VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

Il nostro intento e' quello di condividere l'amore del Signore e la maternità di Maria che hanno per tutti noi anche attraverso l'organizzazione di pellegrinaggi al santuario dell'Amore Misericordioso e da alcuni anni anche a Medjugorje.



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domenica 31 luglio 2011

Noi nell'incoscienza della condivisione.

Ieri sera dopo la Santa Messa sono andato
a cena con un carissimo sacerdote
ed ho scoperto quanto serve condividere a volte anche
solo un pò di tempo con chi prevalentemente
vive le sue serate da solo.
E tra le tante cose abbiamo parlato
della pagina di Vangelo di oggi,
scoprendo che coloro che cercano il
tesoro nel campo della loro vita,
custodiscono una pagina del Vangelo che
sta loro particolarmente a cuore;
è la pagina della moltiplicazione dei pani e dei pesci,
narrata per ben sei volte dagli evangelisti.
Anche Matteo ci offre la sua versione dei fatti
con lo stesso svolgimento degli altri;
la commozione di Gesù, il suo sguardo sulla folla,
la richiesta di aiuto ai discepoli sbigottiti,
la condivisione dei pani e dei pesci che sfamano
una folla immensa (e ne avanza…!).
È un’icona splendida della realtà della
comunità cristiana; questa pagina c’introduce,
oggi, a una nuova fase della nostra riflessione.
Che cos’è la Chiesa?
Una holding del sacro?
Un vecchio baraccone che custodisce antichi riti?
Una centrale del potere che tenta di salvarsi
dal naufragio della modernità?
Così pare, vedendo le nostre comunità,
le incoerenze dei preti (vediamo il nostro Beato grande
Papa Giovanni Paolo, aveva chiesto scusa per i loro sbagli),
la fatica quotidiana ad accogliere il vangelo,
perché non sempre viene spiegato bene.
Eppure l’esperienza di Chiesa che vive Matteo
è descritta in quel gesto ingenuo e potente di offrire la
propria merenda al Signore perché con essa sfami l’umanità.
L’umanità ha fame, amici.
Di senso, di verità, di spiritualità.
Ma anche di giustizia, di pace, di cibo che noi,
paesi toccati dal Vangelo, non siamo capaci di condividere,
tutti presi dalla difesa del nostro fragile e vaporoso benessere…!
Fame che Dio sazia, non noi, che Lui vede, non noi, che
commuove Dio e—speriamo—un poco anche noi discepoli.
Il mosaico di luce che il Maestro vuole
disegnare ha bisogno anche di noi,
a Dio (burlone!) piace coinvolgere i suoi discepoli nel suo
sogno di pace, e Dio chiede, al solito, di metterci in gioco.
Date loro voi stessi da mangiare;
parola sconcertante, fastidiosa.
Ma come, Signore, noi crediamo in te e ti preghiamo
e ti veneriamo appunto per non dover far nulla!
Noi vogliamo sempre credere in te, Dio di ogni Potenza,
proprio perché tu ci tolga dai guai e sbrogli le nostre matasse!
Non è forse questa l’idea di Dio che preferiamo?
Un Dio che vede la sofferenza,
e—come un sovrano illuminato—ascolta
la preghiera dei suoi servi e li esaudisce?
Non è così per Gesù, che chiede collaborazione
e coinvolge i propri discepoli.
Quando noi chiediamo: “Signore, ferma le guerre!”,
Dio ci risponde: “Tu per primo diventa costruttore di pace”;
quando lo invochiamo: “Aiuta quella persona malata”,
ci dice: “Tu diventa mia consolazione per lei”.
La sproporzione è voluta;
pochi pani e pesci dovrebbero sfamare una folla sterminata;
è una situazione che produce disagio e sconforto,
la stessa sensazione che anche noi proviamo quando cerchiamo
di annunciare la Parola, di vivere gesti di solidarietà e di bene.
I ragazzi vanno a catechismo, in parrocchia, giocano, parlano,
gli viene annunciato il bel modo di vivere che aveva Gesù.
Poi escono, e per un’intera settimana sentiranno e vivranno
il contrario; violenza, egoismo, opportunismo.
Bisogna rinunciare?
No, il far conoscere è gesto fecondo e
accompagna l’opera di Dio, è segno profetico
che imita l’ampio gesto del seminatore, è icona di speranza
che imita la pazienza verso la zizzania del padrone del campo.
Animo, discepoli, coraggio, fratelli!
Ci siamo saziati del cibo della Parola,
del vino e del latte gratuito del Padre,
come profetizzato da Isaia;
sappiamo che nessuna difficoltà ci può
separare dall’amore di Cristo.
Siamo chiamati a donare quel poco che abbiamo,
a condividere con inattesa incoscienza tutto ciò che siamo,
per somigliare almeno un poco a
questo Dio che riempie i cuori.
Questa è la Chiesa, e solo questa;
la comunità di quelli che hanno conosciuto
l’immensa tenerezza di Dio e mettono a disposizione
ciò che sono, ciò che fanno, perché Dio sazi l’umanità
stanca che vaga come pecore senza pastore.
Coraggio, amici, il Signore ha bisogno anche di camerieri
con le maniche rimboccate per saziare la fame!
Allora rimbocchiamoci le maniche,
tappiamo il naso e mettiamoci a disposizione
di chi ha bisogno di attenzioni e di conforto,
ce ne sono tante persone che hanno bisogno di aiuto,
serve solo il coraggio di iniziare,
Santa Domenica da Fausto.

domenica 24 luglio 2011

Caccia al tesoro.

Da quello che sento nei miei colloqui con tanti di voi,
mi sembra di capire che la maggior parte delle persone
pensano di avere tutto, che con i soldi e le amicizie
si possa avere tutto nella vita, proprio come Matteo.
Matteo ha tutto; soldi, successo, potere;
era temuto, rispettato, uno in carriera,
come i tanti che si vedono anche al giorno d’oggi.
Un giorno, però,
quello sguardo dell’ospite di Pietro il pescatore,
quel tale Gesù della vicina Nazareth,
li a Cafarnao, sul lago, lo ha sconvolto.
È poi così certo di avere tutto?
Il tesoro vero, il senso della vita,
lo ha davvero scoperto?
Matteo fa l’errore di lasciare la
sua parte migliore emergere,
per una frazione di secondo intuisce
che la sua vita è piena di vuoto,
che tutto ciò che ha è fumo,
apparenza, inutile peso.
Quello sguardo lo perfora,
lo trapana, lo svela a se stesso;
lascia tutto e segue il Maestro.
Da Gesù, Matteo impara ad amare,
a conoscere Dio, a conoscere se stesso.
Da Gesù, Matteo impara a essere vero,
a diventare libero, e racconta,
parla come un fiume in piena,
del Regno, di Dio, di Lui, il Maestro.
Oggi Matteo ci dice, dopo tanti anni
(forse una trentina da quell’incontro),
che n’è valsa la pena, che lo rifarebbe e che,
anzi, ciascuno di noi può farlo.
Matteo dice di aver fatto il miglior affare
della sua vita lasciando tutto e seguendo il Nazareno,
ci dice che è come avere scoperto un tesoro nel campo.
La mia vita, la nostra vita è una gigantesca caccia al tesoro.
Ci vuole grinta, forza, lucidità per gareggiare;
bisogna tapparsi le orecchie di fronte
ai troppi che ammiccano vendendoti a
peso d’oro le istruzioni per trovare il tesoro,
tenere duro davanti ai troppi che ti dicono
che il tesoro non c’è, che la vita è
un’immensa e macchinosa fregatura.
Matteo dice che lui, il tesoro, l’ha trovato.
Non era come la fiammata dell’innamoramento
che sarebbe scomparso con il desiderio,
(come le tante nostre unioni famigliari),
ma come la lenta consapevolezza della verità,
del fiume che scorre sotto il terreno,
dell’evidenza del cuore.
Il piano di Dio è esposto, il volto che Gesù è venuto a
descrivere è ormai chiaro, la proposta del Regno annunciata.
Ora tocca a noi, tocca a me decidere.
Starò ancora ad aspettare?
Dopo aver veduto, dopo aver lasciato il seme della Parola
perforare l’asfalto del mio cuore, ancora tentennerò?
Dopo aver saputo che il padrone del campo
permette che la zizzania e il grano crescano insieme,
perché mi ama, aspetterò ancora che
il Regno si manifesti nella mia vita?
Il Signore, “pescandoci”, sa che dentro di noi ci sono pesci
commestibili e pesci velenosi, parti di luce e fitte tenebre.
E le ama, entrambe.
Le ama perché ama noi, le ama perché ci vuole salvi,
le ama perché è un Dio di tenerezza e compassione.
Paolo, nella seconda lettura, ha finalmente capito
il disegno di Dio, il suo piano, e ne resta affascinato.
Madre Speranza di dice che, è un Dio che ci vuole salvi,
è un Dio che ci scusa, un Dio che c’insegue
e ci perseguita col suo amore.
Ma abbiamo bisogno, come saggiamente chiede Salomone
nella sua preghiera, di molta saggezza, di molta sapienza.
Salomone è spaventato del suo nuovo ruolo di re.
Non assapora il potere, non è euforico della sua posizione.
Chiede la saggezza, chiede di fare scelte giuste.
Dio è piacevolmente stupito da questa richiesta
e lo premia col dono della saggezza.
Anche noi, allora, come Salomone, come Paolo,
come Matteo, chiediamo di avere il dono dello Spirito,
che sa orientare la nostra vita verso la pienezza,
verso il senso ultimo, verso il tesoro.
Che non ci succeda di essere travolti dalla vita,
che non ci accada di restare alla porta della storia,
ma che il Signore ci dia il coraggio di investire tutto,
tempo, intelligenza, affetti, nella ricerca del Regno,
nella cosa più preziosa che abbiamo.
Matteo è davvero lo scriba che ha saputo tirar fuori le
cose vecchie e le cose nuove dal tesoro della propria vita.
Il messaggio del Vangelo,
pur nella stanchezza dell’abitudine
e delle nostre comunità, ha bisogno di essere
capito e parlato con parole nuove.
La fatica di Matteo, scriba che ha valutato con sapienza
la strada da percorrere, è la nostra stessa fatica.
Inutile ancorarsi a fragili abitudini,
a consolidate e incomprensibili ritualità che
rendono vecchio il cristianesimo;
andiamo all’essenza, con intelligenza,
con rispetto per il passato, ma manifestando
tutta la luce devastante dell’incontro col Rabbì.
Solo così potremo dire in maniera comprensibile per
l’uomo contemporaneo che la vita è una caccia al tesoro.
Anche noi, come chi trova un tesoro, pieni di gioia,
venderemo tutto per averlo.
Ed allora, dopo l’esperienza fatta Domenica
scorsa nel nostro incontro,
vi auguro una buona caccia al tesoro,
con l’augurio di trovarlo veramente,
ed una Santa Domenica a tutti.

domenica 17 luglio 2011

Pazienza, operai del campo.

Noi abbiamo sempre tanta fretta,
troppa per essere tranquilli,
sempre affannati, sempre pronti a
scaricare la nostra impazienza sugli altri.
Prendiamoci un attimo di tregua e cominciamo a pensare
perché Dio lascia crescere la zizzania con il grano.
La zizzania è una terribile erba infestante
che si arrampica e soffoca la pianta buona
e—dice la parabola—grano buono
ed erba malvagia crescono insieme,
convivono, devono spartirsi il terreno.
La saggezza del padrone ci stupisce;
rimanda a casa propria gli zelanti servi
che vogliono un bel prato all’inglese,
devotamente motivati a strappare la zizzania;
abbiate pazienza, dice il padrone,
per non correre il rischio di strappare il
grano buono nella foga risanatrice.
Parabola luminosa, evidente, quella di oggi;
la Parola seminata domenica scorsa cresce
spartendo il campo con la tenebra,
l’oscurità, la zizzania, appunto.
È l’esperienza che tutti i figli della luce alla fine fanno;
dopo duemila anni di Vangelo, talora,
proprio nei paesi tradizionalmente cristiani,
l’erba malvagia sembra soffocare l’annuncio di salvezza.
A parole tutto funziona,
ma nei fatti dobbiamo arrenderci all’evidenza;
nonostante Cristo ci abbia salvato,
l’uomo stenta a imparare.
Non cadete nella consueta lamentazione di noi pii
cattolici incompresi dal mondo malvagio, eccetera…!
La salvezza è cosa seria e il Maestro Gesù sa che
la luce e la tenebra si affrontano e i
figli della luce combattono le tenebre.
Ma è che le tenebre fanno più rumore.
Sfogliate qualche quotidiano e vedrete
litanie di fatti orribili, leggerete del punto
di non ritorno di molte situazioni,
di raccapriccianti fatti di cronaca,
di situazioni d’ingiustizia all’apparenza insanabili;
bene; voltate pagina e vedrete l’ultima notizia di gossip,
la pubblicità del nuovo ritrovo per restare in
forma venduto a caro prezzo, come se niente fosse.
Sangue e creme di bellezze, tragedie e amenità;
il nostro mondo ci abitua a ogni orrore.
Non c’è che una cosa peggiore del male;
abituarsi ad esso, renderlo quotidianità,
cui non sappiamo opporci, fingere d’ignorarlo,
pensare che fra luce e tenebre—forse—in
fondo è meglio vivere in un bel nebbione.
In equilibrio fra il delirio di onnipotenza per
cui il male è sensazione oggettiva,
e un veteromoralismo che rende noi cristiani
rabbiosi farisei, la Parola di Dio squarcia
le tenebre con un’idea immensa; pazienza.
Pazienza, figli del Regno,
pazienza, lasciate fare a Dio il suo mestiere.
Pazienza, discepoli del Maestro, viviamo tempi bui,
in cui la ragione e la fede devono farsi strada
con fatica in mezzo all’indifferenza e all’insignificanza.
Pazienza, discepoli del Nazareno, la guerra è già vinta,
il giorno è avanzato, la verità—immensa—come
torrente sotterraneo sta raggiungendo il mare.
Io credo questo, amici, sul serio;
credo che il Regno avanzi.
Mi stupisco nel crederlo,
mi commuovo davanti al silenzioso grano che cresce
nello sguardo di chi ama, nel gioco puro del bambino,
nel gesto generoso di chi—in nome e per conto del Rabbì,
Figlio di Dio—pone gesti di luce nelle tenebre fitte.
Pazienza, discepoli di colui che è venuto a portare il fuoco,
pazienza nelle nostre povere e
poco credibili comunità parrocchiali,
pazienza nel vedere—nude—le fragilità
dei nostri compagni di viaggio,
pazienza quando un connaturale istinto di
superiorità ci fa giudicare—con piglio tutto devoto—
i fratelli che ancora (e sempre) misurano la loro debolezza.
e—infine—pazienza con te stesso, fratello che leggi.
Sappiamo bene che la voglia di dividere
il mondo in buoni (noi) e cattivi (gli altri)
ha portato i discepoli su orribili
sentieri di violenza, in passato.
Guardiamo dentro di noi la zizzania
(chiamiamola per nome!) e guardiamo
al grano buono seminato dal Signore.
Pazienza, amici, se vi sembra che troppe tenebre
ancora rovinino la vostra vita; avete tutta la vita
davanti per imparare a vivere e per diventare discepoli.
Pazienza, se pensavi di essere un marito migliore,
un papà migliore, un figlio migliore, un compagno migliore;
talvolta la bruciante esperienza del limite
(Pietro insegna) ci spalanca la diga della misericordia.
E ci rende simili a questo saggio padrone del campo.
Amici credo che per imparare la lezione di Gesù,
bisogna farsi prossimo talvolta anche con quelle persone
inopportune e secondo noi cattive e irritanti,
magari nel profondo del loro cuore hanno
un’animo buono, è che non lo sanno,
aiutiamole a scoprirlo, non condanniamo
per quel che vediamo, non sempre è solo zizzania.
Animo, allora, armiamoci di pazienza,
non facciamo di tutta l’erba un fascio,
magari per una volta il maligno ha sbagliato semente.
Santa Domenica amici,
vi ricorderemo durante la preghiera nel
nostro incontro che abbiamo in questa domenica,
con affetto Fausto

domenica 10 luglio 2011

Il Seminatore uscì a seminare.

Carissimi amici, Gesù ci dice che bisogna seminare
la sua Parola, farla arrivare dappertutto senza guardare
dove seminiamo, senza chiederci se ne vale la pena;
l’importante è lanciare il messaggio.
Ecco, il seminatore uscì a seminare.
Il Signore vuole riflettere insieme con i suoi numerosi
ascoltatori sul modo, sullo stile di accogliere la Parola.
Quante volte, vi è stato detto che la Parola,
è spada che ci perfora il cuore, che ci schiude nuovi
orizzonti perché Parola diversa, ispirata, ricolma di Dio.
Eppure, che mistero!
Dio parla e l’uomo stenta ad ascoltare.
Credo che pochi di voi si ricordino della Parola
che abbiamo udito domenica scorsa.
Difficile da ricordare vero?
Eppure quella era la Parola che avrebbe dovuto
illuminare la nostra settimana!
Questa Domenica il seminatore,
che è Gesù, esce a seminare.
C’immaginiamo il gesto ampio e solenne del seminatore,
che non ha paura di gettare il seme con abbondanza,
fin sull’asfalto, nella speranza che buchi
la crosta dura del nostro cuore.
Così è Dio; esagera sempre.
Non gli importa la stretta logica del guadagno,
compie gesti insensati, getta con generosità la Parola,
sperando che faccia breccia nel
ghiaccio che avvolge la nostra vita.
Gesù analizza i risultati della semina.
Il primo risultato è disastroso;
il Signore semina sulla strada e il seme
non riesce neppure a sopravvivere,
perché arrivano gli uccelli e lo mangiano.
Il Signore stesso ne dà l’interpretazione;
gli uccelli sono il maligno che non vuole correre
il rischio che la Parola buchi l’asfalto della
nostra indifferenza e della nostra abitudine.
Il suo metodo? Semplice;
il pregiudizio (sono tutte cose inventate dai preti…),
l’arroganza (sono bastante a me stesso…),
l’indifferenza (ho altro a cui pensare…),
e così ci perdiamo la vita vera.
La seconda categoria di persone raggiunte dalla
Parola sono gli entusiasti un po’ incostanti.
Quanti ne ho incontrati!
Sono quelli che, raggiunti dalla Parola,
ne restano affascinati, soprattutto emotivamente.
Di solito si avvicinano alla fede attraverso un’esperienza forte;
un pellegrinaggio, un ritiro, un gruppo, ma,
appena fuori dall’ambiente, cominciano
pian piano a lasciarsi riassorbire dalle preoccupazioni e,
inesorabilmente, cadono nella dimenticanza.
So per esperienza che, oggi,
vivere la fede in un ambiente ostile è certamente difficile,
come il seme che cade in mezzo alle pietre,
per questo è sempre più necessario vivere la fede insieme,
avere degli spazi, dei momenti per ristorarsi,
per riappropriarsi della propria fede.
La terza categoria è quella che,
pur cresciuta, è soffocata dalle spine.
E descrivere chi, dopo aver accolto la Parola,
averla maturata, averla accolta con gioia, incontra difficoltà,
sofferenze, aridità e ne è soffocato.
Difficoltà a livello umano; una malattia, un lutto,
che ci allontanano definitivamente da Dio.
O difficoltà di ordine spirituale; un’aridità prolungata,
una fatica interiore…!
Il seme cade su terra buona e produce frutto,
in maniera diversa.
In maniera diversa, rispettando la particolarità di ciascuno,
adattandosi alla vita interiore di ogni uomo.
Qual è il terreno buono?
Sono sempre rimasto un po’ perplesso
nel rispondere a questa domanda.
A me pare che, se qualcuno dicesse:
“Sì, mi sento un terreno buono che dà frutto”,
sarebbe un pochino presuntuoso!
Io credo che terreno buono è chi si è riconosciuto
nei precedenti tre terreni.
Credo che terreno è chi, con semplicità,
ha sentito la parabola e gli si è stretto il cuore
per paura di perdere la Parola.
La Parola feconda solo un cuore umile,
un cuore consapevole del proprio limite,
un cuore donato e spalancato al seme di Dio.
Solo un atteggiamento interiore di verità
è terreno fecondo per la Parola.
Lasciamo che la Parola, che, continuamente,
il seminatore getta a piene mani,
attecchisca nella nostra vita.
Ma; il seminatore riesce a buttare il suo seme?
Abbiamo sempre in casa un Vangelo,
magari in edizione di lusso.
Che giace tristemente impolverato.
Facciamola vivere questa Parola!
Diamole respiro!
Liberiamo la Parola di Dio;
che contagi, inondi, riempia,
scuota, inquieti e consoli!
Lasciamo che, finalmente, il seminatore,
ci raggiunga e ci faccia crescere nella fede!
E allora, tanto per non dimenticare e per rinvigorire
quello che abbiamo trovato o scoperto
attraverso i nostri pellegrinaggi,
abbiamo pensato di ritrovarci
domenica prossima 17 Luglio 2011,
proprio per meditare assieme ancora
una volta la Parola del Signore, siamo già in tanti.
Un saluto, una preghiera ed un arrivederci a
tutti quelli che parteciperanno all’incontro.
Santa Domenica e buona semina o buona
raccolta a tutti voi amici da Fausto.

domenica 3 luglio 2011

Io vi ristorerò

Purtroppo incontrando tante persone,
mi accorgo che manca la serenità, la pace e la gioia
di vivere, sempre di corsa ed in affanno.
Fermiamoci un attimo, ascoltiamo cosa ci dice Gesù,
cosa ci vuol far capire con il suo insegnamento.
La Parola di oggi è veramente la perla preziosa,
il tesoro nascosto del Vangelo di Matteo il frutto della
buona notizia di Gesù, un cesello della sua presenza.
Il Signore Gesù, guardandosi attorno, loda il Padre,
gli fa i complimenti per la sua lungimiranza, perché ha
coinvolto nel suo Progetto anzitutto i piccolo e i poveri.
Luca, nel parallelo di questo brano, è ancora più incisivo.
Dice che Gesù “esultò nello Spirito”.
È uno dei momenti più belli del ministero di Gesù.
Ce lo immaginiamo, col cuore pieno di gioia, mentre
guarda la gente che, intorno a Lui, ascolta la Parola.
Davvero il Signore ha riservato i suoi misteri ai piccoli,
nascondendoli ai sapienti e agli intelligenti.
Gesù ci ammonisce a non complicarci troppo la vita,
a non inseguire Dio attraverso sofisticati e
contorti ragionamenti, a non pretendere di avere
noi in mano la chiave dell’universo ma,
con semplicità, a lasciar emergere la parte più
autentica di noi; la piccolezza, l’umiltà.
Quanto è difficile raggiungere questo stato!
Già di natura siamo inclini continuamente a difenderci,
a fare discorsi elaborati, a mascherare i
difetti presentando il nostro meglio.
Il mondo attuale, in aggiunta, non fa che
esasperare questo atteggiamento,
proponendoci modelli ultra complicati;
donne bellissime e patinate, persone istruite e brillanti,
tenori di vita al di fuori del reale.
Rischiamo davvero, nel nostro piccolo,
di essere un po’ costruiti, fatti ad arte,
per poi finire nella disperazione quando
non riusciamo nell’intento di emergere.
Dio per noi, ahimè, viene sempre dopo;
pronti a farci due o tre idee copiate dal pensiero
del brillante opinionista, o facendo nostri i luoghi
comuni dell’uomo moderno su Dio
(che esiste, ma è inconoscibile e, in ogni modo,
certamente non è quello professato dalla Chiesa),
ci complichiamo il cammino, credendo che a Dio
arriveremo grazie alle nostre sottili attività intellettuali.
No! Il Signore si rivela a chi si fida, a chi è disarmato,
a chi non ha paura dei propri limiti,
a chi è capace di accogliere.
Quante persone mi confidano di avere incontrato Dio,
solo quando si sono fidate di Lui!
Quanti sono cambiati nel momento in cui,
hanno accolto la Parola senza pregiudizi.
Sì; davvero il Signore è grande, perche si rivela ai semplici.
Gesù dice: “Venite a me, voi tutti che siete
affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”.
Il frutto della fiducia, della semplicità,
è l’esperienza, straordinaria e piena di tenerezza,
dell’amore del Signore Gesù.
La nostra inquietudine, il bisogno di senso,
la fatica del vivere, trovano risposta e pienezza solo
se sappiamo accogliere la presenza di Dio nella nostra vita,
se riusciamo davvero a dare priorità a Dio nella nostra vita!
Non come un aspetto doveroso, importante,
ma come il primo, come il tutto.
Se ci rendessimo conto di essere “fabbricati”
per riconoscere la sua presenza in noi!
Spesso vaghiamo nella confusione,
troppo presi dai troppi impegni per
cercare il senso e la risposta.
Eppure nel nostro cuore è marchiato a fuoco il sigillo di Dio.
La proposta di Gesù è chiara e dolce;
andare a Lui se oppressi e affaticati.
Sì; andiamo a Lui,
se il nostro cuore è turbato dalla sofferenza,
se la nostra vita è manchevole di qualcosa,
andiamo a Lui e seguiamolo,
il suo giogo dolce e leggero, è Vangelo.
A volte crediamo che il Vangelo sia un fardello
insopportabile, e la nostra ipocrisia ha ridotto il
Vangelo a incomprensibile e dura legge morale.
Al contrario, il giogo dell’amore,
il carico del Vangelo ci portano a scoprire
l’affascinante e virile mitezza e umiltà di Cristo,
che si rivela a noi colmandoci di gioie.
Andiamo allora senza paura ad incontrare Gesù,
ed ascoltare la sua Parola che è vita.
Santa Domenica a tutti voi amici,
amanti del Signore Gesù Cristo.
Con affetto Fausto.