VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

Il nostro intento e' quello di condividere l'amore del Signore e la maternità di Maria che hanno per tutti noi anche attraverso l'organizzazione di pellegrinaggi al santuario dell'Amore Misericordioso e da alcuni anni anche a Medjugorje.



Per informazioni e contatti scrivere a:

FAUSTOBERTILLA@GMAIL.COM



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mercoledì 31 agosto 2011

Il viaggio a Medjugorje della speranza.

Carissimi tutti, che seguite il mio blog vi
saluto e vi ringrazio delle preghiere per
quel nostro fratello, (che chiamerò Alberto)
pseudonimo per la praivasy, di cui vi avevo
chiesto nella riflessione di Venerdì 26 Agosto scorso,
appena tornati da Madjugorje con il pellegrinaggio.
Voglio condividere anche con voi la grazia che
abbiamo toccato con mano, di cui ha beneficiato
Alberto, ma anche i suoi cari, compreso il
sottoscritto.
Alberto, purtroppo da anni viveva nel vortice
della droga, sappiamo tutti dove porta una vita
umana questa dipendenza, enormi problemi per lui
e per la sua famiglia, non sapevano più cosa
fare per aiutarlo.
Ma Dio che è un Padre buono non si dimentica
dei suoi figli e gli cerca insistentemente, non
si stanca, neanche quando gli giriamo le spalle,
è sempre li che aspetta un tuo cenno per aiutarti.
Questa olta ha voluto scomodare la sua Madre
Maria Santissima.
Siamo partiti Venerdì sera alle 23,00 per il
lungo viaggio che ci ha portati a Medjugorje,
meta, la Comunità Cenacolo di Suo Elvira nella
speranza di poterlo lasciare li per essere aiutato;
la Comunità Cenacolo si adopera per strappare i
ragazzi dalle dipendenze.
Lì a Medjugorje ho capito il disegno di Dio
attraverso Maria; perchè?
Perchè Alberto non lo conoscevo, è stata la sorella
in preda alla disperazione che mi ha chiesto aiuto,
e li dove ci siamo incontrati io non dovevo esserci,
mi ha chiesto aiuto e subito mi è venuta in mente la
Comunità Cenacolo di Medjugorje perchè quando andiamo
in pellegrinaggio in quella terra benedetta andiamo
sempre ad ascoltare le testimonianze dei ragazzi
che sono usciti dal tunnel della droga attraverso l'aiuto
della Comunità.
Ho chiesto di parlare con Alberto, un incontro
cordiale, e mi ha ribadito la volontà di farsi
aiutare per uscire dal vizio, gli ho chiesto di avere
fiducia e di seguire i miei consigli senza prendermi
in giro, quella sera me lo ha promesso.
Ho cominciato ad attivarmi con la nostra guida del
posto, mi da una data e l'orario dell'incontro
Sabato pomeriggio alle 14,00, troviamo un po di caos
per i tanti pellegrini, poi finalmente ci incontriamo
con due responsabili, i quali ci dicono che la prassi
per entrare doveva partire dalla casa madre a Cuneo e,
dopo vari incontri decidono cosa fare, le gambe tremavano
un po, c'era il presupposto di avere fatto il viaggio
per nulla, ma proprio in quel momento ho capito che
Alberto era stato preso in braccio dalla Mamma Celeste.
Dopo un po ritornano e ci dicono che per questa volta
cercano di fare uno strappo alla regola, però dovevamo
accompagnarlo in comunità il Lunedì mattina fino alla
sera per almeno tre giorni, un po di caos perchè avevamo
la stanza per la notte solo fino al Lunedì, febbrili
consultazioni con le nostre famiglie, le quali ci
dicono di tentare tutto il possibile, la ricerca per le
camere che fortunatamente con l'aiuto della proprietaria
della Pensione che mi servo abbiamo trovato, tutto bene
però solo fino al Martedì mattina poi arrivavani i gruppi.
Finite queste febbrili consultazioni, ritornano i ragazzi
e ci dicono che hanno pensato di anticipare i tempi e
portiamo Alberto già la Domenica mattina, il mattino un'altra
sorpresa mentre ci fanno visitare la Comunità ci dicono che
la sera precedente si sono trovati per pregare per Alberto,
e consultatisi con un ragazzo che è 8 anni che sta in comunità
e che ha avuto la stessa storia di Alberto, accettando di
fargli da angelo custode per aiutarlo nei momenti critici.
Il mattino successivo ad accoglierlo c'era lui, (lo chiamerò
Gigi, dicendoci, tranquilli ce la farà, un po di sollievo.
Nel pomeriggio, ritorniamo a prendere qualche oggetto ricordo
per benedire, i parenti mi chiedono di conoscere la guida per
ringraziarla, nel frattempo passa il responsabile, ci saluta
e dopo un po ritorna con l'altro responsabile e ci chiedono
di poter parlare, sui visi dei famigliari è comparsa un po
di delusione, pensando che non ci sia niente da fere, dopo
qualche minuto arriva anche Alberto con Gigi, il responsabile
lo invita a parlare, un po di ansia chiudeva la gola di tutti,
l'unico ad essere tranquillo era Alberto che con tanta calma
ha ringraziato tutti dicendo che aveva deciso di rimanere in
Comunità, ecco il Miracolo si era avverato, il Signore
attraverso Maria ha donato una grande grazia ad Alberto,
lo ha issato sulla barca dell'amore.
Siamo ritornati stanchi ma contenti, contenti per Alberto,
contenti per aver assaporato la presenza discreta di Dio,
e la presenza Materna di Maria.
Ora vi chiedo di pregare per i suoi momenti di criosi, che
come prassi normale verranno ad offuscarlo, ma con le
preghiere abbiamo visto che tutto si risolve, perciò
preghiera, fiducia, abbandono nel Signore,
grazie a tutti voi per le vostre preghiere da Fausto

venerdì 26 agosto 2011

L'altra faccia dell'Amore

Siamo appena tornati ieri sera dal
pellegrinaggio a Medjugorje, tutti bello,
giorni intensi con incontri inaspettati con
alcuni veggenti, il rientro in euforia dopo aver
scoperto di avere nuovi amici, tutto sembra bello
e felice, ma purtroppo a casa ci scontriamo con la
realtà che ci fa soffrire, era inevitabile,
sarebbe stato troppo bello non fosse così.
In questa Domenica però, abbiamo proprio
il Vangelo che ci mette davanti alla cruda realtà.
No, Pietro non si aspettava una
tale reazione da parte di Gesù.
E forse neppure noi.
Pietro ha appena riconosciuto nel Rabbì
di Nazareth lo sguardo stesso di Dio e
Gesù gli ha appena svelato che è pietra,
che ha un compito importante nella comunità;
finale felice, quindi. O quasi.
Sarebbe stato così bello tagliare qui la scena,
con questa reciproca cortesia, con questo reciproco dono;
poiché Pietro è presente come modello del discepolo,
tutti noi, credo, avremmo chiuso il Vangelo con un sorriso.
Ma c’è una seconda parte del Vangelo di domenica scorsa;
quella meno poetica e piuttosto sconcertante di oggi.
Gesù parla apertamente ai suoi discepoli del rischio
che sta correndo e del fatto che la sua missione potrebbe
portarlo al dono totale, alla consumazione, alla morte.
Momento di tensione tra i Dodici, e Pietro interviene
(che diamine, non è appena stato nominato papa?),
bene, prende da parte Gesù; meglio non fare questo
discorso, scoraggia il morale delle truppe,
Dio Ti preservi dalla sofferenza, Rabbì.
Catastrofe! Pietro eri partito così bene!
Perché vuoi insegnare a Dio come
deve salvare il mondo?
La reazione di Gesù è durissima;
tu ragioni come il mondo, non sei ancora
discepolo, il tuo parlare è demoniaco.
Anzi, per la precisione, l’ammonimento di
Gesù a Pietro è “passa dietro di me”,
cioè segui i miei passi, segui la mia logica.
Pietro proprio ci assomiglia, e tanto.
Dio è amore, è grande, è splendido,
la mia vita è faticosa, la cosa che più temo
è la sofferenza, quindi Dio, che è avverso
alla sofferenza, spero mi preservi dal dolore.
Discorso che fila via abbastanza liscio, se non
per un piccolo particolare; Dio non la pensa così!
Gesù ci ha svelato il volto di un Dio amante,
appassionato degli uomini, fuoco bruciante
(ne sa qualcosa Geremia; per lui l’incontro con Dio è
gioia e tormento, la sua vita è radicalmente cambiata).
Chi ama lascia libero,
chi ama soffre della mancanza d’amore dell’altro.
Gesù soffre per la dura reazione dell’umanità verso di Lui,
per l’inattesa reazione del suo popolo al suo messaggio.
Gesù intravede un ultimo gesto totale,
un’ ultima possibilità;
le parole non sono bastate né i segni prodigiosi
né la tenerezza, forse occorre consegnarsi,
compiere il gesto paradossale della morte in croce.
Pietro obietta; no, non questo,
non ci piace un Dio che soffre, non vogliamo
un Dio che non sia trionfante e glorioso.
Ma come, Lui può evitare la
sofferenza e invece l’abbraccia?
Povero Pietro, poveri noi.
Quando capiremo la terribile semplicità dell’amore di Dio?
Quando passeremo dall’idea che la sofferenza è male
all’idea che la vita è dono e donare chiede sofferenza?
Dio non ama la sofferenza, sia chiaro.
Ma—talora—compiamo gesti che comportano
una rinuncia, una morte, e la sofferenza diventa,
allora, misura dell’amore.
Così è il dolore del parto, necessario a dare
luce a un bimbo, il corpo affaticato che si
arrampica verso la vetta,
la notte insonne della madre che allatta il neonato.
Pietro; cambia idea!
Guarda l’amore, non il dolore, resta stupito dalla
serietà dell’amore di Dio, che non resta sulla
nostra barca solo quando tutto va bene,
ma che è disposto a mettersi in gioco, a donare tutto!
Ecco; il discepolo, come il Maestro,
è chiamato ad amare fino a perdersi.
Prendere la croce e rinnegare se stessi non
diventa un autolesionismo, ma una proposta di vita
che contraddice la logica mondana dell’autorealizzarsi.
Il nostro mondo ci offre una sorta
d’idolatria del sé (fragile e ingenua).
Gesù propone di più;
realizzi te stesso se la tua vita diventa dono,
apertura, accoglienza; è il paradosso del
ritrovarsi “perdendosi” per gli altri.
Anch’io sono ritornato euforico da questo
pellegrinaggio, ma appena tornato mi sono
ritrovato con la realtà del male e dover ripartire
di nuovo, rifare un’altra volta la strada per
Medjugorje, fare tanta fatica, per cercare di
strappare dal male un fratello in Cristo,
in difficoltà, preda del vortice del vizio
della droga, un vortice tante volte di morte,
anch’io mi sono chiesto ancora una volta perché,
e la risposta è che anche Cristo per
salvare l’umanità ha dovuto soffrire e morire,
perciò vale la pena soffrire per salvare
la vita di una persona dalla perdizione.
Vi chiedo di pregare per questo fratello
e per il nostro viaggio, grazie di cuore,
un saluto ed una Santa Domenica a tutti da Fausto.

sabato 20 agosto 2011

Rivelati a noi stessi.

Qualcuno di noi ogni anno compie un pellegrinaggio,
per qualcun altro magari è il primo vero e importante.
Ma io vorrei chiedere, perché questo
pellegrinaggio così lungo e lontano dalle nostre case,
ci siamo posti il perché?
Se Gesù adesso fosse qui presente e ci chiedesse,
perché fai tutto questo?
Sapremo dare una risposta sicura,
come ha fatto Pietro?
Come sapete, siamo in viaggio per Medjugorje,
e alle persone che sono con noi oggi farò queste domande
che sono inerenti al Vangelo di questa Domenica.
Ogni anno, puntuale, ritroviamo nel nostro
itinerario la pagina di Cafarnao,
il momento più importante dell’avventura degli Apostoli,
il momento in cui il Signore li invita a fare il punto
della successione delle cose che li ha coinvolti.
E noi, perché seguiamo Gesù?
Perché, come loro, siamo rimasti affascinati
dalle sue parole che sono spirito e vita?
E, soprattutto, chi è questo Gesù per noi?
Ogni anno, a questo punto,
il Signore ci chiede di non dare nulla per scontato,
anzi insiste perché, nel silenzio della preghiera,
ricollochiamo nella nostra vita la sua presenza.
Gesù non fa un sondaggio d’opinioni tra i suoi,
non vuole avere notizie sulla sua fama diffusa,
ma ci pone, tagliente, la domanda:
“Dì, e per te che cosa rappresento?”.
Come domenica scorsa con la cananea,
è il passaggio dalle discussioni teoriche
alla messa in discussione di noi stessi.
La cananea contestava la divinità che,
a suo parere, doveva esaudirla.
Gesù, duramente, la portava a interrogarsi sulla
sua (limitata) visione di Dio.
Oggi compiamo un altro passo;
che idea ha la gente di Gesù?
Se ne parla, spesso; nessun personaggio
della storia ha suscitato tante discussioni.
Non restiamo, però, nel vago, non facciamo salotto,
schieriamoci, prendiamoci da parte e lasciamo
che la bruciante domanda del Rabbì ci perfori il cuore;
chi è davvero Gesù di Nazareth per me?
Un grand’uomo del passato?
Una distratta divinità a cui rivolgermi?
Un amico da contattare quando le cose non funzionano?
Pietro si schiera; Egli è l’atteso;
anche se quest’affermazione deve ancora portare
a conversione Pietro, che ancora s’immagina un
Messia trionfante, un Dio vittorioso…!
Questa è la domenica della scelta.
O della ri-scelta che continuamente
siamo chiamati a compiere, dell’incontro
con lo sguardo del Nazareno—vivo—che
ci chiede adesione al suo progetto di vita.
Nel dialogo fra Simone e Gesù scopriamo un altro
importante aspetto della nostra vita interiore.
Simone, alla provocazione del Maestro,
dice a Gesù: “Tu sei il Cristo”,
che significa: “Tu sei il Messia che aspettavamo”,
una professione di fede bella e
buona e decisamente ardita.
Ardita, non mi stancherò di ripeterlo,
perché Gesù non risponde ai canoni del Messia atteso;
in Lui non c’è ardente patriottismo né regalità
né comportamenti regali e strabilianti.
Al contrario; Gesù usa toni pacati, quasi dimessi,
che danno un’interpretazione nuova del mistero di Dio.
Pietro fa un salto di qualità determinante nella sua vita,
un riconoscimento che gli cambierà la vita.
Gesù gli risponde: “Tu sei Pietro”.
Coraggio allora, anche noi come Pietro,
diamo una risposta convincente al Signore,
eccomi Signore, voglio seguirti,
perché so che solo tu mi indicherai
la strada della santità.
Una Santa Domenica a tutti voi,
con una preghiera da Medjugorje.

lunedì 15 agosto 2011

Riflessione sull'Amore dall'incontro del 17 Luglio 2011.

Voglio condividere anche con tutti gli amici
che non hanno potuto far parte dell'incontro
che abbiamo fatto assieme al nostro Parroco
di Sommacampagna (VR) Don Tarcisio,
il 17 Luglio scorso nella Comunità Madonna
di Luordus a Palesella (VR),
la riflessione sull'Amore che ho fatto per
rispondere ad alcune domande che mi erano
state poste.
Perchè fate così spesso dei pellegrinaggi
al Santuario dell'Amore Misericordioso ed
a Medjugorje, avete forse delle preferenze.
No, solo perchè tra di loro sono uniti da
un grande vincolo d'amore.
Madre Speranza, che ha fondato il
Santuario dell'Amore Misericordioso, ci fa
conoscere l'Amore Misericordioso e Maria a
Medjugorje, attraverso sei ragazzi ci chiama
all'Amore del Figlio suo Gesù.
Tutti e due questi Santuari, ci prospettano
un Dio innamorato di ciascuno di noi,
un Dio che ci aspetta per consolarci,
per indicarci la via della redenzione,
della gioia e della pace, un tenero Dio
che è Padre e Madre indistintamente e ci
segue con Amore instancabile come se non
potesse essere felice senza i suoi figli,
un Dio che ci vuole tutti uniti in un
vincolo d'Amore, come sono sempre
i nostri pellegrinaggi.
Un saluto amici ed una preghiera da
Medjugorje Domenica 21 Agpsto
quando partiremo per lennesimo viaggio.
Con affetto Fausto.

domenica 14 agosto 2011

Discepola del Signore.

Ferragosto; tanti sono in villeggiatura,
ma per quelli che come noi si preparano
alla partenza per Medjugorje, una riflessione
sulla la festa di Maria assunta in cielo,
la prima dei credenti, la prima tra i risorti.
È una festa antichissima che affonda le sue
radici nella primitiva comunità cristiana.
Non vi nascondo, però,
un sottile disagio a parlare di Lei.
La ragione principale è la sua connaturale
timidezza di ragazza di paese, quindicenne,
abituata a lavorare in silenzio,
lontano dai palchi delle veline.
La seconda ragione del disagio è un’eccessiva
devozione nei confronti di Maria, fatta in buona fede,
ovviamente, ma pericolosa.
Pericolosa perché nei fratelli in cerca di Dio,
tutto questo eccesso di zelo frastorna.
E si corre il rischio, sottolineando le così tante
straordinarietà della Madre di Gesù dal finire con
l’allontanarla anni luce dalla (povera)
concretezza della nostra vita.
Insomma; il più grande torto che possiamo
fare a Maria è quello di metterla in una nicchia
e incoronarla con una corona d’oro.
Al solito; Dio ci dona una discepola esemplare,
una donna (forte Dio, in un mondo di maschilisti
come era allora, pone una donna a modello!) che,
per prima, ha scoperto il volto del Dio incarnato,
e noi subito a metterla sul piedistallo,
santa stratosferica da invocare nei momenti di sofferenza.
Per favore, no!
Maria ci è donata come sorella nella fede,
come discepola del Signore, come madre dei discepoli.
Il cuore del suo cammino è narrato da Luca,
in quella corsa frenetica, tumultuosa,
che Maria compie all’indomani dell’annuncio dell’angelo.
Non le aveva forse detto, l’angelo,
della gravidanza della sua vecchia cugina?
Maria parte volentieri da Nazareth,
ha bisogno di riflettere, di capire.
Ha paura di essersi sbagliata,
di avere avuto un colpo di sole.
Possibile, il Messia verrà?
Possibile, Lei è stata scelta come Madre?
Maria s’incammina verso sud, due giorni di viaggio,
pensieri che affollano la mente.
E l’incontro tra la matura Elisabetta e l’adolescente
Maria è un’apoteosi, un fuoco d’artificio.
Solo loro sanno, solo loro capiscono,
i servi e i familiari guardano stupiti queste due donne
che ridono e si abbracciano e piangono di gioia.
Elisabetta la guarda scuotendo la testa:
“Come hai fatto a credere, Maria?”.
Sì, Maria, anche noi lo ripetiamo, scuotendo la testa;
come hai potuto credere che davvero Dio
diventasse sguardo, sudore e calore nel tuo ventre?
Come hai fatto a credere che—sul serio—Dio
avesse bisogno di te, e di noi, per salvare l’umanità?
Come hai fatto a credere che il tuo
acerbo ventre contenesse l’Assoluto?
Beata te che hai creduto, Maria!
Beati noi, fragili discepoli, che sentiamo l’orgoglio
riempirci di lacrime gli occhi e la nostalgia della
santità mozzarci il fiato, tu sei figlia della nostra umanità,
tu sei il riscatto delle nostre tiepidezze.
Allora è tutto vero, non dobbiamo avere paura.
Dio non si è stancato del suo popolo,
Dio non l’ha abbandonato,
non ci ha abbandonato, Dio è presente.
La danza finisce in un canto,
lo stupore della logica di Dio che prende una
quindicenne senza istruzione,
figlia povera di una terra occupata,
in un tempo senza internet e networks,
per salvare l’umanità.
Ecco, amici, questa è la festa dell’Assunta,
la storia di una discepola che ha creduto
davvero nella parola del suo Dio,
che insegna a noi, tiepidi credenti,
l’ardire di Dio, la follia dell’Assoluto.
Questa donna, noi crediamo,
dopo la lunga esperienza di una fede abitata dal Mistero,
è andata, prima tra i credenti, al Dio che l’aveva chiamata.
Non poteva conoscere la corruzione della morte
colei che aveva dato alla luce l’autore della vita.
Siamo in buona compagnia, amici!
Lasciamogli fare, allora a Dio.
Grandi cose ha fatto Dio in Maria.
Grandi cose può fare in noi, solo se lo lasciamo fare…!
Coraggio non dobbiamo avere paura,
e come diceva il grande Giovanni Paolo,
apriamo le porte a Cristo, anzi,
spalanchiamo il nostro cuore a Dio!
Ecco perché si va a Medjugorje,
a scoprire il mistero della venuta sulla terra di Maria,
attraverso dei semplici e umili ragazzi,
figli di una terra sotto il potere comunista,
anche loro hanno creduto e ce ne danno testimonianza.
Buona festa dell’Assunta a tutti, da Fausto..

sabato 13 agosto 2011

Una Parola che scuote.

Ancora una settimana, amici,
poi partiremo per Medjugorje.
In questo pellegrinaggio non mi stancherò di dire che,
ci dovremo andare con le mani vuote, senza niente,
perché dobbiamo solo ricevere.
Non dobbiamo andarci con la lista della spesa per le
grazie da chiedere e nemmeno urlare le nostre
disperazioni, ma nell’umiltà più assoluta,
in questo ci aiuta questa Domenica proprio
il Signore attraverso il Vangelo.
Gesù si è rifugiato nel sud dell’attuale Libano,
la regione di Tiro e Sidone,
per fuggire la tensione che cresce intorno a Lui,
e qui è ambientato il durissimo Vangelo di oggi.
Una donna—sofferente per la figlia ammalata—chiede
un miracolo al Figlio di Davide il quale,
letteralmente, non le rivolge neppure la parola…!
Una durezza confermata dal giudizio dato dagli apostoli,
preoccupati dalla sceneggiata fatta dalla donna.
L’insistenza però è vincente;
la donna si butta ai piedi di Gesù e chiede aiuto.
La frase di Gesù, però è raggelante:
“Non è bene gettare il cibo dei figli in pasto ai cani”.
Un Gesù maleducato, quello che oggi ci presenta Matteo?
Un Gesù razzista che pensa—come i suoi
contemporanei—che i non ebrei siano “cani?”.
No, amici, leggete bene, ve ne prego.
Come altrove nel Vangelo (Simone il fariseo, la samaritana…),
Gesù sta per darci una magistrale lezione
su come far crescere le persone.
La cananea si avvicina a Gesù sbraitando,
invocando una guarigione;
non le importa nulla di chi sia veramente Gesù,
non è sua discepola, vuole solo il miracolo del guru di turno.
Il Maestro non le rivolge neppure la parola,
la sua durezza, però, è voluta.
La donna insiste.
Alla fine, esausta, si mette ai piedi del
Signore e chiede solo più aiuto..!
Non impone più al Signore i termini dell’intervento
(voglio che accada questo),
ma esprime un generico e più autentico bisogno di aiuto.
La frase del Signore—durissima—è
uno schiaffo in pieno volto:
“Bel cane che sei, non t’interessi di me,
non segui la mia Parola, solo vuoi un miracolo,
Io, prima devo occuparmi dei miei discepoli”.
Così noi, spesso.
Ci avviciniamo a Dio, che regolarmente ignoriamo,
quando qualcosa non funziona,
quando abbiamo dei bisogni.
Lasciamo la nostra fede in uno stato di
penosa sopravvivenza e poi,
quando la vita ci chiede un qualche conto,
ecco i ceri che si accendono e le
devozioni che si moltiplicano.
Quando non cadiamo nel ricatto:
“Dio, se esisti, fa che succeda questo…!”.
E Dio tace, non ci rivolge neppure la parola.
Se, però, insistiamo, attenti, potremmo sentirci
dire la stessa frase del Vangelo: “Bella faccia che hai,
te ne freghi di me e ora invochi un miracolo!”.
Come avremmo reagito noi al posto della cananea?
Io mi sarei offeso e me ne sarei andato.
La donna cananea no, riflette.
La guancia ancora le fa male,
mette da parte il suo amor proprio e confessa:
“Hai ragione, Signore, hai ragione;
sono proprio un cane, vengo da te
solo ora che ne ho bisogno.
Ti prego, però, fai qualcosa”.
Me lo vedo il volto duro di Gesù che
si scioglie in un accogliente sorriso:
“Risposta giusta, questa volta,
la tua fede ora produce miracoli!”.
Che bello, amici!
Non sempre chi ti accarezza ti ama,
non sempre chi ti fa dei complimenti desidera il tuo bene.
A volte, il Vangelo di oggi lo dimostra,
anche uno schiaffo ci richiama a verità.
Attenzione allora, quando ci rivolgiamo
al Signore per chiedere,
guardiamo prima se ne siamo degni,
e magari facciamolo senza fanatismo,
senza imposizioni, ma con umiltà e non
solo quando ne abbiamo estremamente bisogno.
Ecco è questo il nostro problema,
ci ricordiamo del Signore, solo quando serve,
Lui non vuole richieste a gettone,
non è una macchinetta per il caffè, no,
Lui desidera la nostra amicizia sempre, nel bene e nel male.
Coraggio, non facciamo i cagnolini, ma cerchiamo
di essere persone innamorate di Lui.
Santa domenica a tutti con affetto Fausto.

lunedì 8 agosto 2011

Perchè l'Ave Maria.

Visto che fra meno di 15 giorni partiremo per Medjugorje
per unirci a Maria la quale ci porterà a suo Figlio Gesù.
Allora mi sono chiesto: “Perché l’Ave Maria!”
Ecco la mia risposta: “Pensiamo di entrare a
Nazareth nel mistero dell’incarnazione.
Perché proprio Nazareth?
Perché era un paese di povera gente ignorante.
Gente in prevalenza pastori, dichiarati a quei tempi dei poco di buono; e Gesù nella sua umiltà volle venire su
questa terra proprio fra gli ultimi.
Pensiamo di respirare quell’aria particolare in un
giorno di primavera, dove con un fremito d’ali, l’Angelo Gabriele entrò in quella povera casa, ad annunciare a Maria che in Lei il Verbo si sarebbe
fatto carne, noi penseremo che è una follia.
Quante volte abbiamo ascoltato questo brano del Vangelo!
Credo che ad ognuno di noi verrebbe voglia,
di rivivere quei momenti misteriosi, in cui con semplicità e umiltà l’Angelo apparve a quella fanciulla di Nazareth “Ave Maria, piena di grazia. Allora da questo momento solenne, con la nostra mente inizieremo a seguire
la vita di Gesù, i passi di Gesù, col bruciante desiderio di resuscitare in noi
la sua presenza, la sua Parola, il suo Amore.
Questo cammino deve essere soprattutto un
cammino interiore, un cammino dell’anima; e quello che veramente conta è la disposizione
dello spirito, e l’apertura del cuore.
L’Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea,
chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe.
La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei disse:
“Ti saluto o piena di grazia, il Signore è con te”.
(Luca 1.26-28).
Al tempo dell’Annunciazione, Nazareth era un villaggio nascosto fra i monti, solitario, emarginato dalle grandi vie di comunicazione, quasi sconosciuto, proprio come Medjugorje.
Solo Dio, che si compiace di elevare le piccole cose e di umiliare le grandi, riguardò a questo fiore di Galilea, per cercarvi; “la casa di Maria”, dove si è compiuto il mistero dell’Incarnazione.
Da qui il Messia, ha osato irrompere nella
storia umana e spezzarla in due.
Ma non è soltanto il tempo che nasce qui.
Qui nasce la preghiera che è cara a tutti, la preghiera che abbiamo cominciato a balbettare da bambini, la prima preghiera che ci hanno insegnato:
“Ave Maria piena di grazia”.
L’Ave Maria è stata pronunciata qui per la prima volta.
È la prima preghiera del tempo cristiano.
È la nostra prima preghiera.
Ed è anche l’ultima preghiera, quella che i sacerdoti recitano agli orecchi dei moribondi.
Ed è la preghiera che anche noi chiediamo spesso; quante volte a qualcuno abbiamo detto:
“Dì un’Ave Maria per me”.
L’Ave Maria è diventata il simbolo della preghiera.
Il saluto dell’Angelo a quella fanciulla è diventata la prima e l’ultima preghiera di ogni credente in Cristo.
Allora possiamo dire che la nostra fede si accende a Nazareth.
E quando noi pensiamo al mistero dell’Annunciazione, sentiamo che la fede e il tempo,
si incontrano su questo avvenimento.
Si può dire che gli uomini, le circostanze, la storia, acquistano il loro significato direttamente da qui.
Gli uomini dell’Antico Testamento,
gli uomini dell’antica alleanza,
hanno atteso con tanta speranza questo momento, che era stato promesso da Dio: “Verrà una donna”!
E quando questa donna è venuta,
inconsapevole dell’attesa dei secoli,
la risposta alla speranza di Dio e alla
speranza degli uomini è stata: “Ave Maria”, le dice l’Angelo; e lei rispose:
“Ecce Ancilla Domini”, che vuol dire: “Ecco l’Ancella del Signore,
sia fatto di me secondo la tua parola”.
Mettiamola sempre quest’Ave!
L’ha pronunciata il messaggero di Dio,
è il messaggio di Dio, è la confessione dei sentimenti di Dio per questa fanciulla di Galilea.
Ti salutiamo, o Vergine piena di grazia, che hai suscitato la compiacenza di Dio così pienamente, che Dio ha voluto comprimersi in Te, e con Te.
Ti salutiamo, opera di Dio, esclusivamente sua.
Ti salutiamo, Ancella di Dio, ammessa alla dolce intimità di Dio, intima in Lui.
Ti salutiamo, benedetta fra le donne…..!
Non dimentichiamo mai,
non finiamo mai di meditare l’Ave Maria.
Partiamo allora sereni, e andiamo incontro
a Maria con la sua preghiera: ”Ave Maria!”

sabato 6 agosto 2011

Sono Io, non temete.

Santa fifa ora pro nobis;
quando tutto va bene siamo dei leoni,
quando va male e la nostra fragile barchetta
è sballottata dalle onde della vita, ecco i piagnistei,
mai diamo piena fiducia al Maestro e Pietro ne sa qualcosa!
Pietro, Elia, il popolo d’Israele; oggi la Parola ci
presenta questi tre modelli di discepolato con
cui confrontarci nella concretezza della nostra vita di fede.
Gesù fugge il delirio della folla che lo vuole fare re,
dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci,
e si rifugia nella preghiera, da solo, sulla montagna.
Gesù non vuole una fede—che spesso, ahimè,
è la nostra—basata sui miracoli.
Pietro e gli altri devono nuovamente
attraversare il lago di Tiberiade e lì,
sul far del mattino, sono investiti dalla tempesta.
Questo racconto è un’icona della Chiesa;
aspettando il ritorno del Maestro,
anche noi dobbiamo attraversare la Storia su
una fragile barca sballottata dai venti.
Ma è quasi mattino, fratelli.
Questi duemila interminabili anni di cristianesimo
hanno rappresentato una dura prova di fede
per i cristiani; spesso dimenticando il Vangelo,
spesso travolti dalle persecuzioni (che continuano!),
i discepoli hanno assaporato e assaporano la fatica della fede
vivendo tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio.
Come succede a ciascuno di noi, d’altronde;
appena la Parola gettata dal seminatore attecchisce,
pur convivendo con la zizzania che tende a soffocarla,
ci mettiamo alla ricerca della perla preziosa nel segno della
condivisione e—statene certi—arriva qualche prova nella fede.
Una sofferenza, una stanchezza, una depressione;
il vento gelido del dubbio, l’assenza del Maestro
(sì, esiste, ho incontrato il suo sguardo
di compassione, ma ora è assente)
ci allontanano dalla fede, ci restituiscono al vortice
dell’inesorabile quotidianità, ci rendono pagani.
Così Elia, dopo avere sfidato la regina Gezabele
e il suo culto idolatrico a Baal,
deve fuggire per non essere ucciso e vorrebbe morire,
così Pietro e gli altri, turbati dal vento contrario,
stanchi di remare, così noi, fragili discepoli chiamati
a sopravvivere dentro una modernità che anestetizza
la nostra interiorità e ci allontana dal sé e dal vero.
Ma proprio quando l’onda è alta su di noi,
proprio quando ci sembra di essere
sconfitti, qualcosa accade.
Gesù cammina sulle acque tempestose e ci ripete:
“Coraggio, sono, io, non abbiate paura!”.
Pietro si tuffa,
anche lui vuole camminare sulle acque e sulle difficoltà;
si fida, muove i primi passi e poi miseramente
sprofonda nel lago agitato, perchè Pietro, stavi andando
così bene e Gesù, garbatamente, lo prende per mano.
Davanti ai dubbi di fede, davanti alle tempeste
della vita, il discepolo è chiamato, come Elia,
ad ascoltare nel suo cuore il silenzioso mormorio di Dio,
recuperando quella dimensione assoluta che è il silenzio,
la preghiera, l’ascolto meditato del grande e
quieto oceano della presenza di Dio.
Troppo pagano è diventato il nostro cristianesimo,
troppo efficientista, troppo rumoroso.
Urge riscoprire un modo nuovo di pregare e meditare,
un modo che attinge all’immensa tradizione cristiana
usando parole nuove, adatte alla sfida attuale.
Come Pietro, il discepolo è chiamato a gettarsi
nelle braccia di Dio, sul serio.
La fede è fidarsi, la fede è slanciarsi nel vuoto,
la fede è concreto abbandono.
Troppe volte, però, la nostra è fede condizionata,
tentennante, dubitativa; lasciamo aperta
una via di fuga, convinti ma non troppo.
E allora beviamo.
Quando la smetteremo di tenere in mano il timone
della nostra barca invece di affidarlo a Dio?
Fidati, affidati, confida, diffida delle tue
(piccole e fragili) sicurezze.
Paolo, infine, c’indica la fedeltà d’Israele come modello;
una fedeltà da imitare, una custodia della
Parola che ammiriamo, fedeltà conservata
con tenacia nella continua tempesta che Israele ha
attraversato (e noi cristiani pure a bucargli la barca!).
E come loro cerchiamo di vivere della
fiducia nel Dio dell’alleanza.
Animo, dunque, altri hanno già vissuto ciò che viviamo,
altri hanno già attraversato il mare in tempesta,
facciamoci coraggio, prendiamo in mano il Vangelo,
la nostra ancora di salvezza.
Ed ecco perché fra poche domeniche partiremo,
ed un lungo viaggio ci porterà in un paese lontano,
Medjugorje, dove per nostra fortuna,
lontani dal nostro benessere,
il nostro correre quotidiano, nella quiete,
nella serenità e nella gioia,
accompagnati dalla Mamma Celeste, riusciremo
a ritrovare Dio per affidargli la nostra fragile barchetta,
ma soprattutto ad imparare ad affidarci a
Lui per superare le tempeste della nostra vita.
Animo allora senza paura prepariamoci a partire.
Santa Domenica a tutti voi Fausto.