.
Questa è la Storia, questa è-oggi come allora-la
morale della favola.
L’uomo si dimentica di essere vignaiolo, di guardare
altrove, si scorda di vivere nella gratitudine il dono
della vita, di scoprire il proprio destino e la propria
chiamata ed è accecato semplicemente dalla
propria violenza e dalla propria arroganza.
A noi—non più fittavoli ma coeredi—il compito di
vivere nella gioia di coltivare la vigna di Dio,
sopportando con pazienza evangelica la violenza
nel nostro e nell’altrui cuore, opponendovi, come
esorta San Paolo: “Tutto quello che è vero, nobile,
giusto, puro e amabile”.
Ecco amici perché dobbiamo andare a Medjugorje,
per raccogliere i frutti e non essere come i cattivi
vignaioli, ma dei buoni fratelli in Cristo Gesù
e condividere con i fratelli che incontriamo, tutto
quanto di bello e di buono abbiamo raccolto.
Buon raccolto e un proficuo
pellegrinaggio a tutti da Fausto. 




Nessun commento:

Posta un commento