VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

Il nostro intento e' quello di condividere l'amore del Signore e la maternità di Maria che hanno per tutti noi anche attraverso l'organizzazione di pellegrinaggi al santuario dell'Amore Misericordioso e da alcuni anni anche a Medjugorje.



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sabato 26 luglio 2014

CACCIA AL TESORO

Il Tesoro nascosto.
Matteo aveva tutto: soldi, successo, potere;
era temuto, rispettato, un "business-man" come
i tanti che si vedono anche oggi nelle nostre città.
Un giorno, però, quello sguardo dell'ospite di Pietro
il pescatore, quel tale Gesù della vicina Nazareth,
lì a Cafarnao, sul lago, lo aveva sconvolto.
Era poi così certo di avere tutto?
Il tesoro vero, il senso della vita, lo aveva davvero scoperto?
Matteo fa l'errore di lasciare la sua parte migliore emergere,
per una frazione di secondo intuisce che la sua vita è piena
di vuoto, che tutto ciò che ha è fumo, apparenza, inutile peso.
Quello sguardo lo perfora, lo trapana, lo svela a se stesso,
lascia tutto e segue il Maestro.
Da Gesù Matteo impara ad amare, a conoscere Dio,
a conoscere se stesso.
Da Gesù Matteo impara ad essere vero, a diventare
libero, e racconta, parla come un fiume in piena,
del Regno, di Dio, di lui, il Maestro.
Ora Matteo ci dice, dopo tanti anni (forse una trentina
da quell'incontro) che ne è valsa la pena, che lo
rifarebbe e che, anzi, ciascuno di noi può farlo.
Matteo dice di aver fatto il miglior affare della sua vita
lasciando tutto e seguendo il Nazareno, ci dice
che è come avere scoperto un tesoro nel campo.
Sì, amici, la mia vita, la nostra vita è
una gigantesca caccia al tesoro.
Ci vuole grinta, forza, lucidità per gareggiare;
bisogna tapparsi le orecchie di fronte ai troppi
che ammiccano vendendoti a peso d'oro le istruzioni
per trovare il tesoro, tenere duro davanti ai troppi che
ti dicono che il tesoro non c'è, che la vita
è un'immensa e macchinosa fregatura.
Matteo dice che lui, il tesoro, l'ha trovato.
Non come la fiammata dell'innamoramento che
scompare con il desiderio, ma come la lenta
consapevolezza della verità, del fiume che scorre
sotto il terreno, dell'evidenza del cuore.
Il piano di Dio è esposto, il volto che Gesù è venuto a
descriverci, ormai chiaro, la proposta del regno annunciata.
Ora tocca a noi, tocca a me decidere.
Starò ancora ad aspettare?
Dopo avere veduto, dopo avere lasciato il seme della Parola
perforare l'asfalto del mio cuore ancora tentennerò?
Dopo avere saputo che il padrone del campo permette che
la zizzania e il grano crescano insieme, perché mi ama,
aspetterò ancora che il regno si manifesti nella mia vita?
Il Signore "pescandoci", sa che dentro di noi ci sono pesci
commestibili e pesci velenosi, parti di luce e fitte tenebre.
E le ama, entrambe.
Le ama perché ama noi, le ama perché ci vuole salvi,
le ama perché è un Dio di tenerezza e compassione.
Paolo, nella seconda lettura, ha finalmente capito il
disegno di Dio, il suo piano, e ne resta affascinato.
Il nostro, ci dice, è un Dio che ci vuole salvi, è un Dio che
ci scusa, un Dio che ci insegue e ci perseguita col suo amore.
Ma abbiamo bisogno, come saggiamente chiede Salomone
nella sua preghiera, di molta saggezza, di molta sapienza.
Salomone è spaventato del suo nuovo ruolo di Re.
Non assapora il potere, non è euforico della sua posizione.
E chiede la saggezza, chiede di fare scelte giuste.
Dio è piacevolmente stupito di questa richiesta e lo premia
col dono della saggezza.
Anche noi, allora, come Salomone, come Paolo,
come Matteo, chiediamo di avere il dono dello Spirito
che sappia orientare la nostra vita verso la pienezza,
verso il senso ultimo, verso il tesoro.
Che non ci succeda di essere travolti dalla vita, che non ci
accada di restare alla porta della storia, ma che il Signore
ci dia il coraggio di investire tutto, tempo, intelligenza, affetti,
nella ricerca del Regno, nella cosa più preziosa che abbiamo.
Matteo è davvero lo scriba che ha saputo tirar fuori le cose
vecchie e le cose nuove.
Il messaggio del vangelo, pur nella stanchezza dell'abitudine
e delle nostre comunità, ha bisogno di essere capito e parlato
con parole nuove.
La fatica di Matteo, scriba che ha valutato con sapienza
la strada da percorrere è la nostra stessa fatica.
Inutile ancorarsi a fragili abitudini, a consolidate e
incomprensibili ritualità che rendono vecchio il
cristianesimo: andiamo all'essenza, con intelligenza,
con rispetto per il passato, ma con tutta la luce
devastante dell'incontro col Rabbì.
Solo così potremo dire in maniera comprensibile per
l'uomo contemporaneo che la vita è una caccia al tesoro.
Anche noi, come chi trova un tesoro, pieni di gioia
venderemo tutto per averlo.

Santa Domenica a tutti Fausto.

Messaggio da Medjugorje

Messaggio della Madonna a Marija
da Medjugorje il 25 Luglio 2014.
"Cari figli! Voi non siete coscienti di quali grazie
vivete in questo tempo in cui l’Altissimo vi dona
i segni perché vi apriate e vi convertiate.
Ritornate a Dio ed alla preghiera; nei vostri cuori,
famiglie e comunità regni la preghiera perché lo
Spirito Santo vi guidi e vi esorti ad essere ogni giorno,
aperti sempre di più alla volontà di Dio ed al Suo
piano su ciascuno di voi.
Io sono con voi, e con i santi e gli angeli intercedo per voi.

Grazie per aver risposto alla mia chiamata. "

martedì 22 luglio 2014

Santa Maria Maddalena

Ricordando Maria Maddalenza.
Oggi ricordiamo con gioia la presenza
di Maria di Magdala, prima testimone
del risorto: a lei Gesù risorto affida il
compito di portare l’annuncio ai discepoli.
In realtà, a causa di una piccola confusione
storica, le tre Marie citate nei vangeli:
la prostituta diventata discepola,
Maria sorella di Lazzaro e Maria di Magdala,
hanno finito col diventare un’unica persona.
Il nuovo calendario ha riconfermato questa unità,
aggiungendo al suo nome il titolo di “penitente”.
Storicamente, Maria Maddalena è stata l’emblema
della discepola salvata dalla propria fragilità
cui Gesù affida l’impegnativo compito dell’annuncio.
Splendido Signore che affida alle donne, in un mondo
maschilista che non dava il diritto di parola alle
donne, la Parola, a ricordare a tutti che la Parola
è affidata alle nostre povere parole e che diventa
credibile se noi per primi ne sperimentiamo il potere
di guarigione interiore!
Di Maria conosciamo il suo struggente amore per il
Maestro, il pianto dirotto al sepolcro, l’ansia dell’annuncio.
Maria Maddalena è così diventata, nella storia della
Chiesa, l’immagine della tenerezza di Dio, della sua
infinita misericordia, di colui che fa di una prostituta
la prima e la più credibile delle missionarie.
Non finiremo mai di lodare e ringraziare il Signore
per la sua tenerezza, perché il Signore è così
splendidamente diverso da quel fantasma che ne facciamo,
da quel Dio severo e burbero che abita le nostre paure
e il nostro inconscio…!
Nessuno è perduto, mai, di fronte a Dio.
Così Vezelay, splendido santuario medioevale nella
Borgogna che, secondo la tradizione, custodisce le
spoglie della Maddalena, divenne nei secoli il luogo
dove incontrare la misericordia.
Sia lei, Maria Maddalena, discepola del compassionevole
e del misericordioso, destinataria dello sguardo
immensamente rispettoso e dolce del Signore,
a renderci testimoni del Risorto, in questa giornata,
così come ella fece, divenendo apostola degli apostoli.
Grande Maria Maddalena, lei si che aveva una grande fede,
e il Signore per premiarla ha voluto incontrarla davanti
al sepolcro, perché testimoniasse la sua risurrezione,

magnifico Dio.

domenica 20 luglio 2014

Grano e zizzania

Pazienza, operai del campo!
Leggere Matteo e la sua straordinaria esperienza di vita
mi riempie il cuore di gioia: davvero l’avere lasciato tutto
ciò che credeva di possedere per seguire il Rabbì di Nazareth
lo ha ribaltato come un calzino!
Matteo ha scoperto il volto del Dio di Gesù, un Dio che ama i
passerotti e ne ha compassione, che si commuove di fronte
alla folla smarrita come pecore senza pastore, che pretende
essere una gioia più grande della più grande
gioia che possiamo vivere.
La Parola, seminata abbondantemente anche nei nostri cuori,
può portare frutto: anch’io, anche voi amici, possiamo (ri)scoprire
questo splendido volto di Dio.
Come poter fare esperienza della bellezza di Dio in questo nostro
fragile tempo, superando l’impaludamento di un cristianesimo
solo sociale e culturale?
Come riuscire a mantenere viva la mia fede nel delirio quotidiano
delle cose da fare e della vita da vivere?
Il primo appiglio per scalare la parete dell’interiorità è l’amore
alla Parola, la lettura profonda e meditata di questa Parola che,
come una spada a doppio taglio, ci spacca a metà.
Frequentare la Parola ogni giorno, però, non basta: dobbiamo
essere consapevoli che fare esperienza di Dio non significa
necessariamente risolvere le contraddizioni che abitano il nostro cuore.
Zizzania
Zizzania: già il nome infastidisce per la sua durezza.
La zizzania è una pianta infestante, una pianta che manda all’aria
settimane di lavoro di chi ha la passione dell’orto o di chi lavora la vite.
La zizzania cresce, seminata dal nemico, e si arrampica soffocando la
pianta buona e – dice la parabola usata da Gesù – grano buono e erba
malvagia crescono insieme, convivono, devono spartirsi il terreno.
La saggezza del padrone ci stupisce: rimanda a casa propria gli zelanti
servi che volevano un bel prato all’inglese, devotamente motivati a
strappare la zizzania, `Pazienza`, dice il padrone, per non correre il rischio
di strappare il grano buono nella foga risanatrice.
La Parola seminata domenica scorsa, il Regno di Dio cresce spartendo il
campo con la tenebra, l’oscurità, la zizzania.
E’ l’esperienza che tutti i figli della luce fanno prima o dopo: dopo duemila
anni di Vangelo, talora proprio nei paesi tradizionalmente cristiani,
l’erba malvagia sembra soffocare l’annuncio di salvezza.
A parole tutto funziona, ma nei fatti dobbiamo arrenderci all’evidenza:
nonostante Cristo ci abbia salvato, l’uomo stenta ad imparare.
Di più: anche nell’esperienza personale, dopo avere frequentato per
anni il Signore, dopo una radicale conversione, devo fare i conti con la
contraddizione che abita il mio cuore; conosco molte persone che fanno
esperienza bruciante del proprio limite, proprio dopo avere creduto di
averlo superato, grazie alla presenza del Maestro.
La salvezza è cosa seria e il Maestro Gesù sa che luce e tenebra si
affrontano e che le tenebre fanno più rumore.
Sfogliate qualunque quotidiano e vedrete litanie di fatti orribili, leggerete
del punto di non ritorno di molte situazioni, di raccapriccianti fatti di cronaca,
di situazioni di ingiustizia all’apparenza insanabili; bene: voltate pagina e
vedrete l’ultima notizia di gossip, la pubblicità del nuovo ritrovato per
restare in forma venduto a caro prezzo.
L’uomo contemporaneo urla il proprio desiderio di giustizia e di rettitudine
ma rischia di dimenticarsene appena passata l’onda dell’emozione.
Non c’è che una cosa peggiore del male: abituarsi ad esso, fingere di ignorarlo,
pensare che fra luce e tenebre, in fondo, sia meglio vivere in un bel nebbione.
Pazienza
In equilibrio fra delirio di onnipotenza per cui il male è sensazione soggettiva,
ed un moralismo che troppe volte rende noi cristiani rabbiosi farisei, la Parola
di Dio squarcia le tenebre con un’idea immensa, quella della pazienza.
La pazienza richiama il dolore (il patire da cui deriva la parola) e l’attesa.
Pazientare è attendere con dolore, sapendo che il male avrà fine.
Viviamo sulla nostra pelle la contraddizione del male che coabita col bene,
anche nei nostri cuori, e il Signore ci chiede di lasciar fare a lui.
Ne siamo coinvolti, ovviamente, ne soffriamo, non gettiamo le armi,
continuiamo a coltivare, ma sappiamo che il mondo non può essere un
bel prato all’inglese o un giardino fiorito.
Pazienza figli del regno, pazienza, lasciate fare a Dio il suo mestiere.
Pazienza, discepoli del Maestro, viviamo tempi bui, in cui la ragione e la fede
devono farsi strada con fatica in mezzo all’indifferenza e all’insignificanza.
Pazienza, discepoli del Nazareno, la guerra è già vinta, il giorno è avanzato,
la verità – immensa – come torrente sotterraneo sta raggiungendo il mare.
Il Regno avanza
Io credo che il Regno avanzi.
E mi stupisco nel crederlo, mi commuovo davanti al silenzioso grano
che cresce nello sguardo di chi ama, nel gioco puro del bambino,
nel gesto generoso di chi – in nome e per conto del Rabbì Figlio di Dio –pone
gesti di luce nelle tenebre fitte.
Pazienza, discepoli di colui che è venuto a portare il fuoco, pazienza nelle
nostre povere e poco credibili comunità parrocchiali, pazienza nel
vedere–nude–le fragilità dei nostri compagni di viaggio, pazienza quando
un connaturale istinto di superiorità ci fa giudicare–con piglio tutto
devoto–i fratelli che ancora (e sempre) misureranno la loro debolezza.
Abbi pazienza con te stesso, amico.
Sappiamo bene che la voglia di dividere il mondo in buoni (noi) e cattivi (loro)
ha portato i discepoli su orribili sentieri di violenza, in passato.
Per i cristiani il nemico non è mai l’altro, è dentro ciascuno di noi.
Senza cadere in perniciosi autolesionismi, guardiamo dentro noi stessi la
zizzania (e–per una volta–chiamiamola per nome!) e guardiamo al grano
buono seminato dal Signore.
La contraddizione abita in ciascuno di noi, in me che scrivo.
E’ pericoloso pensare di strappare definitivamente la zizzania prima
che il grano sia giunto alla sua piena maturazione.
Pazienza, amico,, se ti sembra che troppe tenebre ancora rovinino la tua vita:
abbiamo tutta la vita per imparare a vivere, pazienza se pensavi di essere 
catechista migliore, un marito migliore: talvolta la bruciante esperienza 
del limite (Pietro insegna) ci spalanca la diga della misericordia. 
E ci rende simile a questo saggio padrone del campo. 
Il mondo non ha bisogno di superuomini (supercristiani?) perfetti, ma di discepoli
consapevoli del proprio limite, che attendono con passione al loro lavoro,
amando questo mondo seminato a grano, consapevoli del proprio
e dell’altrui limite, limite che Dio riempie di tenerezza.
Santa Domenica a tutti Fausto.



domenica 13 luglio 2014

Andiamo a Seminare

Siamo Seminatori seminati?
Matteo è rapito dalla logica di Dio.
Lui l’ha vissuta sulla propria pelle, ha lasciato tutto e,
stanco e oppresso, ha trovato ristoro dal Dio che gioca
con i passeri e ci conosce fino alla punta dei capelli.
Ha amato teneramente ed è stato teneramente amato
dal Rabbì che si commuove davanti alle folle che paiono
pecore senza pastore, ha scoperto che il Signore chiamava lui,
Levi il peccatore, Levi il bestemmiatore e l’arrogante,
Levi l’usuraio, a far parte della Chiesa, compagnia di Dio all’uomo.
Matteo lo può dire a voce alta: Gesù è più della più grande
gioia che un uomo possa sperimentare.
E noi, amici?
Come possiamo fare la stessa esperienza, sperimentare la
stessa vibrante gioia, scuotere le nostre vite fino a far cadere
tutto ciò che ci è di ostacolo e incontrare, infine, il volto di Dio?
Dio è accessibile, questo dice il cristianesimo, Dio è vicino,
lasciamoci incontrare.
Perciò, il primo modo per incontrare Dio è ascoltare la sua Parola.
Il Seminatore.
Parliamo della Parola che, come una spada come suggerisce la
lettera agli ebrei, ci penetra in profondità, ci apre in due,
svela noi a noi stessi, ci schiude a nuovi orizzonti perché
Parola diversa, ispirata, ricolma di Dio.
Questa fragile e potente Parole, però, è confusa da mille altre voci,
miriadi di altri urlanti suoni.
La nostra vita è colma di preoccupazioni, il livello del frastuono che ci
occupa il cuore è eccessivo e ci impedisce di incontrare la voce di Dio.
Un esempio? Quale Parola abbiamo udito domenica scorsa?
Difficile da ricordare, vero?
Quella era la Parola che avrebbe dovuto illuminare la nostra settimana!
Era la Parola del `Venite a me voi che siete affaticati e oppressi…`
Il seminatore esce a seminare.
Ci immaginiamo il gesto ampio e solenne del seminatore, che non
ha paura di gettare il seme con abbondanza, fin sull’asfalto,
nella speranza che buchi la crosta dura del nostro cuore.
Così è Dio: esagera.
Non gli importa la stretta logica del guadagno, compie gesti
insensati, getta con generosità la Parola.
Dio è il grande ottimista della Storia, continua parlare anche
quando la Parola cade nel vuoto.
Gesù analizza i risultati della semina.
Il primo risultato è disastroso: il Signore semina sulla strada
e il seme non riesce neppure a sopravvivere, perché arrivano
gli uccelli e la mangiano.
Il Signore stesso ne dà l’interpretazione: gli uccelli sono il maligno
che non vuole correre il rischio che la Parola buchi l’asfalto della
nostra indifferenza e della nostra abitudine.
Il suo metodo? Semplice: il pregiudizio (`Sono tutte cose
inventate dai preti ...`), l’arroganza (`Sono bastante
a me stesso ...`), l’indifferenza (`Ho altro a cui pensare ...`),
e così ci perdiamo la vita vera.
La seconda categoria di persone raggiunte dalla Parola
sono gli entusiasti un po’ incostanti.
Quanti ne ho incontrati!
Sono quelli che, raggiunti dalla Parola, ne restano affascinati,
soprattutto emotivamente.
Magari è un’esperienza forte che li ha avvicinati: un pellegrinaggio,
un ritiro, un gruppo, ma, appena fuori dal contesto, cominciano
piano piano a lasciarsi riassorbire dalle preoccupazioni e,
inesorabilmente, cadono nella dimenticanza.
E’ vero che oggi vivere la fede in un ambiente ostile è decisamente
difficile, come il seme che cade in mezzo alle pietre, per questo
è sempre più necessario vivere la fede insieme, avere degli spazi,
dei momenti per ristorarsi, per riappropriarsi della propria fede.
La terza categoria è quella che, pur cresciuta, viene soffocata dalle spine.
Chi, dopo aver accolto la Parola, averla maturata, averla accolta
con gioia, incontra difficoltà, sofferenze, aridità e ne viene soffocato.
Difficoltà sia a livello umano: una malattia, un lutto, che ci allontana
definitivamente da Dio, che difficoltà di ordine spirituale:
un’aridità prolungata, una fatica interiore ...
Infine il seme cade su terra buona e produce frutto, in maniera diversa,
rispettando la peculiarità di ciascuno, adattandosi alla vita
interiore di ogni uomo.
La Parola produce frutto, crea abbondanza, dona vita, ciò che pensavi
essere arido diventa fecondo, ciò che non capivi, si illumina,
la tristezza diviene conversione alla gioia.
Terreni buoni.
Chi è il terreno buono della parabola?
Io credo che `terreno buono` sia chi si sia riconosciuto almeno un po’
nei precedenti terreni.
Sia chi, con semplicità, abbia sentito questa parola e abbia sentito
nel suo cuore la durezza, l’incostanza, la preoccupazione,
e abbia paura di perdere la Parola.
Siamo delusi della nostra nascente vita di fede?
Fatichiamo a restare fedeli al Signore?
Abbiam grande nostalgia di Dio ma la vita ci frega?
Leggiamo queste parole e sentiamo un tuffo al cuore?
Buone notizie, fratelli, la Parola sta crescendo in noi…!
E allora spezziamola e doniamola questa Parola, diamoci da fare,
facciamo finalmente crescere la conoscenza e l’amore per la Parola!

Buona semina a tutti voi, Fausto.

mercoledì 2 luglio 2014

Lettera a Tommaso

Per la sua festa ho voluto scrivere una lettera a Tommaso,
perchè anche lui come me, non crede se non ci mette il
naso, siamo proprio una bella coppia. 
CARO TOMMASO.
Fa strano scriverti una lettera, ma ho deciso, dopo tanti anni,
di schierarmi formalmente e solennemente dalla tua parte.
Mi spiego meglio.
Ogni anno, dopo la gioia della festa di Pasqua,
puntualmente ti ritroviamo col Vangelo che ti riguarda.
Giovanni ci dice che il fatto, o meglio il fattaccio,
è accaduto otto giorni dopo l’apparizione di Gesù a
porte chiuse nel Cenacolo, la sera di Pasqua.
Ora; sono stufo di vederti descritto come un incredulo.
Su di te abbiamo addirittura composto un proverbio:
“Tommaso, che non ci crede se non ci mette il naso” e,
così sei arrivato fino a noi con la falsa nomina di incredulo.
È il nostro consueto modo di leggere il Vangelo,
col cervello in stand-by,
ascoltando come se fosse una pia ed edificante favoletta,
senza la voglia di approfondire ciò che dovrebbe nutrire la
nostra vita e la nostra fede.
Eppure, Tommaso, leggendo bene il racconto di Giovanni,
si capisce subito che tu al Rabbì ci avevi creduto,
fin troppo, più degli altri.
D’altronde, le uniche due volte in cui si parla di te
nel Vangelo, hai dimostrato fegato ed entusiasmo.
La prima volta Gesù decise di salire a Gerusalemme,
ignorando la pessima aria che tirava.
Il rischio era reale;
Gesù era malvisto dal Sinedrio che già
complottava per farlo arrestare;
malgrado questo, il Maestro decise di rischiare.
 Tu, Tommaso, dicesti:
“Andiamo a morire con Lui!” (Giovanni 11,16).
Poco dopo, quando Gesù parlò del suo destino,
e chiese di essere seguito, tu gli chiedesti:
“Signore, non sappiamo dove vai e
come possiamo conoscere la via?”,
alche, Gesù ti rispose:
“Io sono la via, la verità e la vita”
(Giovanni 14,5-6).
Poi, quelle maledette quarantotto ore.
Tutti voi, Tommaso, eravate impreparati, increduli o distratti.
La croce vi era piombata addosso come un treno in corsa,
vi aveva spezzato l’anima, aveva travolto tutto.
Non foste capaci di fare il benché minimo gesto,
nessuna reazione, solo la paura e il dolore,
la disperazione senza fine.
Incredulo tu? Andiamo!
Piuttosto credulone, con l’entusiasmo che ti
contraddistingueva tra i Dodici.
Sai, Tommaso, mi sono riconosciuto molte volte in te;
ti ho visto nel volto di molti fratelli scoraggiati e delusi,
dopo aver dato l’anima per un sogno, un progetto.
 E ho capito che più voli in alto e più-cadendo-ti fai del male.
La croce, per te inattesa, aveva inchiodato il tuo
Maestro e la tua vita, messo fine al tuo sogno.
E ti vedo—sbalordito, a bocca aperta con gli occhi
sbarrati—che ascolti i tuoi compagni.
Le tue ferite sanguinano copiosamente e
questi—gioiosi—ti raccontano di averlo visto vivo, risorto.
Non sai credere a quello che dicono,
e soprattutto, di chi te lo dice.
Giovanni, che c’era, ha scritto solo la prima parte di ciò
che hai detto, la frase durissima del:
“Non crederò” è stato delicato Giovanni;
e non ha riportato le tue altri frasi, dette con la
voce rotta dalla rabbia e dalla voglia di piangere.
Ma io immagino quello che hai detto,
perché da uno come te pieno di amore non potevano
che essere: “Tu Pietro? Tu Andrea?....e tu Giacomo?
Voi mi dite che Lui è vivo?
Siamo scappati tutti, come conigli;
siamo stati deboli, non abbiamo creduto!
Eppure, Lui ce l’aveva detto, ci aveva avvisati.
Lo sapevamo che poteva finire così,
e non gli siamo stati vicini,
non ne siamo stati capaci.
Ora, proprio voi, venite a dirmi di averlo visto, vivo?
 No, non è possibile…come faccio a credervi?”.
Sai, Tommaso; hai ragione!
Incontro spesso persone come te,
feriti dalla pessima testimonianza di noi discepoli,
scandalizzati dal baratro che mettiamo tra
la nostra fede e la nostra vita,
increduli a causa della nostra piccolezza.
Noi, discepoli del Maestro,
che invece di essere trasparenza del Risorto,
ci nascondiamo dietro ad un dito,
dalla paura di farci riconoscere,
piuttosto che radiosi dalla luce che ci ha avvolti e cambiati.
Quanti ne conosco come te, Tommaso!
Brava gente, ma turbati dal nostro poco entusiasmo.
Ma—e questo è stupefacente—Giovanni ci dice
che otto giorni dopo eri ancora con loro.
Non li hai mollati come a volte vedo fare,
non ti sei sentito superiore o migliore.
Hai voluto condividere la tua amarezza con loro, non hai
pensato di fare marcia indietro vedendo che ormai tutto
era compromesso e magari preso anche in giro dai tuoi amici.
E hai fatto benissimo; apposta per te è venuto il Maestro;
vedi come ti ama?
Lo vedi, ora; è lì, apposta per te.
Ti mostra le sue piaghe, il costato.
Poi sorride e ti parla.
Lo so bene, Tommaso,
e scusa se facciamo dei commenti discutibili;
quella frase bellissima non è un rimprovero,
Gesù non ti sta rinfacciando la tua incredulità, macchè.
Le sue parole sono un immenso gesto d’amore.
Mostrando il palmo delle mani trafitte, ti sussurra:
“Tommaso, so che hai sofferto tanto.
Guarda; anch’io ho sofferto…!”.
E ti sei arreso, finalmente.
Hai lasciato la diga del pianto rompere gli argini,
ti sei lasciato travolgere dall’amore e dalla fede,
ti sei buttato in ginocchio e tu, primo tra i Dodici,
hai osato dire ciò che nessuno,
 prima aveva osato neppure pensare: “Gesù è Dio!”.
 Senti, Tommaso, io ti voglio un sacco di bene e
ti ringrazio per la tua fede sincera.
Non credo sia un caso il fatto che il nostro
comune amico Giovanni ti abbia soprannominato
“Didimo”, cioè gemello; davvero mi assomigli.
Voglio affidarti, caro mio gemello,
tutti quelli che--come te—non si sono ancora arresi
al Signore, tutti quelli insomma, bastonati come te.
E anche gli scandalizzati da noi cristiani;
che guardino a Cristo,
piuttosto che ai suoi fragili discepoli.
Hai abbandonato il tuo dolore,
restando con la comunità,
senza scandalizzarti dei tuoi limiti e
di quelli dei tuoi fratelli di ventura.
Hai superato il dolore quando,
 lo hai saputo condiviso dal Maestro,
quando lo hai sentito dietro alle spalle del tuo Dio.
Ciao, uomo dalla grande fede sincera.
Tommaso ha scoperto che la gioia cristiana è
riconoscere nel dolore assunto da Dio
un gesto d’amore e di condivisione.
Fidandosi della comunità,
Tommaso incontrerà il suo Dio e  Signore.