VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

Il nostro intento e' quello di condividere l'amore del Signore e la maternità di Maria che hanno per tutti noi anche attraverso l'organizzazione di pellegrinaggi al santuario dell'Amore Misericordioso e da alcuni anni anche a Medjugorje.



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sabato 1 ottobre 2011

Il dolore di Dio.

Eccoci, amici, ritornati da Medjugorje,
perché proprio in quella pietraia?
Perché la, attraverso Maria il Signore
ha piantato una vigna, la vigna dell’amore,
la vigna della pace, la vigna della gioia,
la vigna della salvezza.
Sta a noi andare a raccogliere i
frutti buoni della vigna; attenzione però,
non facciamo come i fittavoli cattivi,
che dopo averla avuta in affitto
vollero impadronirsi dei frutti.
Il dolore di Dio, si sente nel sofferto
discorso di Isaia ripreso da Gesù!
Questo sconcertante racconto è una chiave
di lettura della Storia e della vita.
Anche a me succede di entrare in crisi,
specialmente quando faccio uno scontro
frontale con la vita; accade normalmente
quando incontro persone a cui voglio bene
o anche amici incontrati nei pellegrinaggi;
mi parlano dei loro problemi, descrivendo
sofferenze degne di un romanzo; persone
rimaste sole dall’infanzia, amori falliti,
bambini desiderati e morti in tenera età,
malattie gravi, inganni e malvagità
capaci di rovinare una vita.
In quel momento avverto tutta l’impotenza,
la fragilità delle parole
usurate dal tempo e dal pietismo,
e sento forte la domanda del senso;
perché, Signore?
Dove trovare una risposta autentica, non sbrigativa?
Davanti al grande dolore del mondo,
al non senso dei bambini che
saltano sulle mine antiuomo,
agli inquietanti venti di guerra, ai rumori
dei muscoli ostentati e della violenza che cresce,
davanti al grande mistero che è
(e resta) in ciascuno di noi,
sento forte l’esigenza di trovare un senso, di avere
delle certezze, una risposta, anche non esplicita.
Certo; qualcuno evita di farsi domande, fugge,
semplicemente, cercando di non rispondere mai.
O si rifugia in concetti e immagini
solo all’apparenza consolanti ma che,
in fondo, rivelano tutto il limite del
nostro ragionamento, anche religioso.
Il dolore di Dio, questo mi sconcerta,
mi zittisce, mi riempie e mi inquieta.
Gesù parla; sussurra quasi, lo sguardo abbassato,
la voce rotta dall’emozione; che fare? Che farò?
La storia dell’umanità, ci svela Gesù,
è una storia d’amore in crisi,
di un innamorato passionale—Dio—e
di una sposa tiepida e opportunista; l’umanità.
Leggete bene la parabola, per favore;
quanta dignità in questo padrone che prepara
con cura e amore la vigna da dare in affitto;
leggete dell’arroganza idiota di questi fittavoli che
pensano—uccidendo il figlio del padrone—di diventare eredi.
Immagine dell’umanità che non riconosce il proprio Creatore,
il proprio limite, questa tragica parabola è la
sintesi della storia fra Dio e Israele, fra Dio e l’umanità.
L’uomo non riconosce il suo Creatore,
si sostituisce a Lui; ecco il peccato fondamentale,
la tragica fragilità dell’uomo;
credere di essere autosufficiente,
senza dover rendere conto, misconoscere il proprio limite.
Così accade ancora oggi, all’umanità che invece
di orgogliosamente realizzarsi nel dare frutti,
pensa a come fregare il proprietario,
che nega l’evidenza, che si crede onnipotente.
Che fare?
Gesù, ora, stenta a parlare, pensa alle sue parole,
ai suoi gesti, alla tanta tenerezza, alla profonda
e virile umanità mostrata negli anni dell’annuncio.
Il problema principale, amici, è che all’uomo
un Dio così proprio non importa, non lo vuole.
Preferiamo un Dio scostante e irritato, forse,
onnipotente e freddo, da placare o convincere.
Che fare?
Questo Dio sconsiderato che rischia la vita del figlio,
illudendosi di suscitare rispetto
nell’uomo, se non giustizia.
Invece no, anche questo gesto è stravolto, incompreso.
Che fare?
Gesù non sa più cosa dire, ora,
aspetta una risposta dai fittavoli
che—ingenuamente—nella
durezza del loro cuore non capiscono
che proprio di loro sta parlando.
E inveiscono; morte, punizione,
vendetta, maniere forti!
Già, replica il Rabbì, già…
Così non sarà, così non avverrà.
Solo l’ultima parte del consiglio si avvererà;
ad altri sarà data la vigna, cioè a noi.
Il Rabbì, invece, non si vendicherà, ma si lascerà
spazzare via piuttosto che usare violenza.
A noi ora, amici.
Questa è la Storia, questa è—oggi come
allora—la morale della favola.
L’uomo si dimentica di essere vignaiolo,
di guardare altrove, si scorda di vivere
nella gratitudine il dono della vita,
di scoprire il proprio destino e la propria
chiamata ed è accecato dalla propria violenza
e dalla propria arroganza, semplicemente.
A noi—non più fittavoli ma coeredi—il compito
di vivere nella gioia di coltivare la vigna di Dio,
sopportando con pazienza evangelica la
violenza nel nostro e nell’altrui cuore,
opponendovi, come esorta San Paolo:
“Tutto quello che è vero, nobile,
giusto, puro e amabile”.
Ecco amici perché siamo andati a Medjugorje,
per raccogliere i frutti e non
essere come i cattivi vignaioli,
ma dei buoni fratelli in Cristo Gesù e
condividere con i fratelli che incontriamo,
tutto quanto di bello e di buono abbiamo raccolto.
Buon raccolto e una Santa Domenica a tutti da Fausto.



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