VIAGGIAMO SULLE ALI DELLA MISERICORDIA

Il nostro intento e' quello di condividere l'amore del Signore e la maternità di Maria che hanno per tutti noi anche attraverso l'organizzazione di pellegrinaggi al santuario dell'Amore Misericordioso e da alcuni anni anche a Medjugorje.



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domenica 25 settembre 2011

25 Settembre 2011

Messaggio della Madonna attraverso Marja.

“Cari figli, vi invito affinché questo tempo
sia per tutti voi il tempo per testimoniare.
Voi che vivete nell’amore di Dio e
avete sperimentato i Suoi doni,
testimoniateli con le vostre parole e con
la vostra vita perche siano gioia ed
esortazione alla fede per gli altri.
Io sono con voi e intercedo incessantemente
presso Dio per tutti voi perché la
vostra fede sia sempre viva,
gioiosa e nell’amore di Dio.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata. "

sabato 24 settembre 2011

Figli della coerenza.

Purtroppo, tante persone frequentano la Chiesa,
fanno anche dei pellegrinaggi, magari delle promesse,
ma poi a casa in loro non cambia niente,
tutto come prima, ecco l’errore che tanti di noi facciamo,
sembra che abbiamo paura o vergogna a testimoniare
quello che abbiamo vissuto, scoperto o trovato.
No, dobbiamo gridare al mondo
quanto di bello Gesù ci ha donato e ci dona,
far partecipi anche i fratelli più scettici di quello che
abbiamo vissuto attraverso l’amore di Gesù.
La parabola di oggi è fatta di poche parole,
ben assestate, per denunciare un atteggiamento
che può riguardare anche noi.
Domenica scorsa qualcuno mi diceva che
questo Gesù non aveva peli sulla lingua.
È proprio vero; facevo notare come l’amore non
si riduce a sdolcinate parole, ma si attua anche nel
servizio alla verità che a volte può essere scomodo.
Quella di oggi è la parabola del dire e del fare.
Gesù racconta di quei due figli che cambiano idea;
uno dice “sì”, ma non fa, l’altro dice “no”,
ma ci ripensa e fa.
La fede cristiana ha una caratteristica
che la rende unica; il fatto di avere un
Dio incarnato costringe la
nostra spiritualità a incarnarsi, obbliga la
nostra preghiera a diventare azione,
porta i nostri discorsi alla verifica continua nelle azioni.
Come sarebbe più comoda una fede che resta nei cieli!
Una religione che si esaurisce nella preghiera e nel culto!
Macchè; Gesù desidera che lo imitiamo
nelle parole e nelle opere.
La nostra fede deve conservare il doppio
polmone dell’incontro nell’intimo con Dio e
del servizio ai fratelli nella vita quotidiana.
Allora, anche se disturba il nostro orgoglio,
dobbiamo chiedercelo; quanto influisce
la nostra fede sulla nostra vita?
Quanti gesti sono cambiati da quando
il Vangelo è entrato nella nostra vita?
Questa riflessione ci obbliga a essere molto
concreti e sinceri con noi stessi.
In primo luogo, riconoscendo che credere in Dio
non significa fare ragionamento o un bell’atto
sentimentale chiuso a se stesso.
Mi chiedo; è possibile essere
”credenti non praticanti”?
In pratica credere nel Dio di Gesù Cristo
(non quello più approssimativo
che ho nella mia testa!)
e non desiderare di conoscerlo,
di condividerlo, di celebrarlo?
Un po’ come dire:
“Sono innamorato non praticante”….
Ma che significa?
Il “dire” la nostra fede significa renderla
presenza concreta nella comunità.
Che differenza c’è fra culto e vita, fra devozione
e lavoro, fra celebrazione e azione?
Corriamo il rischio di vivere in compartimenti stagni;
tiriamo fuori Dio cinque minuti al giorno,
un’ora la settimana,
finita la benedizione della messa, amen,
la vita ci aspetta fuori,
Dio lo teniamo nei tabernacoli…
Ho paura, quando celebriamo il Dio della vita
e fuori compiamo gesti di morte.
Ho paura, quando cantiamo l’amore che ci
ha riuniti e fuori stoniamo con il nostro egoismo.
Tremo all’idea di vedere radunata una comunità
di fratelli che fuori della chiesa neppure si salutano.
No, amici, o la fede detta è vissuta o siamo ipocriti.
Attenti, però!
Questo è un obbiettivo, una tensione da realizzare.
Ricercare in noi e nelle comunità la
perfezione assoluta non è evangelico!
Il Signore ci chiede l’autenticità,
apprezza di più il figlio che dice:
“Non ce la faccio, non ne ho voglia” e poi si sforza
rispetto all’altro che dice “sì” e non si schioda.
Gesù, perciò, loda quei pubblicani e
quelle prostitute che hanno accolto la
Parola calandola nella loro vita,
facendola diventare conversione,
cambiamento, ricerca.
Accusa i giusti, le persone
“per bene”, che non fanno
calare l’annuncio del Vangelo nella
concretezza della loro vita.
Che il Signore ci spinga all’autenticità,
ci doni di non fermarci alle parole ma,
con semplicità e coraggio, ci conceda di gridare
il Vangelo con la nostra vita.
Solo così potremo diventare figli di quel Dio
che continuamente cerca l’uomo
per svelargli il suo amore.
Ecco allora che Martedì partiamo ancora
un’altra volta per Medjugorje,
accompagniamo in questo pellegrinaggio tanti
fratelli che per la prima volta vengono a Medjugorje,
portiamo anche due sacerdoti,
non sembra vero ma è proprio così.
Preghiamo allora Maria perché possa riempire
il cuore di tutti noi dell’amore del suo Figlio Gesù,
ed una volta ritornati a casa essere testimoni
di tutto l’amore che abbiamo sperimentato.
Santa Domenica a tutti da Fausto.

sabato 17 settembre 2011

Siate generosi operai della vigna.

Questa settimana è passata velocemente
nella mia vita, portandomi speditamente
alla partenza per Medjugorje
che avverrà il 27 Settembre,
Venerdì scorso però Maria ha chiamato
a raccolta i suoi fedeli in un incontro
in cui ha partecipato la veggente Marja,
quante persone hanno partecipato all’evento,
eravamo veramente in tanti.
Poi dicono che le persone non vanno più in chiesa,
non è vero, non credo che tutti quelli presenti siano
venuti soltanto per la curiosità di vedere la veggente,
tanti hanno sfidato il sole e il caldo per pregare
in un modo famigliare caro alla Madonna,
non credo che i presenti siano stati tutti dei cretini,
anzi, sono convinto del contrario,
tutti erano la perché amano Gesù Cristo,
visto che è proprio Lui che manda sua Madre
in mezzo a noi per richiamarci alla fede e
senz’altro in quella folla ci saranno
stati quelli della prima ora, i primi chiamati,
ma anche quelli dell’ultima ora,
e tutti hanno avuto lo stesso trattamento,
l’Amore e la Misericordia del Signore
e tutto gratuitamente, come al solito.
Insisto spesso sulla gratuità di Dio.
Gratuità assoluta, sconcertante,
che ne svela la bontà profonda,
che ne mostra l’autentico volto.
Il Vangelo, però, è tutto un intreccio
d’incomprensioni rispetto a questa bontà.
Così il prologo di Giovanni ci ricorda che le tenebre
non hanno accolto la luce (Giovanni 1,11),
la splendida parabola del figliol prodigo (Luca 15)
ci parla di due fratelli che non hanno ancora
capito il volto del padre, uno scambiandolo per un
ostacolo alla sfrenata libertà, l’altro nella ristrettezza
di un dovere sopportato a malincuore.
Dio è troppo buono.
Forse dovrebbe intervenire di più e
punire i malvagi (sempre gli altri).
Il perdono, anche quello di Dio, è eccessivo.
La parabola di oggi racconta un
fatto abituale in Palestina;
un padrone va in piazza ad assumere
alcuni braccianti per la vendemmia.
Una scena normale, in apparenza.
L’anormalità, semmai, sta nel padrone,
che si ostina—fino alle cinque del pomeriggio a
dare lavoro ai disoccupati.
Torna in piazza per far lavorare
anche solo un’ora i più disperati.
Alla fine della giornata accade il fattaccio.
Il padrone, lo avete letto, ha pattuito con i primi la
paga di un denaro per la giornata di lavoro.
Un buon prezzo, il giusto, ci dicono gli storici.
Al momento della paga inizia a pagare gli ultimi,
quelli che hanno lavorato solo un’ora
e—sorpresa!—dà loro un denaro.
A quella vista, gli operai della prima
ora gongolano e pensano; a noi darà di più.
Ma, quand’è il loro turno, restano di sale;
come pattuito anch’essi ricevono un denaro di paga.
A questo punto tutti ci aspetteremmo che dicano
al padrone: “Dacci di più!”, come normale.
Invece chiedono che gli ultimi sia dato di meno.
Non dicono ciò che pensano, non vogliono fare
la figura dei pitocchi; tanto era stato pattuito.
Vogliono fare i giusti, mascherando la loro piccolezza
dietro un nobile sentimento e una questione di principio.
Un denaro è considerato il salario minimo giornaliero
per far vivere una famiglia palestinese ai tempi di Gesù.
È come se i primi chiedessero la morte degli ultimi,
facendo dar loro una paga inferiore alla sopravvivenza.
Dietro una questione di giustizia si nasconde,
come spesso accade, una meschinità assoluta.
Il padrone si arrabbia, e fa bene.
Lui è buono, non sciocco.
È buono, e quindi giusto, e svela
la malvagità nascosta dei primi operai.
È sconcertato il padrone; il suo gesto—nobile,
dignitoso, signorile, di far lavorare un’ora soltanto
per mantenere qualche famiglia in più,
senza fare elemosina, senza umiliare adulti volonterosi,
è interpretata come una debolezza.
Nessuno nota questa generosità,
l’avidità prende il sopravvento.
Che paga ci aspetta alla fine della nostra giornata lavorativa?
Che visione abbiamo del premio che il Signore ci riserva?
Alcuni pensano; compio più o meno i miei doveri religiosi,
non faccio del male, non uccido,
quindi alla fine ci sarà il denaro di ricompensa.
In un certo senso mi “merito” il paradiso.
Non è, però, ambiguo questo termine?
Davvero possiamo “meritare” la presenza di Dio?
O non è più giusto dire che il Signore gratuitamente
riempie il nostro cuore e che a noi, semmai,
spetta di preparare il cuore a riceverlo?
Gli operai della prima ora, come i figli del Padre prodigo,
non hanno colto con chi hanno a che fare.
Hanno ridotto la loro fede a fatica e sudore.
Guardano con sospetto gli altri,
quasi concorrenti dei loro privilegi.
Non è così per chi ha colto la luce del Vangelo.
Stupiti, abbagliati dalla bontà del padrone,
gioiamo per la grazia di poter lavorare nella vigna,
gioiamo per la possibilità
che altri fratelli, anche all’ultimo,
possano accogliere la grazia che ci ha trasformato.
La bontà di Dio contagi la nostra vita,
in modo da rendere la nostra giornata lavorativa,
sin d’ora, immagine di quella gioia che il Signore
riverserà nei nostri cuori forgiati dalla fatica dell’amore.
Il nostro Dio, mite e umile di cuore,
che per primo ha vissuto questa parabola
dall’albero della croce accogliendo il buon ladrone,
ci faccia uscire dalle ristrettezze di una
fede “sindacale” per percepire, almeno un poco quale
braciere d’amore e di bontà è il suo cuore.
Buona vendemmia, anche se ce ne siamo appena
accorti della bontà dell’amore del Signore.
Partirò questa volta con quasi tutte persone
che è la prima volta che vengono a Medjugorje,
ma prego il Signore e Maria perché possano ricevere
tutto quello che ho ricevuto io fino ad adesso,
anche se sono quelli dell’ultima ora.
Coraggio allora, pensiamo anche agli ultimi,
anche loro hanno il diritto di ricevere
la stessa paga dei presunti primi.
Buona e Santa Domenica a tutti da Fausto.

sabato 3 settembre 2011

Messaggio del 2 Settembre attraverso Mirjana

"Cari figli, io con tutto il cuore e con l’anima piena di fede e
di amore verso il Padre Celeste vi ho donato e
vi do nuovamente mio Figlio.
Mio Figlio ha fatto conoscere a voi,
popolo di tutto il mondo, l’unico vero Dio ed il Suo Amore.
Vi ha condotto sulla strada della verità e vi ha reso fratelli e sorelle.
Perciò, figli miei, non vagate inutilmente,
non chiudete il cuore di fronte a questa verità, speranza ed amore.
Tutto attorno a voi è passeggero e tutto crolla,
solo la gloria di Dio rimane.
Perciò rinunciate a tutto ciò che vi allontana dal Signore.
Adorate solo Lui perché Egli è l’unico vero Dio.
Io sono con voi e rimarrò accanto a voi.
Prego in modo particolare per i pastori affinché

siano degni rappresentanti di mio Figlio ed
affinché vi conducano con amore sulla strada della verità.
Vi ringrazio!". Medjugorje 2 Settembre 2011

Modi d'Amore

In questa Domenica Gesù ci parla dell’Amore verso il prossimo,
verso i fratelli in Cristo, anche se hanno sbagliato,
far capire l’oro che li amiamo di un amore concreto,
semplice e disinteressato, senza guardare al loro passato,
di un Amore con la “A” maiuscola.
In questa settimana come avete letto il piccolo riassunto
del nostro viaggio a Medjugorje per aiutare un fratello in difficoltà,
abbiamo scoperto cosa succede quando ami.
E le Scritture di questa Domenica ne danno conferma.
Pietro scopre che il volto di Dio che Gesù racconta
è un volto amorevole e misericordioso,
ma di un amore terribilmente serio ed esigente;
la sofferenza, in questa logica, non rappresenta uno sbaglio,
un errore di percorso, una cosa da evitare a tutti i costi,
ma può diventare il modo di dichiarare l’affetto.
Gesù propone di donare la propria vita agli
altri proprio perché Lui ha fatto così.
Paolo oggi c’introduce a un approfondimento di questo tema;
i precetti che Israele ha ricevuto sono sintetizzabili tutti
nel comandamento dell’amore verso il prossimo.
Strana riflessione, quella dell’Apostolo.
Noi viviamo invece l’amore come una contrapposizione al comando;
associamo la parola “amore” a concetti come “passione”,
“creatività”, “emozione”, “follia”
e—al contrario—la parola “precetto” a
concetti come “dovere”, “costrizione”,
“rigidità”, “noia”. Sarà vero?
Siamo reduci da decenni di predicazione sul senso del dovere,
sul confronto continuo con i vari modelli di buona madre,
buon figlio, eccetera, e il nostro mondo contemporaneo
di bravi adolescenti poco cresciuti si è ribellato a questa costrizione,
proponendo in alternativa a questo modello una sregolatezza assoluta,
la propria sensazione ed emozione come criterio di giudizio su tutto.
Salvo poi arenarci sulla sponda opposta a quella evitata;
la frammentazione degli affetti, uno scontento che tenta
di alimentare la gioia con l’ebbrezza e l’eccesso.
La Scrittura, al solito, ci viene incontro con sano realismo,
in equilibrio tra rigido moralismo e dissennata emotività.
Gesù ci chiede di amare, il sogno più grande di ogni essere umano;
conferma cioè la verità della nostra intuizione profonda;
solo nell’amore realizziamo il nostro volto più autentico.
Ma che cos’è l’amore?
Spontaneamente pensiamo alla splendida esperienza dell’innamoramento.
Sappiamo però che essa è tappa necessaria ed entusiasmante
di un percorso che continua e sfocia nell’assumere l’altra persona;
ti amo nella tua pienezza, ti prendo e mi offro nella quotidianità,
voglio te come compagno di viaggio,
te come dolce presenza alla ricerca della felicità.
Così per l’amore verso i figli, arte difficile di rendere
autonomo un cucciolo d’uomo, o per l’amicizia,
complicità festosa che si trasforma in
legame indissolubile nella difficoltà.
Lo so, sono molto ottimista, ma la sintesi del Vangelo è straordinaria;
ama col cuore e con la testa, rendi concreto il tuo affetto,
mettiti in gioco oltre l’emozione, scegli, schierati, dona e donati.
Ma fallo perché hai sentito amore dal tuo grande Dio,
imitalo nel tuo gesto perché Egli ti ha riempito il cuore….!
Ama il prossimo come te stesso, prima trova equilibrio
nell’amore verso te stesso, accogli le tue fragilità senza vergogna,
mettile nelle mani di Dio con abbandono filiale…!
Nella Chiesa i rapporti tra i discepoli sono
vissuti in questa liberante logica dell’amore.
Il Vangelo c’illustra il modo di gestire i nascenti
conflitti nella comunità primitiva;
passato l’entusiasmo dell’adesione al Rabbì,
allora come oggi sorgevano i problemi di dialogo
e di comprensione col rischio di gesti estremi
(magari in nome del Vangelo!).
La prassi proposta da Gesù è piena di buon senso;
discrezione, umiltà, delicatezza verso chi sbaglia,
lasciandogli il tempo di riflettere,
poi l’intervento di qualche fratello, infine della comunità.
Quanto si è lontani da questa prassi evangelica!
Se si parla degli errori di qualcuno,
se ne sparla spesso con sadica soddisfazione,
senza compassione o delicatezza.
Se noi, discepoli del Misericordioso,
non sappiamo avere misericordia, chi mai ne sarà capace?
Tutto questo, però, senza falsi buonismi;
la franchezza evangelica è un modo concreto di amare,
di essere solidali anche con durezza.
Nelle nostre comunità abbiamo bisogno di
scoprire questo modo concreto di intervenire,
di prendere a cuore il destino dei fratelli,
senza nasconderci dietro il rispetto
sospettoso che non c’interpella.
Se davvero il Rabbì mi ha cambiato la vita,
ha cambiato anche il mio modo di vedere gli altri.
Proviamo?
Io ho provato amici, anche questa settimana,
e ho scoperto che amare il prossimo ti aiuta spiritualmente,
l’ho provato personalmente quello che senti
dentro dopo aver compiuto un gesto d’amore,
e la bellezza della riconoscenza del fratello che hai aiutato,
non sono paragonabili alle sofferenze che hai dovuto sopportare.
Provate amici, e sentirete come è
grande l’Amore e la Misericordia del Signore.
Un saluto ed una preghiera a tutti voi con la speranza
che anche voi possiate assaporare
l’Amore materno di Maria e l’Amore Misericordioso del Padre,
con affetto da Fausto, buona Domenica.