VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

Il nostro intento e' quello di condividere l'amore del Signore e la maternità di Maria che hanno per tutti noi anche attraverso l'organizzazione di pellegrinaggi al santuario dell'Amore Misericordioso e da alcuni anni anche a Medjugorje.



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domenica 14 marzo 2010

Il figliol Prodigo

Questo è quello che è capitato anche a me,
finchè me ne sono rimasto lontano,
lontano da quella casa che mi stava stretta e mi soffocava,
per il semplice fatto che ritenevo di essere indipendente,
di farcela da solo, di essere bravo e saper arrangiarmi,
fino a quando non toccai il fondo della disperazione e mi
accorsi di avere sbagliato completamente strada,
di essermi allontanato da casa e aver perso l'orientamento,
pensando di non riuscire più a ritrovare
la via giusta per ritornare a casa.
Ma mi accorsi anche che quel Padre che avevo lasciato,
Lui non mi aveva mai perso di vista e ancora una volta,
mi indicò la strada di casa!
LA PARABOLA
Sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto.
Quando ebbe speso tutto,
in quel paese venne una grande carestia,
ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno,
allora andò e si mise a servizio di uno
degli abitanti di quella regione,
che lo mandò nei campi a pascolare i porci,
avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci,
ma nessuno gliene dava.
Allora rientrò in sé stesso e disse:
“Quanti salariati in casa di mio Padre hanno pane in abbondanza
e io qui muoio di fame!
Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò:
Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te,
non sono più degno di essere chiamato tuo figlio,
trattami come uno dei tuoi garzoni”.
Partì e si incamminò verso suo Padre!
MEDITAZIONE
Il giovane abbracciato e benedetto dal Padre,
è un uomo povero, molto povero.
Ha abbandonato la propria casa con tanto orgoglio e denaro,
deciso a vivere la sua vita lontano dal padre e dalla comunità,
ritorna con niente, il denaro, la salute, l’amore,
il rispetto di sé, la reputazione……ogni cosa è stata sperperata.

nella foto dell'abbraccio del Padre al figliol prodigo,
vedo davanti a me un uomo che se né andato lontano
in un paese straniero e ha perso tutto ciò che aveva con se,
in lui vedo vuoto, umiliazione e sconfitta,
lui che era tanto simile al padre,
ora sembra peggiore dei servi di suo padre, è diventato uno schiavo.
Che cosa è accaduto al figlio nel paese lontano?
A parte tutte le conseguenze materiali e fisiche,
quali sono state le conseguenze interiori per essersi allontanato da casa?
La serie di eventi è piuttosto prevedibile,
più corro lontano dal luogo in cui Dio dimora,
meno sento la voce che mi chiama, “figlio prediletto”,
e meno sento quella voce, più rimango invischiato
nelle manipolazioni e nei giochi di potere del mondo.
Le cose stanno più o meno in questo modo,
non sono più certo di avere una casa sicura,
e osservo altra gente che, fuori sembra stare meglio di me;
chiedo come posso arrivare dove stanno loro,
cerco in mille modi di piacere, di raggiungere il successo e gli onori,
quando fallisco mi sento geloso e risentito nei confronti degli altri;
quando ho successo, mi secca che gli altri possano essere gelosi
o risentiti nei miei confronti;
“ECCO L’INVIDIA” .
Divento sospettoso mi metto sulla difensiva e ho
sempre più paura di non raggiungere ciò
che tanto desidero o di perdere ciò che già ho.
Impigliato in un groviglio di esigenze e desideri,
non conosco più le mie stesse motivazioni,
mi sento ingannato dal mio stesso ambiente e
diffidente di ciò che gli altri fanno o dicono, sempre in guardia,
perdo la mia libertà interiore e comincio a dividere il
mondo in coloro che sono per me e coloro che sono contro di me;
mi chiedo se veramente qualcuno si interessa di me;
comincio a cercare conferme alla mia diffidenza e,
dovunque vada, ne ho la prova e dico; “non ci si può fidare di nessuno”,
e poi mi chiedo se qualcuno mi abbia mai amato,
il mondo intorno a me diventa oscuro, il cuore si fa pesante,
il corpo è pieno di dolori, la vita perde significato.
Sono diventato un’anima perduta.
Il figlio più giovane si rese pienamente conto della sua totale rovina,
quando più nessuno nel suo ambiente,
mostrò il minimo interesse nei suoi confronti.
Lo avevano tenuto in considerazione soltanto finche
era stato utile ai loro interessi,
ma quando non ebbe più denaro da spendere e doni da fare,
per loro cessò di esistere,
non è difficile immaginare cosa significhi
essere un individuo del tutto estraneo,
una persona cui nessuno mostra un qualche segno di riconoscimento.
La vera solitudine arriva quando non si riesce più
a sentire di avere delle cose in comune,
quando nessuno voleva dargli il cibo che lui stesso distribuiva ai maiali,
il figlio più giovane si accorse di
non essere considerato nemmeno un essere umano:
“ECCO LA DESOLAZIONE”.
In quel momento sentì tutto il vuoto del suo isolamento,
la solitudine più profonda di cui l’uomo possa fare esperienza;
era davvero perduto, ma fu questa sensazione,
di essere completamente perduto a farlo rientrare in se stesso.
Fortemente scosso dalla consapevolezza della sua totale nullità,
capì immediatamente di essersi imbarcato in un’avventura di morte,
si era talmente sradicato da ciò che dà vita e cioè;
si rese conto che la morte sarebbe stata il fatale prossimo passo.
All’improvviso vide con chiarezza il sentiero che aveva scelto
e dove questo lo avrebbe condotto; capì la sua scelta di morte;
e intuì lucidamente che un altro passo ancora nella direzione
che stava seguendo lo avrebbe portato all’autodistruzione,
in quel momento critico, quale molla gli fece scegliere la vita!
Fu la riscoperta della parte più profonda di se stesso.
Il significato del ritorno del figlio più giovane è condensato nelle parole:
“Padre…..non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”.
Da un lato il figlio più giovane si rende conto
di aver perso la dignità della sua condizione di figlio,
ma allo stesso tempo quel senso di dignità perduta gli fa capire,
che egli è davvero il figlio che aveva una dignità da perdere.
Il ritorno del figlio più giovane avviene proprio nel
momento in cui recupera la sua condizione di figlio,
anche se ha perso tutta la dignità che le è propria,
infatti è stata la perdita di ogni cosa a portarlo alla radice della sua identità,
ha scoperto il fondamento della sua condizione di figlio,
in definitiva sembra che il figlio abbia dovuto perdere ogni cosa,
per conoscere il significato profondo del suo essere,
quando si è trovato a desiderare di essere trattato come uno dei porci,
si è reso conto di non essere un porco, ma un essere umano,
un figlio di suo padre, il rendersi conto di questo è diventato
la base della sua scelta di vivere invece di morire.
Tornato di nuovo a contatto con la verità della sua condizione di figlio,
ha potuto udire-----anche se in modo appena percepibile---
la voce che lo chiamava, “figlio prediletto”,
e sentire sebbene da lontano il tocco della benedizione,
la consapevolezza e la fiducia nell’amore del padre,
per quanto possano essere stati confusi,
gli hanno dato la forza di rivendicare la propria condizione di figlio,
anche se tale rivendicazione non poteva basarsi su alcun merito.
Quante persone per ascoltare un presunto amico si perdono,
non riconoscono più la casa paterna e se ne vanno lontano e ci rimangono,
finche dopo aver sperperato tutti i beni avuti,
magari ridotti in un tunnel senza uscita,
perché i presunti amici si erano volatilizzati e pensando come stavano bene prima,
si sono messi in ascolto, magari più per disperazione che per volontà e,
riuscendo nella disperazione a trovare magari
un amico di quelli veri che con pazienza,
è riuscito a fargli risentire quella flebile voce che dice:
“Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto”.
È un’esperienza dolorosa perché per capire devi precipitare fino in fondo,
d’altra parte è una nostra scelta, perché Dio dice:
“Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione;
scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza,
amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti vicino a Lui….”!
In effetti è una questione di vita o di morte,
vogliamo accettare il rifiuto del mondo che ci imprigiona,
oppure rivendicare la libertà dei figli di Dio?
A noi la scelta!
Giuda ha tradito Gesù!
Pietro lo ha rinnegato!
Entrambi sono diventati figli perduti!
Giuda, non riuscendo più a sostenere la verità
di non essere per sempre figlio di Dio,
si è impiccato, perciò ha venduto anche la sua condizione di figlio,
praticamente non ha creduto nella Misericordia del Padre.
Pietro, nel colmo della sua disperazione,
l’ha rivendicata ed è tornato piangendo molte lacrime.
Giuda ha scelto la morte!
Pietro ha scelto la vita!
Dobbiamo renderci conto che questa scelta è sempre davanti a noi,
siamo continuamente tentati di cadere nello smarrimento e
di perdere contatto con la nostra umanità dataci da Dio,
con le beatitudini fondamentali della vita che ci è stata donata e,
così lasciamo che le forze della morte prendano il sopravvento.
Questo succede sempre ogni volta che diciamo a noi stessi:
“Non siamo buoni, siamo inutili, non valiamo niente,
siamo antipatici, non siamo nessuno”.
Ci sono sempre un’infinità di eventi e di situazioni
che possiamo scegliere per convincerci che la nostra vita
non vale la pena di essere vissuta, che siamo solo un peso o un problema,
molte persone vivono con questo oscuro senso interiore,
e a differenza del figlio prodigo, lasciano che l’oscurità li avvolga
in modo così totale che non rimane loro alcuna luce per girarsi indietro
e tornare, possono anche non uccidersi fisicamente,
ma spiritualmente non sono più vivi, hanno abbandonato la fede
nella propria bontà originale e,
perciò anche nel Padre cui devono la loro umanità.
Ma quando Dio creò l’uomo e la donna a sua immagine e,
vide che quanto aveva fatto, “era cosa molto buona”,
e nonostante le voci oscure, né uomo né donna potranno
mai cambiare quell’evento.
Scegliere la nostra condizione di figli,
non è comunque facile, le voci oscure del mondo che ci
circonda cercano di persuaderci,
che non siamo buoni e che possiamo diventarlo
soltanto se ci conquistiamo la nostra bontà
arrampicandoci sulla scala del successo,
queste voci ci conducono ben presto a dimenticare la voce che ci chiama,
“figlio mio prediletto”, e che ci ricorda che siamo amati
indipendentemente da qualsiasi applauso o risultato,
queste voci oscure soffocano quella voce gentile,
tenue e luminosa che continua a chiamarci, “il mio prediletto”,
ci trascinano alla periferia della nostra esistenza e ci fanno dubitare,
che c’è un Dio che ama e che ci aspetta proprio al centro del nostro essere.
Ma lasciare il paese straniero è soltanto l’inizio,
la strada verso casa è lunga e ardua,
che fare allora lungo la strada del ritorno al Padre?
Ciò che fa il figlio prodigo è chiaro, appena è cambiato,
prepara una specie di sceneggiata, e ricordando la sua condizione di figlio,
dice a se stesso: “Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò:
Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te,
non sono più degno di essere chiamato tuo figlio,
trattami come uno dei tuoi garzoni”.
Il ritorno del figlio prodigo è pieno di ambiguità,
sta camminando nella direzione giusta, ma che confusione,
ammette di non essere stato capace di farcela da solo,
deve chiedere scusa del suo comportamento e non è sempre facile,
ma che comunque forse riceverà un trattamento migliore
come servo nella casa del padre, che come esule in una terra straniera,
ma è ancora lontano dall’aver fiducia nell’amore del padre.
Sa di essere sempre figlio, ma dice a se stesso di aver
perso la dignità di essere chiamato, “figlio”
e si prepara ad accettare la condizione di,
“garzone” per poter almeno sopravvivere.
Il suo è pentimento, ma non un pentimento alla luce
dell’immenso amore di un Dio che perdona,
è un pentimento a suo uso e consumo,
che gli offre le possibilità di sopravvivere,
questo stato della mente e del cuore, è come dire;
“beh, non ce l’ho fatta da solo, devo riconoscere che Dio
è l’unica risorsa che mi sia rimasta, andrò da lui e chiederò perdono,
nella speranza di ricevere una punizione minima,
che mi sia consentito almeno di sopravvivere, in cambio di un duro lavoro”.
Dio allora secondo noi rimane un Dio duro e pronto a giudicare,
è questo Dio che ci fa sentire colpevoli, preoccupati e,
che rievoca in noi tutte queste scuse a nostro uso e consumo,
la sottomissione a questo Dio non crea una vera libertà interiore,
ma genera solo amarezze, risentimento e magari la volontà che,
appena capita l’occasione me ne andrò di nuovo.
Allora non ho ancora conosciuto il vero Dio.
Una delle più grandi provocazioni della vita spirituale
è ricevere il perdono di Dio,
c’è qualcosa in noi esseri umani che ci tiene tenacemente
aggrappati ai nostri peccati e non ci permette di lasciare che
Dio cancelli il nostro passato e ci offra un inizio completamente
nuovo, che è la mancanza di confidenza e di fiducia in Lui.
Qualche volta sembra persino che vogliamo dimostrare a
Dio che le nostre tenebre sono troppo grandi per essere dissolte,
mentre Dio vuole restituirci la piena dignità di figli,
invece noi continuiamo ad insistere che ci sistemerà come garzoni.
Ma vogliamo davvero essere restituiti alla piena responsabilità di figli?
Vogliamo davvero essere totalmente perdonati,
in modo che sia possibile una vita del tutto nuova?
Abbiamo fiducia in noi stessi e in una redenzione così radicale?
Vogliamo rompere con la nostra ribellione
profondamente radicata contro Dio ed arrenderci
in modo così assoluto al suo amore,
da far emergere in noi persone veramente nuove?
Ricevere il perdono esige la volontà totale di lasciare che
Dio sia Dio e compia ogni risanamento, reintegrazione e rinnovamento.
Però fin quando vogliamo fare anche soltanto una parte di tutto questo da soli,
ci accontentiamo di soluzioni parziali, come quella di diventare garzoni;
perché come garzoni possiamo ancora mantenere le distanze,
ribellarci, rifiutare, scioperare, scappare via o lamentarci della paga.
Come figli prediletti dobbiamo rivendicare la nostra piena dignità e
cominciare a prepararci a diventare noi stessi il Padre.
È chiaro che la distanza tra l’inizio del ritorno e l’arrivo a
casa deve essere percorsa con saggezza e disciplina,
la disciplina è quella di diventare un figlio di Dio,
Gesù dice espressamente, che la via verso
Dio è identica a quella verso una nuova infanzia:
“Se non vi convertirete e non diventerete come bambini,
non entrerete nel regno dei cieli”.
Gesù non ci chiede di rimanere dei bambini, ma di diventare dei bambini.
Diventare un bambino significa vivere una seconda giovinezza;
non l’innocenza del neonato, ma l’innocenza a cui
si arriva attraverso scelte consapevoli.
Come possono essere descritti coloro che sono giunti a
questa seconda infanzia, a questa seconda innocenza?
Gesù lo dice molto chiaramente nelle Beatitudini.
Poco dopo aver sentito la voce che lo chiamava il Prediletto e
subito dopo aver respinto la voce di satana che lo tentava a
dimostrare al mondo che era degno di essere amato;
comincia il suo ministero pubblico,
uno dei suoi primi passi è chiamare dei discepoli a seguirlo e a
partecipare al suo ministero, quindi Gesù sale sulla montagna,
raduna i discepoli intorno a sé e dice:
“Beati i poveri in spirito, perchè di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perchè saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e,
mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
”Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli".
Queste parole presentano un ritratto del Figlio di Dio.
È un autoritratto di Gesù, il Figlio prediletto,
è anche un ritratto di come dobbiamo essere noi se vogliamo sentirci,
figli prediletti.
Le Beatitudini ci offrono la via più semplice per il viaggio verso casa,
per il ritorno alla casa di nostro Padre.
E lungo questa via scoprirò le gioie della seconda infanzia;
la serenità, la misericordia e una visione sempre più chiara di Dio e,
appena giungerò a casa e sentirò l’abbraccio di mio Padre,
mi renderò conto che non soltanto il cielo potrò rivendicare come mio,
ma che anche la terra diventerà mia eredità,
un luogo dove poter vivere in libertà senza ossessioni e costrizioni.
Diventare figlio, significa vivere le Beatitudini e trovare,
così la porta stretta per l’accesso al Regno;
il ritornare e gettarsi fra le braccia del Padre, vuol dire,
ritornare nel grembo di Dio che è insieme, Madre e Padre!
Perciò vuol dire ritornare bambini, perché il bambino piccolo non è forse povero,
mite e puro di cuore?
Il bambino piccolo non piange per ogni piccolo dolore?
Il bambino piccolo non è l’operatore di pace che ha fame e sete
della giustizia e la vittima ultima della persecuzione?
Vediamo anche che è quello che paga i tanti errori di noi adulti…..
guardiamoci attorno e riflettiamo un attimo, quanti bimbi sono maltrattati,
abbandonati peggio degli animali e purtroppo,
quanti gettati via come immondizia o addirittura uccisi.
Ecco cosa vuol dire diventare come bambini,
perché se rimaniamo adulti in balia delle onde del mondo e del male,
purtroppo queste stragi ci saranno sempre, anzi molto
probabilmente aumenteranno perché il mondo, con i
suoi luccichii ci farà sempre più sprofondare!
E che dire dello stesso Gesù, la parola di Dio che si è fatta carne,
ha dimorato per nove mesi nel grembo di Maria,
ed è venuto in questo mondo come un piccolo bambino,
è stato adorato dai pastori giunti da vicino e da uomini saggi arrivati da lontano!
Il Figlio Eterno si è fatto Bambino perché anche noi possiamo
diventare di nuovo bambini e così rientrare con Lui nel Regno del Padre.
Gesù disse un giorno a Nicodemo: “In verità, in verità ti dico,
se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il Regno di Dio!”

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